Gli eurogiudici chiamati a fornire indicazioni in merito alla compatibilità della legislazione svedese con quella comunitaria che ha indotto la Commissione europea a intervenire.
Il 10 aprile 2006, la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora alla Svezia sostenendo che era venuta meno agli obblighi derivanti dal rispetto dell’articolo 13, titolo A, paragrafo 1), lettera a) e titolo B), lettera e), della direttiva Iva. Il motivo è legato al fatto che la Svezia non esenta da Iva né le prestazioni di servizi né le cessioni di beni accessori a tali prestazioni, esclusi il trasporto di persone e le telecomunicazioni, effettuate dai servizi pubblici postali, né le cessioni, al valore facciale, di francobolli validi per l’affrancatura nel suo territorio.
Di contrario avviso si mostrava la Svezia che, dal suo punto di vista, non riteneva di accogliere le contestazioni ricevute. La Commissione, pertanto, proponeva ricorso avanti la Corte Ue e la Svezia resisteva in giudizio.
Le posizioni delle parti
In primo luogo, secondo la Commissione, la Svezia deve esentare dall’Iva i servizi e le cessioni di beni accessori, esclusi il trasporto di persone e le telecomunicazioni, che una società di servizi postali privata, designata fornitore del servizio postale universale in Svezia, doveva fornire conformemente alla direttiva 97/67.
La Commissione, in particolare, osserva che i servizi del fornitore del servizio universale, conformemente agli obblighi ad esso incombenti in virtù degli articoli da 3 a 6 della direttiva 97/67, rientravano nella nozione di “operazioni (…) effettuate dai servizi pubblici postali” ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a) della direttiva Iva.
Nè alcuna distorsione di concorrenza, continua la Commissione, può dispensare la Svezia dal suo obbligo di applicare l’esenzione Iva, che si distingue da altre disposizioni della medesima direttiva proprio per il suo carattere incondizionato.
La Svezia, di contro, sostiene che esentare la società privata di servizi postali dall’Iva sarebbe stato contrario proprio alla direttiva Iva, alle disposizioni del trattato sul funzionamento dell’unione europea in materia di concorrenza nonché agli scopi della direttiva 97/67.
A tal proposito esso faceva valere che, in Svezia, una trentina di imprese operavano, in condizioni finanziarie identiche, su un mercato postale liberalizzato da lungo tempo, in cui non esisteva più un“servizio postale universale”. In questo senso, esentare la società fornitrice del servizio universale dall’Iva equivale a conferirle, rispetto ai suoi concorrenti, un vantaggio tale da violare la libera concorrenza del mercato postale, a scapito del consumatore finale.
Riguardo la seconda censura, la Commissione sostiene che la Svezia doveva esentare dall’Iva le cessioni, al valore facciale, di francobolli validi per l’affrancatura nel suo territorio. Essa sosteneva che i francobolli costituissero una modalità di pagamento dei servizi postali e che la portata dell’esenzione prevista per quanto li riguardava avrebbe dovuto, ad ogni modo, corrispondere a quella riconosciuta all’esenzione prevista per i servizi pubblici postali.
La Svezia, invece, si avvaleva del descritto argomento della Commissione ma traeva la conclusione contraria, conformemente al preteso assoggettamento all’Iva dei servizi pubblici postali.
La sentenza
Secondo la Corte, il ricorso della Commissione è integralmente fondato. La società considerata, secondo gli eurogiudici, dato che assicura in Svezia tutto o parte del “servizio postale universale”, ai sensi della direttiva 97/67, deve essere qualificata come “servizio pubblico postale”, secondo l’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva Iva, e, di conseguenza, le prestazioni di servizi e le cessioni di beni accessori a tali prestazioni, esclusi il trasporto di persone e le telecomunicazioni, che tale società effettua in quanto fornitore del servizio universale, devono essere esentate dall’Iva.
Né giova alla posizione della Svezia, continua la Corte, l’argomento secondo cui il principio di neutralità osterebbe all’interpretazione della direttiva Iva proposta dalla Commissione: infatti, le prestazioni della società fornitrice del servizio postale universale non sono diverse da quelle effettuate da altri operatori sul mercato svedese. In questo senso, la differenza tra i servizi pubblici postali e gli altri operatori non attiene alla natura delle prestazioni effettuate, ma al fatto che gli operatori che assicurano tutto o parte del servizio postale universale sono assoggettati ad un regime giuridico particolare comprendente obblighi specifici, ai quali è effettivamente soggetta la società svedese.
Quanto alla seconda censura – argomenta la Corte – risulta dalla formulazione letterale dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera h), della direttiva Iva che gli Stati membri devono esentare dall’Iva le cessioni, al valore facciale, di francobolli validi per l’affrancatura nel loro rispettivo territorio.
Pertanto, concludono i togati comunitari, l’assoggettamento all’Iva – previsto dalla legislazione svedese – è contrario alle disposizioni dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sull’imposta sul valore aggiunto.
Conclusioni
La Svezia è venuta meno agli obblighi ad esso incombenti in forza, rispettivamente, degli articoli 132, paragrafo 1, lettera a), e 135, paragrafo 1, lettera h), della direttiva Iva, non esentando dall’imposta sul valore aggiunto le prestazioni di servizi e le cessioni di beni accessori a tali prestazioni, esclusi il trasporto di persone e le telecomunicazioni, effettuate dai servizi pubblici postali, nonché le cessioni, al valore facciale, di francobolli validi per l’affrancatura nel suo territorio.
Data della sentenza
21 aprile 2015
Numero della causa
Causa C-114/14
Nomi delle parti
Commissione europea contro Regno di Svezia