condono fiscaleNel quadro dell’iniziativa contro l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (Base erosion and profit shifting) dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), specifica attenzione è stata dedicata al tema degli strumenti finanziari ibridi e delle strutture ibride. Il 5 ottobre 2015 è stato pubblicato il Final report n. 2, intitolato “Neutralising the Effects of Hybrid Mismatch Arrangements”, che raccomanda l’adozione di una serie di norme, soprattutto a livello interno e in minor misura a livello convenzionale, volte a prevenire fenomeni di doppia non-imposizione derivanti dall’utilizzo di detti strumenti e strutture. Il 19 luglio scorso è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la direttiva 2016/1164/Ue (“direttiva anti-evasione”) che, tra le altre, contiene specifiche indicazioni in materia di disallineamenti da ibridi. Il 23 luglio scorso è entrata in vigore la legge 7 luglio 2016, n. 122, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”, che ha introdotto novità in tema di deducibilità e non inclusione della remunerazione di particolari strumenti finanziari. Da ultimo, il 23 agosto scorso l’Ocse ha rilasciato un duscussion draft relativo ai disallineamenti da ibridi concernenti le stabili organizzazioni.

 

Tutti i documenti citati si concentrano principalmente sulle problematiche derivanti dall’interazioni tra diverse giurisdizioni fiscali. Gli illeciti risparmi di imposta possono, però, avere anche fonte esclusivamente endogena a un ordinamento, specie nel caso di adozione di diversi principi contabili. A fronte dell’azione delle istituzioni internazionali, il legislatore italiano sarà prossimamente chiamato a una complessa opera di adeguamento della normativa nazionale che, visti i termini concessi dalla direttiva anti-evasione, dovrà essere completata entro e non oltre il 31 dicembre 2018. Le modifiche normative richieste potranno sicuramente sfruttare le norme già presenti nell’ordinamento che, in misura minore o maggiore, costituiscono un buon punto di partenza per rendere la legislazione nazionale a prova di “ibrido”.

 

La direttiva anti-evasione

 

Il considerando 13 della direttiva 2016/1164/Ue chiarisce che i disallineamenti da ibridi sono la conseguenza delle differenze nella qualificazione giuridica dei pagamenti connessi a strumenti finanziari, o delle entità, e tali differenze emergono quando i sistemi giuridici di due giurisdizioni interagiscono. L’effetto di tali disallineamenti è spesso una doppia deduzione (ossia una deduzione in entrambi gli Stati) o una deduzione dei redditi in uno Stato senza che tali redditi siano inclusi nella base imponibile dell’altro Stato. In maniera più puntuale, il punto 9) dell’articolo 2 (definizioni) precisa che “un disallineamento da ibridi è una situazione che insorge tra un contribuente in uno Stato membro e un’impresa associata in un altro Stato membro o una modalità strutturata tra parti negli Stati membri in cui il seguente risultato è imputabile a differenze della caratterizzazione giuridica di uno strumento finanziario o di un’entità:

 

a) lo stesso pagamento, le stesse spese o le stesse perdite sono dedotti sia nello Stato membro in cui il pagamento ha origine, le spese sono sostenute o le perdite sono subite sia in un altro Stato membro («doppia deduzione»); o

 

b) a un pagamento è applicata una deduzione nello Stato membro in cui il pagamento ha origine senza una corrispondente inclusione, a fini fiscali, dello stesso nell’altro Stato membro («deduzione senza inclusione»)”.

 

A fronte delle problematiche evidenziate, l’articolo 20 (disallineamenti da ibridi) statuisce che

 

1. Nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una doppia deduzione, la deduzione si applica unicamente nello Stato membro in cui detto pagamento ha origine.

 

 2. Nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una deduzione senza inclusione, lo Stato membro del contribuente nega la deduzione di detto pagamento”.

 

Le norme dell’ordinamento nazionale

 

L’ordinamento nazionale italiano non presenta misure espressamente volte a contrastare l’utilizzo di schemi ibridi e le norme esistenti si preoccupano principalmente di conservare la potestà impositiva interna, tralasciando gli effetti che vengono prodotti nelle altre giurisdizioni. Tale circostanza suggerisce di trattare la problematica distinguendo tre situazioni:

 

 

  1. remunerazioni percepite da soggetti residenti e corrisposte da soggetti non residenti
  2. remunerazioni corrisposte da soggetti residenti e percepite da soggetti non residenti
  3. operazioni intercorse tra soggetti nazionali.

