lista falcianiNella valutazione della genuinità e della valenza indiziaria dei dati contenuti nella lista “Falciani”, i giudici di merito devono considerare che l’Amministrazione finanziaria è impossibilitata a verificare presso la banca elvetica i dati contenuti nella lista, essendo ben noto che il segreto bancario in Svizzera, all’epoca dei fatti, non consentiva alcun riscontro in merito al contenuto della lista. Nessuna valenza può avere, inoltre, il fatto che la scheda clienti non fosse su carta intestata all’istituto di credito, visto che la stessa era stata trovata nella disponibilità del dipendente della banca e non presso l’istituto bancario al quale la scheda si riferiva. A tal proposito, l’attendibilità del documento riceve conforto proprio da quelle circostanze relative all’illiceità della provenienza, ovvero dal fatto di essere stato trafugato dal dipendente (infedele) della banca.

 

Sono questi i principi che si desumono dall’ordinanza della Cassazione n. 9760 del 13 maggio, che fa seguito alle ordinanze 8605 e 8606 che avevano, invece, legittimato l’utilizzo dei dati contenuti nella lista, sia in quanto l’acquisizione da parte delle autorità italiane era avvenuta nel rispetto di accordi internazionali atti a contrastare fenomeni di evasione sia in quanto nell’ordinamento tributario sono utilizzabili anche elementi di prova assunti irritualmente purché non lesivi dei diritti fondamentali di rango costituzionale, per tale non potendosi ritenere il segreto bancario, posto invece a garanzia di istituzioni economiche e interessi patrimoniali.

 

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione

 

La Ctr del Veneto, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado, annullava gli avvisi di accertamento per gli anni 2005 e 2006 emessi sul presupposto che il contribuente, il cui nome risultava nella lista “Falciani”, avesse sottratto a tassazione alcuni capitali rinvenuti su un conto di una banca svizzera.

 

I giudici di appello dubitavano della genuinità e dell’attendibilità della lista per una serie di ragioni, tra cui la mancanza di alcun riscontro con la banca e l’impossibilità di attribuirne con certezza la provenienza: di qui, la irrilevanza probatoria della stessa, anche perché priva del supporto di altri elementi che l’Agenzia delle entrate non aveva fornito.

 

Col successivo ricorso per cassazione, l’Agenzia deduceva violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile, relativi alla ripartizione dell’onere probatorio e alla valenza indiziaria delle presunzioni semplici.

 

Con un altro motivo denunciava l’omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la Ctr aveva tralasciato di considerare alcuni elementi idonei a ricondurre i dati riportati sulla scheda proprio al contribuente accertato, ovvero le numerose esperienze professionali all’estero del contribuente, medico di fama internazionale, e la discrasia rappresentata dall’assenza di redditi da attività professionali nelle dichiarazioni presentate e la mancanza di denunzia nei confronti dei terzi che “a sua insaputa e a suo nome” avrebbero aperto il conto in Svizzera.

 

La Cassazione, nell’esaminare congiuntamente i suddetti motivi di ricorso, ripercorre preliminarmente i passaggi dell’impugnata pronuncia di secondo grado, soprattutto laddove la stessa ha valorizzato la mancanza di riscontri in merito alla provenienza dalla banca della scheda clienti, non risultando la lista riprodotta su carta intestata all’istituto bancario nonché l’assenza di conoscenza circa l’effettivo autore della lista.

 

Secondo gli ermellini, “l’attendibilità di tale “lista” riceve del resto conforto proprio da quelle circostanze relative alla illiceità della provenienza”. “In buona sostanza, è pacifico che il funzionario…operava presso la banca HSBC e che quest’ultimo ha, con violazione dei suoi doveri nei confronti del datore di lavoro, estratto dall’archivio informatico della banca i files che costituiscono la così detta “lista F.”; esiste dunque un alto tasso di probabilità che i dati di cui si discute siano conformi al vero”.

 

Tale argomentazione vale a vanificare anche l’assunto relativo alla mancata riproduzione della lista su carta intestata alla banca: quest’ultima, infatti, era stata trovata nella disponibilità del dipendente dell’istituto di credito e non presso la banca.

