In tema di reati tributari, l’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere. Tuttavia l’elemento soggettivo del reato non può consistere nella “culpa in vigilando” sull’operato del professionista, che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma nella dolosa preordinazione (da dimostrare attraverso elementi fattuali) dell’omissione della dichiarazione finalizzata a un’evasione d’imposta superiore alle soglie di rilevanza penale. È questo il principio espresso dalla sentenza n. 18845 del 5 maggio 2016, con cui la Cassazione ha confermato la misura del sequestro preventivo nei confronti di un soggetto indagato per il reato di omessa presentazione della dichiarazione, di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000.
Il caso
A seguito di rinvio da parte della Corte di cassazione, il tribunale di Vibo Valentia confermava un decreto di sequestro preventivo, emesso dal Gip nei confronti di un soggetto indagato per il reato di omessa presentazione della dichiarazione di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000. Con il successivo ricorso per cassazione, il contribuente denunciava, tra l’altro, violazione di legge, in relazione alla ritenuta erronea sussistenza del requisito del fumus commissi delicti.
In particolare, secondo il ricorrente, mancava l’elemento soggettivo del dolo specifico, in quanto la mancata presentazione delle dichiarazioni era da addebitare esclusivamente alla condotta truffaldina del commercialista.
Inoltre, la delega di funzioni attenuerebbe gli obblighi del contribuente spostandoli sul soggetto delegato, senza contare che il tribunale aveva desunto l’esistenza del dolo di evasione da mere irregolarità formali (mancate registrazioni) non funzionali alla commissione del reato.
La pronuncia della Cassazione
La Cassazione, con la pronuncia in esame, ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la legittimità della misura cautelare del sequestro preventivo e, quindi, l’esistenza del fumus commissi delicti. In via preliminare, la Corte suprema precisa che, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, i giudici, pur disponendo di un ambito di sindacabilità limitato (essendo precluso qualsiasi accertamento sul merito dell’azione penale), sono tenuti comunque a operare un controllo fattuale sull’esistenza del fumus, anche con riferimento al difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché rilevabile ictu oculi (cfr Cassazione 23944/2008).
Viene, quindi, richiamato un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui “in tema di reati tributari, l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere”. Tali conclusioni si spiegano in virtù della natura strettamente personale degli obblighi fiscali, che “non ammettono sostituti ed equipollenti poiché essi rispondono ad una speciale finalità di diritto tributario, quale quella di colpire il complesso dei redditi tassabili. Pertanto i predetti obblighi non possono considerarsi adempiuti dal contribuente con il semplice conferimento dell’incarico ad uno studio professionale, dato che ciò comporterebbe una estrema facilità di evasione”.
Quanto all’elemento soggettivo, la prova del dolo non risiede nella semplice omissione né, tanto meno, nella “culpa in vigilando” sulla condotta del professionista, che escluderebbe la rilevanza penale del fatto (punito solamente a titolo di dolo). Il tribunale del riesame ha applicato in maniera corretta tali principi, richiamando una serie di elementi fattuali (ovvero le irregolarità nella tenuta delle scritture contabili emerse dal processo verbale di constatazione) che dimostravano un “consapevole e deliberato atteggiamento dell’indagato quale soggetto incline a dare corso a illeciti in materia tributaria e fiscale”.
Ulteriori osservazioni
Per la consumazione del reato di omessa dichiarazione dei redditi, è necessario il dolo specifico di evasione, per cui la semplice violazione dell’obbligo dichiarativo non basta: è necessaria non solo l’effettiva evasione (superiore al quantum previsto dalla norma, ritenuto da questa Corte di cassazione elemento costitutivo del reato), ma anche la prova che l’omessa dichiarazione fosse preordinata proprio all’evasione dell’imposta e per le quantità superiori alla soglia della rilevanza penale e, dunque, nella consapevolezza del loro ammontare. Non è sufficiente, a tal fine, il richiamo alla “culpa in vigilando”, che inaccettabilmente trasformerebbe il rimprovero, per l’atteggiamento antidoveroso, da doloso in colposo, né al “dolus in re ipsa”.
Nel caso affrontato dalla pronuncia in commento viene in rilievo il problema della valenza della delega di funzioni nell’ambito del diritto penale tributario. Come noto, in ragione della sempre maggiore complessità di questo ramo del diritto, spesso, i soggetti, cui fanno capo obblighi penalmente rilevanti, delegano a professionisti l’espletamento dei relativi adempimenti di carattere tecnico. Secondo la dottrina maggioritaria, gli obblighi di carattere tributario sarebbero intrasferibili, in considerazione della loro natura pubblicistica e personale. Anche la giurisprudenza prevalente ha escluso che la delega abbia valenza sul piano oggettivo della titolarità delle funzioni, dando invece rilievo all’affidamento dell’incarico sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato (in particolare, per quanto concerne il dolo). La rilevanza della colpevolezza nella forma della culpa in vigilando sussiste in ogni caso in ambito amministrativo.
Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione, ad esempio, la Ctr della Toscana (cfrsentenza n. 1461/24/14) ha ritenuto che sussiste una culpa in vigilando della società accertata che avrebbe dovuto assicurarsi che le dichiarazioni fossero state inviate all’Agenzia delle Entrate pretendendo copia della comunicazione di ricezione della stessa. In altri termini, l’elemento soggettivo della fattispecie era rappresentato dalla negligenza della parte nello svolgimento dell’attività di controllo sul professionista.
Tale posizione risente dell’orientamento espresso dalla Cassazione con le ordinanze 12472 e 12473 del 2010. Queste, infatti, statuiscono che, “poiché ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, la violazione delle norme tributarie suscettibile di sanzione da parte della legge richiede che il comportamento addebitato sia posto in essere con dolo o anche con colpa, il contribuente a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e l’omessa tenuta delle scritture obbligatorie non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di avere incaricato un professionista delle relative adempienze, dovendo egli altresì allegare e dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di avere svolto atti diretti a controllare la loro effettiva esecuzione, prova nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento”.