frode fiscaleNella sentenza 16679/2016 la suprema Corte è chiamata a pronunciarsi sulla questione degli effetti della frode Iva, nello specifico perpetrata mediante l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti nell’ambito del regime del reverse charge e, in particolare, sulle conseguenze ai fini del diritto di detrazione dell’Iva in capo al cessionario.

 

Dopo aver premesso che il regime dell’inversione contabile costituisce uno strumento che consente di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale relativi ad alcuni tipi di operazioni, il supremo Collegio ha precisato che, in base a tale regime, la fattura viene emessa dal cedente senza addebito d’imposta. Dopo di che, la fattura viene integrata dal cessionario, che diviene soggetto passivo d’imposta, con l’indicazione dell’aliquota e della imposta stessa. La fattura, così integrata, viene registrata nel registro delle vendite dal cessionario, che assolve all’obbligo di pagamento del tributo, detratto con la parallela annotazione nel registro degli acquisti.

 

Il Collegio precisa altresì che, trattandosi di operazione imponibile, il cedente conserva il diritto all’ordinaria detrazione dell’imposta relativa agli acquisti inerenti.

 

Dopo questa premessa di carattere generale, i supremi giudici hanno richiamato quanto già affermato nella giurisprudenza di legittimità a proposito del fatto che il disposto dell’articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972, da un canto, incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del principio comunitario di cui all’articolo 28-octies, paragrafo 1, lettera d), direttiva 1977/388/Ce (ora articolo 203, direttiva 2006/112/Ce), dall’altro, incide indirettamente – in combinato disposto con l’articolo 19, comma 1, e l’articolo 26, comma 3, del Dpr 633/1972 – sul destinatario della fattura medesima, inibendo per lo stesso il diritto alla detrazione dell’imposta in carenza del suo presupposto rappresentato dalla corrispondenza soggettiva dell’operazione esposta in fattura con quella concretamente effettuata (Cassazione, 12353/2005; idem cfr anche 22882/2006, 10338/2007, 16822/2007, 2823/2008, 20968/2008, 28561/2008, 10680/2009, 5746/2010, 17978/2012, 25142/2013, 27717/2013, 27718/2013, 27719/2013, 3105/2014, 23551/2014, 25756/2014, 26865/2014, 1289/2015, 3197/2015).

 

Il Collegio giudicante ha quindi precisato come ciò non sia altro che la conseguenza del fatto che la frode fiscale posta in essere mediante l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti rappresenta un limite al principio fondamentale della neutralità dell’Iva. Principio in base al quale la detrazione spetta se i requisiti dell’operazione sono stati comunque soddisfatti (in questo senso cfrCorte di giustizia Ce, 7 dicembre 2010, n. C-285/09). Ciò è tanto vero che – chiariscono i supremi giudici – di fronte a una frode perpetrata come, nella specie, mediante l’emissione di fatture inesistenti non vale il principio secondo il quale non può essere negata la detrazione dell’Iva all’operatore che per errore non abbia applicato la procedura di inversione contabile o l’abbia applicata erroneamente. Tale ipotesi presuppone che siano stati violati solo i requisiti formali e non quelli sostanziali, quali quelli che risultano, invece, violati nell’ipotesi di fatturazione per operazioni inesistenti (in proposito cfr Cassazione 5072/2015, 7576/2015, 7577/2015, 3581/2016, 3582/2016).