IVA sanzioniNell’ambito di operazioni intracomunitarie di acquisto di beni o servizi, l’omessa annotazione delle fatture ricevute da fornitori residenti in altri Paesi membri dell’Unione europea nei registri degli acquisti e delle vendite non determina la perdita del diritto alla detrazione, purché siano soddisfatte le condizioni sostanziali per l’esercizio del diritto, che devono, pertanto, emergere – con certezza – dalla documentazione in possesso del contribuente ed esibita all’Amministrazione finanziaria in sede di verifica. Lo ha affermato la Corte di cassazione nella sentenza n. 3586 del 24 febbraio 2016.

 

La vicenda processuale

 

La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento, con il quale l’ufficio ha recuperato a carico della società contribuente, tra l’altro, l’imposta dovuta a titolo di Iva per l’anno 1998. Il recupero trae origine dalla circostanza per cui la società ha effettuato acquisti intracomunitari (prestazioni di servizi e di consulenza), con emissione di fatture da parte di soggetti residenti in altri Stati membri dell’Unione europea, che tuttavia non sono state, dalla stessa, annotate nei registri Iva. Infatti, il cessionario o committente deve numerare e integrare la fattura relativa all’acquisto intracomunitario con l’indicazione del controvalore in euro del corrispettivo e degli altri elementi che concorrono a formare la base imponibile dell’operazione, espressi in valuta estera, nonché dell’ammontare dell’imposta, calcolata secondo l’aliquota dei beni, ovvero deve emettere autofattura (articolo 46, Dl 331/1993) e deve annotare distintamente le fatture, sia nel registro delle fatture emesse sia nel registro degli acquisti (articolo 47, Dl 331/1993).

 

La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso della società. A seguito di appello dell’ufficio, la Commissione tributaria regionale ha confermato la pronuncia dei giudici di prime cure, affermando che la mancata annotazione delle fatture nei registri contabili integra un’infrazione meramente formale “atteso che l’imposta a debito risultava equivalente all’imposta a credito, con la conseguenza che la pretesa dell’ufficio doveva considerarsi illegittima, tanto in relazione alla maggiore Iva, quanto alla sanzione pecuniaria”. A seguito del ricorso per cassazione, proposto dall’Agenzia delle Entrate, la vicenda approda al vaglio della Corte suprema.

 

Decisione

 

Con la pronuncia in commento, la Corte di cassazione ha rigettato l’impugnazione, ritenendo corrette le conclusioni formulate dal giudice del merito, alla luce delle più recenti pronunce emesse dalla Corte di giustizia, in relazione alla questione controversa e recepite dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, secondo la Corte suprema, la tesi secondo cui la violazione degli obblighi contabili determinerebbe la “perdita del diritto” alla detrazione dell’Iva non può essere sostenuta alla luce del sistema normativo del tributo armonizzato.

 

La giurisprudenza comunitaria, infatti, ha evidenziato che, in difetto di una specifica disciplina in tal senso all’interno della sesta direttiva (applicabile ratione temporis), spetta agli Stati membri adottare misure idonee a consentire la rettifica e la correzione di eventuali errori formali e materiali, garantendo, da un lato, il rispetto del principio della neutralità, dall’altro, la lotta contro fenomeni di frode (cfr Corte giustizia, sentenza 19 settembre 2000 in causa C-454/98, Schmeink & Cofreth AG e Manfred Strobel; sentenza 21 marzo 2000, in cause riunite C-110/98 e C-147/98, Gabalfrisa; richiamate, inoltre, le sentenze: 8 maggio 2008, emessa nelle cause riunite C-95/07 e C-96/07,Ecotrade s.p.a., con riferimento alla disciplina della sesta direttiva e, in particolare, al sistema della inversione contabile previsto per gli acquisiti intracomunitari; 21 ottobre 2010, causa C-385/09,Nidera Handelscompagnie BV; 12 luglio 2012, causa C-284/11, EMS Bulgaria Transport OOD).

 

Al riguardo, per quanto concerne l’inosservanza di taluni obblighi “aggiuntivi e altre irregolarità contabili”, relativi alle formalità di esercizio del diritto a detrazione determinate dagli Stati membri, la Corte di cassazione evidenzia che la giurisprudenza comunitaria “è ferma nel principio che: – il diritto alla detrazione Iva in quanto modalità di attuazione del principio di neutralità fiscale è da porre a fondamento del sistema del tributo armonizzato e non può pertanto trovare di norma alcun limite … il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione deve individuarsi esclusivamente nella duplice condizione: a) che la obbligazione in rivalsa, avente ad oggetto la imposta detraibile, sia stata adempiuta dal soggetto passivo ovvero sia divenuta esigibile… ; b) che il soggetto passivo abbia destinato i beni e servizi acquistati/utilizzati per i quali è tenuto in rivalsa al pagamento della imposta, «ai fini di sue operazioni soggette ad imposta»”.

