occultamento contabileAi fini della configurabilità del reato di distruzione o occultamento delle scritture contabili non è necessario che si verifichi un’impossibilità assoluta di determinazione del volume di affari e del reddito d’impresa, essendo sufficiente che la ricostruzione dell’imponibile evaso avvenga attraverso mezzi diversi dalle scritture obbligatorie quali, ad esempio, i controlli incrociati.

 

La ratio della norma, infatti, è quella di responsabilizzare l’imprenditore che è obbligato a conservare i documenti contabili inerenti l’attività d’impresa in modo da consentire in qualsiasi momento all’Amministrazione finanziaria la ricostruzione analitica dell’imponibile fiscale, escluso qualsiasi riferimento a una impossibilità assoluta di procedere a tale ricostruzione. Questo il principio sancito dalla sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 41830 del 19 ottobre 2015.

 

Il fatto

 

Con sentenza della Corte di appello veniva confermata la decisione del tribunale ordinario, con la quale un imprenditore era stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione perché colpevole del reato di distruzione e occultamento della documentazione amministrativo-contabile della propria azienda al fine di evadere le imposte.

 

La Corte, accogliendo le testimonianze dei militari della Guardia di finanza che avevano condotto la verifica fiscale nei confronti dell’azienda, aveva rilevato che l’indagato non avesse ottemperato all’invito a depositare la documentazione contabile perché, come dichiarato dal medesimo, la documentazione era stata smarrita a seguito del furto dell’auto in cui la stessa era custodita. Il motivo addotto dal reo era stato respinto dai giudici territoriali sulla scorta della considerazione che i documenti contenuti nell’auto rubata, secondo quanto dichiarato nella denuncia di smarrimento, non fossero le scritture contabili obbligatorie ma solo “varie fatture e fogliettini”.

 

Inoltre, ai fini della configurabilità del reato è risultato irrilevante il motivo di ricorso secondo cui, nonostante l’assenza della documentazione, i funzionari avessero ricostruito in via presuntiva il reddito d’impresa perché, a parere della Corte, tale ricostruzione non è equiparabile a quella realizzata sulla base dei documenti contabili obbligatori che il soggetto aveva sottratto alla verifica e, pertanto, il reato sussisteva.

 

Il ricorso per cassazione proposto dall’imputato è stato ritenuto infondato dai giudici di legittimità e, per tal motivo, rigettato con condanna di spese.

 

La decisione

 

Il motivo di ricorso rigettato dai giudici della Cassazione ha a oggetto la denuncia di erronea applicazione dell’articolo 10 del Dlgs 74/2000, che punisce chi, “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”. L’imputato aveva basato la propria difesa sulla tesi secondo cui la documentazione contabile della propria azienda fosse all’interno di un’autovettura, successivamente rubata, e che da ciò fosse derivata l’impossibilità di produrla agli organi verificatori.

 

Siffatta tesi è stata puntualmente smentita sia dalla Corte territoriale che dai giudici della Suprema corte perché, come è stato possibile desumere dalla denuncia di smarrimento presentata dal proprietario, nell’auto erano presenti solo “varie fatture e fogliettini” relativi all’attività lavorativa e non certo tutte le scritture contabili obbligatorie.

 

A ciò si aggiunga che l’imprenditore, nonostante il furto, non avesse provveduto al ripristino della documentazione contabile nell’anno successivo allo smarrimento, il che ha fatto presumere ai giudici la falsità della tesi difensiva.

 

Parimenti infondato è il motivo di doglianza lamentato dall’imputato secondo cui, nel caso di specie, non fosse configurabile il reato di distruzione delle scritture contabili perché i verificatori avevano comunque ricostruito in via presuntiva il reddito imponibile dell’impresa.

 

La possibilità di ricostruire il volume di affari avrebbe comportato, pertanto, erronea applicazione dell’articolo 10 del Dlgs 74/2000 nella parte in cui prevede che l’occultamento o la distruzione dei documenti contabili deve essere tale da non consentire “la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”.

 

Sul punto, i giudici della Suprema corte hanno affermato che, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario che “si verifichi in concreto una impossibilità assoluta di ricostruire il volume di affari o dei redditi, essendo sufficiente anche una impossibilità relativa che sussiste anche se a tale ricostruzione si possa pervenire aliunde”.

 

In altre parole, condizionare la sussistenza del reato alla capacità di ricostruzione del volume di affari o dell’ammontare del reddito imponibile da parte dell’autorità accertatrice sminuirebbe di fatto la portata sanzionatoria della norma, perché avrebbe una sorte di efficacia sanante dell’illecita condotta dell’imprenditore. Se così fosse, infatti, la condotta di distruzione o occultamento della documentazione contabile sarebbe difficilmente sanzionata, considerato che, di regola, l’ammontare evaso può essere determinato anche in assenza delle scritture obbligatorie, ad esempio attraverso l’utilizzo di controlli incrociati da parte dell’Amministrazione finanziaria.

 

Di contro, la norma in commento “acquista una precisa ragion d’essere anche perché responsabilizza l’imprenditore – allorché si interpreta nel senso che la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari dell’impresa deve poter avvenire con i documenti che l’imprenditore è tenuto a conservare – escluso, pertanto, qualsiasi riferimento ad una impossibilità assoluta di procedere a tale ricostruzione (cfr. Cass. n. 40552/2005).