 

Nulla di più poteva quindi richiedersi all’Amministrazione finanziaria, soprattutto in ordine alla verifica dei dati acquisiti presso l’istituto bancario, “essendo ben noto che il segreto bancario in Svizzera, all’epoca dei fatti, non consentiva alcuna acquisizione di conforto al contenuto della Lista da parte dell’Amministrazione fiscale”.

 

Considerazioni che, secondo i giudici, sono risultate possibili in quanto il raffronto fra gli indizi disponibili e la conseguente scelta di quelli che conducono alla decisione è senza dubbio compito del giudice di merito; rientra invece nel giudizio di legittimità valutare che gli indizi possiedano una qualche capacità probatoria.

 

Di conseguenza, il ricorso è stato accolto con rinvio della controversia ad altra sezione della Ctr.

 

Ulteriori osservazioni

 

Per “lista Falciani” si intende un insieme di dati concernenti il possesso, da parte di cittadini italiani, di attività finanziarie presso la “HSBC Private Banking” di Ginevra.

 

La “lista” è stata consegnata da un ex dipendente dell’istituto di credito all’autorità fiscale francese e da questa trasmessa all’autorità fiscale italiana nell’ambito della collaborazione informativa internazionale prevista dalla direttiva 77/799/Cee del Consiglio del 19 dicembre 1977, nonché dalla convenzione tra l’Italia e la Francia contro le doppie imposizioni, ratificata con legge 20/1992.

 

Sulla base delle risultanze della “lista”, gli uffici dell’Agenzia hanno emesso numerosi atti impositivi in cui si accerta l’omessa dichiarazione di redditi e attività finanziarie detenute all’estero, nonché atti di contestazione e irrogazione sanzioni, concernenti le violazioni della normativa in materia di monitoraggio fiscale (Dl 167/1990).

 

L’utilizzabilità, ai fini di accertamento tributario, degli elementi desunti dalla “lista” è stata oggetto di numerose contestazioni da parte dei contribuenti, secondo i quali i dati e gli elementi in essa contenuti sarebbero stati illegalmente sottratti dal sistema informatico dell’istituto di credito dall’allora dipendente Falciani e da questi successivamente divulgati.

 

Le prime pronunce dei giudici di merito sono state oscillanti

 

Secondo la tesi favorevole all’Agenzia, l’illecita sottrazione alla banca svizzera dei nominativi dei correntisti sarebbe stata sanata dalla legittima acquisizione della lista da parte delle autorità italiane, vale a dire nel rispetto delle procedure sullo scambio di informazioni previste dalla direttiva e dalla convenzione.
Entrambe le normative disciplinano in maniera ampia lo scambio di informazioni tra amministrazioni estere, il cui scopo è quello di consentire la reciproca comunicazione di dati ed elementi utili per le attività di contrasto ai fenomeni di evasione basati sull’allocazione all’estero delle risorse che si intendono sottrarre all’imposizione.

 

Risulta pertanto evidente che la trasmissione della “lista” è avvenuta nel pieno rispetto delle finalità e delle procedure previste dalla direttiva e dalla convenzione, trattandosi di dati certamente utili a consentire all’autorità italiana di contrastare i fenomeni di evasione basati sull’omessa tassazione dei redditi e delle attività finanziarie detenute presso l’istituto di credito straniero.
Tali considerazioni hanno trovato accoglimento anche presso una parte della giurisprudenza tributaria di merito, la quale ha confermato la legittimità dell’acquisizione della “lista” in Italia (cfr, ex multis, Ctp di Treviso, sentenze 64/2012 e 59/2012, Ctp di Cremona 92/2013, Ctp Reggio Emilia 198/2012, Ctr Lombardia 1072/2014, Ctp di Genova 193/2012, Ctp di Milano 152/2013, Ctp di Como 52/2012).

 

Significativo, a tal proposito, il passo della pronuncia 198/2012, con cui la Ctp di Reggio Emilia precisa che “Il disconoscere l’ufficialità della documentazione trasmessa da autorità estere, vorrebbe dire depauperare di qualsiasi significato tutta la normativa in materia di cooperazione internazionale facendone venir meno la sottostante ratio di contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale. Ma anche nella denegata ipotesi in cui tale documentazione dovesse essere qualificata come non ufficiale, non si può non sottolineare come andrebbe in ogni caso privilegiato l’aspetto sostanziale dell’indagine, con conseguente piena utilizzabilità nel processo tributario dei mezzi probatori acquisiti in maniera irrituale”.

