Come per ogni processo, anche per quello tributario il legislatore ha avvertito l’esigenza di neutralizzare i danni che potrebbero prodursi in conseguenza della durata del giudizio e ha, pertanto, previsto una tutela di tipo cautelare, la cui disciplina è contenuta nell’articolo 22del Dlgs 472/1997 (decreto che reca le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie). Introdotta un’ulteriore causa di perdita di efficacia delle misure cautelari, che si verifica quando i provvedimenti non sono eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.
Nel commentare la riforma del contenzioso tributario, appare, quindi, opportuno soffermarsi anche sull’articolo 10, comma 3, lettera b), del Dlgs 156/2015, che ha introdotto importanti novità in ordine al citato articolo 22.
In sintesi, l’articolo 22 del Dlgs 472/1997, rubricato “Ipoteca e sequestro conservativo”, offre all’ufficio, “quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”, la possibilità di chiedere, “con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda”.
È ormai pacifico, infatti, che l’ambito oggettivo delle misure cautelari in materia tributaria si estenda alla pretesa erariale nel suo complesso e “prescinde invero dalla previsione di un ‘atto irrogativo di sanzioni’, richiedendo soltanto l’esistenza del ‘periculum in mora’ e del ‘fumus’ di un credito comunque fondato sulla normativa tributaria, sia a titolo di tributo che di sanzione” (cfr Corte di cassazione, sentenza 1838/2010).
Al riguardo, è opportuno precisare che le disposizioni di cui all’articolo 10 del Dlgs 156/2015 incidono, in particolare, sul procedimento da seguire e sulle cause di perdita di efficacia dei provvedimenti in esame, ma non sui presupposti della tutela cautelare che sono, e restano, il fumus boni iuris e il periculum in mora.
Per quel che concerne il procedimento, la norma continua a prevedere due distinte procedure, la prima “ordinaria” e l’altra “speciale”. Il rito ordinario prevede che l’ufficio notifichi l’istanza alle parti interessate, che possono, a loro volta, depositare memorie e documenti difensivi. Decorsi venti giorni dalla notifica dell’istanza, il presidente fissa con decreto la trattazione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. Per effetto delle modifiche in commento, ove la notifica debba essere eseguita all’estero, il predetto termine è elevato a trenta giorni(5). Nonostante il silenzio della norma, si ritiene che le parti debbano essere sentite in camera di consiglio prima che la commissione decida con sentenza.
Per quel che riguarda il rito “speciale”, con l’intervento legislativo in esame, è stato integralmente riscritto il comma 4 dell’articolo 22 del Dlgs 472/1997, in merito alla possibilità di adottare il provvedimento cautelare inaudita altera parte.
Il nuovo comma 4 prevede che “Quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente provvede con decreto motivato assunte ove occorra sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni assegnando all’istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto”.
Ne deriva che, nel caso in cui la convocazione della controparte possa pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il presidente concede le misure richieste con decreto motivato, dunque senza contraddittorio. Inoltre, con lo stesso decreto, il presidente deve fissare la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni, e assegnare all’istante (rectius, l’ufficio) un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza la commissione, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto. Si tratta di una modifica normativa chiaramente ispirata all’articolo 669-sexies cpc, che disciplina il procedimento cautelare uniforme.
Il legislatore ha provveduto, inoltre, alla soppressione del comma 5 dell’articolo 22, che disciplinava la presentazione delle istanze di tutela cautelare agli organi di giurisdizione ordinaria, essendo la materia delle misure cautelari già da tempo devoluta alla cognizione delle commissioni tributarie. Le modifiche al comma 6 dell’articolo 22 sono anch’esse di coordinamento formale con le nuove norme, in particolare con le disposizioni in materia di garanzia di cui all’articolo 69 del Dlgs 546/1992.
Infine, il comma 7 (in tema di efficacia delle misure cautelari) è stato implementato con la previsione di un’ulteriore causa di perdita di efficacia, che si verifica qualora i provvedimenti non siano eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione. Restano confermate le due ipotesi, già contemplate dal vigente testo dell’articolo 22 del Dlgs 472/1997, che ricorrono quando:
- nel termine di centoventi giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto impositivo, di contestazione o di irrogazione
- la sentenza, anche non passata in giudicato, accoglie il ricorso avverso gli atti di cui sopra.