La Commissione europea ha annunciato la bocciatura della cosiddetta “reverse charge” sull’Iva per le forniture alla grande distribuzione, introdotta dal governo Renzi con la Legge di Stabilità 2015. Secondo quanto spiegato, la “reverse charge” non sarebbe in linea con l’articolo 395 della direttiva comunitaria sull’Iva; ancora sotto esame, invece, lo “split payment”.
La misura vale circa 700 milioni di euro nel bilancio, ma “non ci sono prove sufficienti che la misura richiesta contribuirebbe a contrastare le frodi” e anzi “questa misura implicherebbe seri rischi di frode a scapito del settore delle vendite al dettaglio e a scapito di altri Stati membri”. Misura molto discussa, la “reverse charge” introduce un diverso meccanismo di applicazione dell’Iva allargandola alla grande distribuzione ed eliminandone la possibilità di detrazione: si tratta, come tradotto dall’inglese, di un’inversione contabile, e viene previsto che il destinatario di una cessione di beni o prestazione di servizi, se soggetto passivo nel territorio dello Stato, debba pagare l’imposta in luogo del cedente o prestatore; quest’ultimo riceve così dal cliente l’importo del bene ceduto o della prestazione eseguita, in modo tale da essere esonerato dall’obbligo di versare l’Iva dell’operazione eseguita.
Scopo della norma è quello di evitare le frodi sull’Iva, in quanto il cedente non corre il rischio di “dimenticare” il versamento dell’Iva, mentre il cessionario non può “dimenticarsi” di annotare l’Iva, perché altrimenti sarebbe nulla la registrazione. All’epoca dell’approvazione della “manovra”, il governo aveva fatto sapere che in mancanza della “reverse charge” sarebbe potuta scattare una clausola di salvaguardia sulle accisedella benzina, ma fonti del ministero dell’Economia hanno assicurato che l’aumento non ci sarà: “C’è il fermo impegno del governo a non fare scattare la clausola di salvaguardia”.