 

In ordine a quest’ultimo aspetto, va precisato che in ambito tributario non vige alcuna previsione generale di inutilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita, come accade invece in ambito penale con la previsione di cui all’articolo 191 cpp.

 

Tale posizione è avallata dalla Corte di cassazione, la quale, già con sentenza 8344/2001, aveva chiarito che “Non esiste … nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite”.

 

Dunque, il principio sancito dall’articolo 191 cpp “vale, ovviamente, soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale”, vale a dire in ambito penale.
Più in particolare, con tale pronuncia, la Cassazione ha precisato che, se nell’ambito di un procedimento penale viene rinvenuta della documentazione utilizzabile nel procedimento tributario, “la validità della acquisizione di tale documentazione, in quanto utilizzata nell’accertamento tributario, va giudicata sulla base delle norme disciplinanti i modi di tale accertamento e non di quelle che disciplinano il procedimento penale”. Ciò in quanto “l’autonomia dei due procedimenti consente l’esistenza di una situazione per cui una nullità afferente un atto del procedimento penale non ha rilievo nel procedimento tributario”.

 

Il medesimo orientamento è stato successivamente confermato dalla sentenza 24923/2011, con la quale la Suprema corte ha precisato che “non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale” (cfr Cassazione 8273/2003, 19689/2004, 14058/2006, 8990/2007).

 

In altri termini, in base al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, in assenza di una norma generale sull’inutilizzabilità in ambito tributario, eventuali illegittimità nelle procedure di acquisizione della documentazione non si riverberano sulla legittimità dell’atto tributario, salvo che:

 

  • l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di una norma tributaria, che sanziona la propria violazione con l’inutilizzabilità della documentazione medesima

 

  • l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di un diritto fondamentale di rango costituzionale.

 

Queste conclusioni sono state fatte proprie anche dalle recenti ordinanze 8605 e 8606 depositate lo scorso 28 aprile (le prime sul tema), con cui la Cassazione ha stabilito che:

 

  • l’Amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento dell’evasione fiscale può – in linea di principio – avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dall’Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente

 

  • sono perciò utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco). Nell’ordinamento tributario, ai fini di un accertamento fiscale, assumono rilievo e sono utilizzabili anche elementi di prova assunti irritualmente purché non lesivi dei diritti fondamentali di rango costituzionale, quale quello della libertà personale del contribuente; alla luce di tanto, il principio di garanzia proprio del diritto della libertà personale non è applicabile all’obbligo di riservatezza cui sono tenuti gli istituti bancari nei confronti delle operazioni compiute dai propri clienti, in quanto a fondamento del segreto bancario non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma piuttosto istituzioni economiche e interessi patrimoniali

 

  • spetterà quindi al giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente.

 

A tal proposito, la Corte sottolinea che la lista rappresenta un indizio idoneo a giustificare le riprese fiscali, ricordando il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità per cui “in linea di principio che gli elementi idonei a consentire al giudice di trarre la prova di un fatto in via presuntiva ai sensi dell’art. 2729 c.c. non devono necessariamente essere più di uno nonostante la previsione del requisito della concordanza contenuto in tale norma, valendo questa solo nell’ipotesi in cui concorrano più elementi e potendo quindi anche uno solo di essi essere assunto a base purché grave e preciso.

 

La presunzione semplice del resto non è altro che un procedimento logico da cui il giudice desume l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto sul presupposto di una loro successione nella normalità dei casi. E’ evidente pertanto che anche un solo fatto, qualora presenti i suddetti requisiti, possa essere idoneo per una tale deduzione e costituire quindi la fonte della presunzione” (cfr Cassazione 4472/2003, 12671/2005, 22122/2010).

 

È proprio sulla valenza probatoria della lista e sulla genuinità della stessa che si è concentrata la pronuncia in commento, fornendo un interessante contributo atto a scoraggiare le eccezioni sul punto sollevate dai contribuenti.