In sede penale, i beni personali dell’imprenditore possono essere sequestrati anche quando la società è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo in data antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’Iva. È quanto affermato dalla Corte suprema con la sentenza n. 12912 del 31 marzo 2016.
La vicenda processuale
In sede di riesame viene confermata la misura cautelare del sequestro preventivo sui beni personali del legale rappresentante di una società, indagato per il reato di omesso versamento dell’Iva (punito ai sensi dell’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000). L’imputato impugna in Cassazione detto provvedimento cautelare, lamentando il difetto del fumus commissi delicti e dell’elemento soggettivo del reato contestato all’indagato. In particolare, il Tribunale del riesame avrebbe adottato il provvedimento impugnato in violazione di legge per non aver ritenuto che l’ammissione al concordato preventivo della società, della quale l’indagato risulta essere legale rappresentante, escluda i presupposti legittimanti la misura cautelare (ovvero sia ilfumus che l’elemento psichico del reato). A suo sostegno, il ricorrente cita l’orientamento di legittimità in base al quale è da escludere la configurabilità del reato di omesso versamento dell’Iva in presenza di concordato preventivo qualora tale versamento sia da effettuarsi successivamente alla domanda di ammissione al concordato (articolo 161, comma 6, della legge fallimentare). Nella specie, invero, il sistema concordatario, previsto dalla procedura concorsuale adita, prevede che il tributo venga versato solo quando gli organi della procedura avranno realizzato gli scopi previsti e omologati dal giudice.
La pronuncia della Cassazione
I supremi giudici investiti della questione hanno confermato la misura cautelare del sequestro preventivo con riguardo al reato di omesso versamento dell’Iva, ritenendo sussistente il fumus del predetto reato, pur in presenza di ammissione, in data antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, al concordato preventivo da parte della società, della quale l’indagato risulta essere legale rappresentante.
Osservazioni
Confermato, dunque, il maggioritario orientamento di legittimità in base al quale, in tema di omesso versamento Iva “l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, non esclude il reato previsto” dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, in relazione al debito d’imposta scaduto e da versare (si veda Cassazione, sentenze 44283/2013 e 39101/2013).
A sostegno del decisum, non solo la natura del reato contestato ma, altresì, il carattere inderogabile dell’obbligo di versamento dell’Iva dovuta, nonché la ratio sottesa alla procedura concorsuale (id estconcordato preventivo). Si tratta di un inadempimento, infatti, che ha natura di reato omissivo a carattere istantaneo e si perfeziona con il mancato pagamento alla scadenza del termine, essendo del tutto irrilevante il fatto che la società obbligata, e per essa il suo legale rappresentante, sia stata ammessa alla procedura di concordato preventivo in data antecedente, non avendo la stessa ottenuto alcuna dilazione di pagamento, a seguito di una espressa richiesta di accesso alla procedura di transazione fiscale avanzata con l’istanza di concordato preventivo.
Altresì, la legislazione vigente impone che, nel concordato preventivo, il debito Iva debba essere sempre pagato per intero, a prescindere dalla presenza o meno di una transazione fiscale, poiché la norma che lo stabilisce va considerata inderogabile e di ordine pubblico economico internazionale. L’Iva, secondo quanto osservato dalla Corte suprema, invero, è un tributo comunitario e, in base al diritto dell’Unione e alle decisioni della Corte di giustizia (sentenza 29/3/2012, causa C. 500/10), gli Stati membri sono tenuti a garantire la riscossione sul proprio territorio. Del resto, l’accesso alla procedura di concordato preventivo è atto di autonomia privata, d’iniziativa del debitore, che mira a sfociare nel patto concordatario con i creditori. Tale scelta, imputabile interamente alla volontà del debitore, non può portare, come sua conseguenza, a elidere gli obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, come la previsione del versamento dell’Iva alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente.
Ne deriva che il concordato preventivo non esclude la configurabilità del reato tributario previsto dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, con particolare riferimento al debito Iva scaduto e da versare, in quanto il debitore, pur nella strettoia della propria condizione finanziaria e patrimoniale (propria, quantomeno, della situazione di crisi), ha di fronte a sé una pluralità di soluzioni, a partire dalla transazione fiscale sino al piano che, indicando la prioritaria soddisfazione del debito d’imposta (peraltro avente rango privilegiato), rispetto a tutti gli altri (e beninteso con le risorse idonee al pagamento anche di tutti gli altri crediti aventi grado poziore rispetto al credito Iva), ove presentato tempestivamente in vista delle scadenze (e, quindi, previa ammissione del relativo concordato), raggiunga anche l’approvazione dei creditori e la conseguente omologazione del Tribunale, fatti giuridici idonei a consentire la successiva esecuzione dei pagamenti senza falcidie. In altri termini, il debitore concordatario, ove versi il tributo pur dopo la presentazione della domanda di concordato, non violerebbe nemmeno il principio di uguaglianza tra i creditori.