 

 

Prima di analizzare le diverse ipotesi prospettate, si riepilogheranno breviter le norme tributarie concernenti la qualificazione e il trattamento impositivo degli strumenti finanziari.

 

Strumenti finanziari nell’ordinamento tributario nazionale

 

Da un punto di vista tributario, è possibile raggruppare gli strumenti finanziari in tre macro-categorie:

 

 

  • azioni e strumenti finanziari assimilati alle azioni
  • obbligazioni e strumenti finanziari assimilati alle azioni
  • titoli atipici.

 

 

L’articolo 44 del Dpr 917/1986 prevede che si considerano similari alle azioni i titoli la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi; per gli strumenti emessi da soggetti non residenti, l’assimilazione opera solo nel caso in cui la remunerazione non è deducibile dal reddito del soggetto emittente. La stessa norma definisce gli strumenti assimilati alle obbligazioni come i titoli di massa che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente o dell’affare in relazione al quale siano stati emessi né di controllo sulla gestione stessa. I titoli atipici, invece, in base all’articolo 5 del Dl 512/1983, sono gli strumenti finanziari non inquadrabili né come azioni (o strumenti assimilati) né come obbligazioni (o strumenti assimilati).

 

Per quanto riguarda il regime impositivo delle remunerazioni connesse agli strumenti sopra presentati, tralasciando il regime delle ritenute, ai nostri fini è sufficiente ricordare che le remunerazioni relative alle azioni (e agli strumenti assimilati) sono indeducibili per il pagante e parzialmente non imponibili per il percettore; quelle relative alle obbligazioni, agli strumenti loro assimilati e ai titoli atipici, sono interamente imponibili per il percettore e deducibili totalmente, o parzialmente, per il soggetto che le corrisponde. In particolare, non è deducibile la parte della remunerazione connessa all’andamento economico della società emittente.

 

Remunerazioni percepite da soggetti residenti e corrisposte da soggetti non residenti

 

Le remunerazioni percepite da soggetti residenti e corrisposte da soggetti non residenti presentano un trattamento impositivo di favore solo se collegate ad azioni o strumenti finanziari a esse assimilati. Come detto, però, se l’emittente è un soggetto non residente, l’assimilazione alle azioni è subordinata alla circostanza che la remunerazione non sia deducibile, nemmeno in parte, dalla sua base imponibile. Pertanto, per quanto riguarda i proventi in entrata, la norma nazionale è idonea a fornire una buona protezione da fenomeni di deduzione senza inclusione. Anzi, la risposta ordinamentale si presenta molto più severa di quella suggerita dall’Ocse e dall’Unione europea in quanto l’assimilazione, e quindi l’esclusione dal reddito imponibile, viene totalmente meno anche se solo parte del pagamento è deducibile.

 

Tale circostanza, idonea a creare fenomeni di doppia imposizione, rende la disposizione non perfettamente in linea con le raccomandazioni Ocse e, fino alle recenti modifiche apportate dalla legge europea del 2016, confliggente con la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento. La legge europea, infatti, novellando l’articolo 89 (dividendi e interessi) del Dpr 917/1986, ha inserito il nuovo comma 3-bis, che prevede l’esclusione dalla base imponibile delle remunerazioni relative a strumenti finanziari di ogni tipo in misura pari al 95% della quota di esse non deducibile nella determinazione del reddito del soggetto erogante. L’esclusione in parola si rende applicabile solo quando la società pagante e quella percettrice hanno i requisiti per essere ricomprese nell’ambito della direttiva 2014/86/Ue (madre-figlia), e ha permesso all’Italia di porre fine alla procedura di infrazione n. 2016/0106.

 

Altro limite della norma nazionale è rappresentato dal fatto che la stessa impedisce l’assimilazione alle azioni solo in caso di “deducibilità” del compenso. In verità, fenomeni di deduzione senza inclusione possono prodursi anche quando il compenso non è deducibile, ma conferisce all’erogante il diritto a un credito di imposta in misura corrispondente alle imposte pagate sugli utili poi distribuiti. Tali situazioni, a oggi, sono contrastabili solo tramite un’interpretazione estensiva della norma.

