Sulla scia di quanto era stato già affermato in merito alla lista “Falciani” (ordinanze 8605/2015, 86066/2015 e 9760/2015 e sentenze 16950/2015 e 16951/2015), con la sentenza 17183 del 26 agosto 2015, la Corte di cassazione ammette l’utilizzabilità anche delle informazioni contenute nella lista “Pessina” (avvocato svizzero, nel cui computer, sequestrato nel febbraio 2009 a seguito arresto per riciclaggio, fu trovata una serie di nomi con accanto una cifra che indicava la somma che diversi contribuenti avevano depositato all’estero senza aver pagato nulla al fisco italiano).
Vicenda processuale
La vicenda in esame è stata attivata dalle informazioni rinvenute dalla Guardia di finanza nella lista “Pessina”, il quale, per effetto di rapporti di mandato e di consulenza con propri clienti, aveva promosso, anche tramite una società svizzera allo stesso riconducibile, la costituzione di trust e fondazioni nel Lichtenstein o in altri Paesi stranieri, ovvero l’interposizione di società veicolo, con l’intento di consentire la permanenza all’estero di capitali italiani scudati, promuovendo quindi finanziamenti e ristrutturazioni societarie per il rientro in Italia di capitali detenuti all’estero.
Nella specie, a due coniugi indicati nella lista erano stati notificati atti impositivi in materia di imposte dirette e Iva e relative sanzioni, che la Commissione provinciale adita aveva annullato, con conferma anche in secondo grado. A tal fine, si riteneva che non sussistessero elementi idonei a confermare la riconducibilità ai contribuenti delle disponibilità all’estero di danaro, trattandosi quindi di accertamenti surrettiziamente supportati da “mere considerazioni erariali”. Né sarebbe stato in alcun modo dimostrato dall’ente impositore il nesso di collegamento tra i depositi svizzeri riferibili ai coniugi accertati e i loro conti italiani.
Nel susseguente ricorso in Cassazione, l’Amministrazione finanziaria lamenta violazione dell’articolo 39, comma 1, lettere c) e d), del Dpr 600/1973, per errata valutazione delle presunzioni poste a base degli atti impositivi, per il fatto che la sentenza d’appello nega valore indiziario ai contenuti deifile rinvenuti nel computer sequestrato e l’inferenza che ne deriva in relazione a una serie di dati logici e circostanziali desumibili dagli accertamenti fiscali.
Motivi della decisione
Nel decidere la vertenza, la Suprema corte ritiene assolutamente rilevanti le motivazioni esposte dall’ente impositore, le quali sottendono una serie di acquisizioni procedimentali consolidate della giurisprudenza di legittimità, in tema di presunzioni appunto, alle quali le Commissioni di merito non si sono minimamente attenute.
In particolare, ad avviso della Cassazione, il giudice d’appello ha erroneamente applicato la disciplina in tema di presunzioni, visto che l’organo giudicante non ha tenuto conto della tesi generale secondo cui il diritto interno, sia in materia di imposte dirette che di Iva, consente l’ingresso nell’accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni caratteristici della prova per presunzioni.
Tali elementi, infatti, non sono predeterminati né predeterminabili dalla legge, poiché “qualunque cosa, documento o dichiarazione può costituire la base per una inferenza presuntiva idonea a produrre conclusioni probatorie circa i fatti della causa”.
Ed è nella categoria delle presunzioni semplici che può essere ravvisata la via attraverso cui le prove atipiche possono entrare nel processo, presunzioni semplici i cui requisiti caratteristici non possono essere stabiliti a priori, conseguendo unicamente alla “concreta valutazione del contenuto indiziario degli elementi tipici”. Pertanto, se l’indizio ha le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza, può avere valore probatorio.
Spetta, quindi, al giudice di merito valutare i requisiti di cui all’articolo 2729 cc, nel contesto di tutti gli elementi offerti in giudizio, attraverso un esame che non deve essere “parcellizzato”. In tale ambito, la scorretta valutazione degli elementi medesimi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità (Cassazione 19894/2005).
Peraltro, aggiunge il giudice di legittimità, nel caso concreto è improbabile che i nomi dei soggetti sottoposti ad accertamento fossero finiti “accidentalmente” tra il materiale informatico del computer dell’avvocato Pessina.
La Corte precisa, quindi, l’irrilevanza della mancata attività del fisco con la quale si sarebbero dovute verificare le disponibilità estere dei ricorrenti, essendo avvenuta solo di recente l’eliminazione del segreto bancario in Svizzera e in Liechtenstein (accordi del 24 e 26 febbraio 2015 in tema di scambio d’informazioni ai fini fiscali), ponendo le condizioni per rendere più conveniente la voluntary.
In ultima analisi, il giudice d’appello ha omesso di valutare adeguatamente l’intero compendio logico e circostanziale offerto dall’Agenzia delle Entrate né ha dato conto degli eventuali elementi di controprova rispetto ai dati che emergono dalla lista “Pessina”.