 

Remunerazioni corrisposte da soggetti residenti e percepite da soggetti non residenti

 

I pagamenti relativi a strumenti finanziari sono indeducibili se relativi ad azioni o a strumenti finanziari a queste assimilate. Se relativi ad altri titoli, in base a quanto disposto dall’articolo 109 del Dpr 917/1986, sono indeducibili per la parte che “ direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi”. La norma, pur permettendo di intercettare alcune tra le fattispecie più tipiche di strumenti ibridi, disinteressandosi completamente del trattamento tributario che lo stato del percettore riserva al provento, lascia numerose aperture e può creare fenomeni di doppia imposizione. Infatti, alcuni ordinamenti, indipendentemente dalle modalità di calcolo della remunerazione, assimilano alle azioni i finanziamenti dei soci erogati in misura proporzionale alla partecipazione al capitale sociale, oppure le obbligazioni che non garantiscono il rimborso dell’apporto o lo prevedono dopo un periodo di tempo superiore ai 50 anni. Allo stato attuale, le fattispecie brevemente tratteggiate non sono colpite dalla norma. D’altro canto, se lo stato del percettore tassa per intero il provento, la norma può associare a un’imposizione totale una parziale non deduzione.

 

Operazioni intercorse tra soggetti nazionali

 

Per quanto riguarda le operazioni intercorrenti tra soggetti fiscalmente residenti nello stesso Stato, i salti di imposta derivanti dall’utilizzo di strumenti ibridi sono, generalmente, molto difficili da realizzare poiché gli ordinamenti giuridici trattano una stessa transazione in maniera coerente. Nell’ordinamento italiano, fino alla recente legge europea, in caso di strumenti finanziari con remunerazione parzialmente collegata ai risultati economici della società, si realizzava sempre un fenomeno di doppia imposizione così strutturato:

 

 

  • l’erogante non poteva dedurre la quota di remunerazione relativa ai risultati economici della società
  • il percettore doveva tassare l’intero provento.

 

 

La legge europea ha novellato l’articolo 109 del Dpr 917/1986, inserendo il comma 3-bis che, alla lettera a), prevede la non imponibilità in misura pari al 95% delle remunerazioni non deducibili poiché collegate all’andamento economico della società. Le operazioni intra-ordinamentali possono produrre salti di imposta da ibridi quando, come nel caso italiano, convivono diversi framework contabili: le operazioni intercorse tra soggetti Italian Gaap Adopter e Ias Adopter, stante la diversità dei criteri di imputazione temporale, qualificazione e classificazione, possono creare situazioni di deduzione senza inclusione. Un esempio classico è rappresentato dai finanziamenti soci infruttiferi con periodo di restituzione ultra-annuale erogati da un soggetto Italian Gaap Adopter a uno Ias Adopter.

 

In tal caso, l’erogante contabilizza un credito verso la società beneficiaria.

 

La società beneficiaria, invece:

 

 

  • attualizza il proprio debito
  • imputa, pro rata temporis, interessi passivi deducibili in conto economico
  • trasforma la differenza tra somma ricevuta e valore attuale del debito in una posta di patrimonio netto.

 

I risparmi di imposta del tipo appena descritto, in mancanza di contromisure ad hoc, dovrebbero essere superati grazie alla continua opera di convergenza tra standard contabili nazionali e internazionali.

 

Conclusioni

 

I vuoti presenti nel nostro ordinamento tributario derivano dalla vetustà delle norme redatte quando la libera circolazione di capitali e la finanza strutturata erano ancora in nuce. Per proteggere la potestà impositiva nazionale, è necessaria una costante opera di aggiornamento volta a rendere l’ordinamento coerente con la realtà economica circostante. In questo senso, le iniziative di livello sovranazionale sono un sicuro aiuto per il nostro legislatore anche nell’ovvia considerazione che i fenomeni di pianificazione aggressiva transnazionale possono essere contrastati solo tramite un’azione coordinata degli Stati interessati. Le iniziative unilaterali, impensabili in ambito unionale, rischiano di essere inadeguate e possono essere foriere di indesiderati fenomeni di doppia imposizione idonei a rendere il nostro sistema fiscale meno attraente di quello di altri Stati, con risvolti negativi in termini di immagine e di capacità di attrarre nuovi capitali e investimenti.