 

Da ciò consegue che, nell’ambito di operazioni intracomunitarie per beni o servizi resi da parte di soggetti residenti in altri Paesi membri che hanno emesso regolari fatture consegnate al cessionario o committente italiano, il quale assume la posizione di soggetto tenuto al pagamento dell’imposta, “la omessa annotazione di tali fatture nei registri Iva degli acquisti e delle vendite ai fini della compensazione dell’Iva a debito con l’Iva a credito in attuazione del principio di neutralità fiscale, non determina la perdita del diritto alla detrazione”.

 

Tale soluzione, tuttavia, non assume carattere assoluto, ma – come precisato dalla Corte suprema – solo “laddove siano state soddisfatte le condizioni sostanziali della esigibilità della imposta dovuta dal cessionario/committente e della destinazione dei beni o servizi, da quello acquistati od utilizzati, ad operazioni assoggettate ad imposta, sempre che tali condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente ed esibita alla Amministrazione finanziaria in sede di verifica”.

 

Osservazioni

 

La sentenza della Corte di cassazione in argomento si pone in continuità con altre precedenti pronunce, che recepiscono la posizione espressa dalla Corte di giustizia sulla questione (cfr più di recente, Cassazione 5072/2015, ma anche, sentenza 17588/2010, concernente un’ipotesi di erronea annotazione del registro degli acquisti di fatture relative a operazioni intracomunitarie indicate come ‘escluse da imposta’; sentenza 10819/2010, concernente un’ipotesi di omessa autofatturazione; sentenza 24912/2011, concernente un’ipotesi di emissione dell’autofattura in unica copia; sentenze 6925, 8038 e 8039 del 2013, concernenti un’ipotesi di omessa autofatturazione per prestazioni di servizi resi da non residente.

 

Sin dalla nota sentenza dell’8 maggio 2008, emessa nelle cause riunite C-95/07 e C-96/07 (Ecotrade vs Agenzia delle Entrate – Ufficio di Genova 3), la Corte di giustizia ha affermato che osta al diritto comunitario una prassi di rettifica e di accertamento “… che sanziona un’irregolarità contabile – consistente … nell’erronea iscrizione delle operazioni controverse nel solo registro degli acquisti in esenzione Iva, irregolarità che ha viziato anche le dichiarazioni fiscali compilate dalla Ecotrade – con il diniego del diritto a detrazione in caso di applicazione del regime dell’inversione contabile”. In particolare, la Corte di giustizia precisa che:

 

 

  • laddove si applichi il regime dell’inversione contabile, l’articolo 18, n. 1, lettera d) della sesta direttiva (vigente ratione temporis) autorizza gli Stati membri a fissare talune formalità che il soggetto passivo deve assolvere per poter esercitare il diritto alla detrazione (punto 57)
  • ai sensi dell’articolo 22, nn. 2 e 4, della medesima direttiva, ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata, così da consentire l’applicazione dell’Iva e i relativi controlli da parte dell’Amministrazione fiscale, e presentare una dichiarazione nella quale devono figurare tutti i dati necessari ad accertare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare; per far sì che ogni soggetto passivo adempia tali obblighi, detto articolo 22 autorizza gli Stati membri ad adottare le misure a tal fine necessarie, e ciò anche nel caso dell’inversione contabile (punto 59)
  • per quanto riguarda gli obblighi derivanti dall’articolo 18, n. 1, lettera d), della sesta direttiva, “se è vero che tale disposizione consente agli Stati membri di fissare le formalità riguardanti l’esercizio del diritto a detrazione nel caso dell’inversione contabile, l’inosservanza di queste ultime da parte del soggetto passivo non può privarlo del suo diritto a detrazione. Infatti, poiché il regime dell’inversione contabile è incontestabilmente applicabile alle cause principali, il principio di neutralità fiscale esige che la detrazione dell’Iva a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi ” (punto 63);
  • di conseguenza, poiché l’Amministrazione fiscale dispone delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto destinatario della prestazione di servizi di cui trattasi, è debitore dell’Iva, essa non può imporre, riguardo al diritto di quest’ultimo di detrarre l’imposta in questione, condizioni supplementari che possono avere l’effetto di vanificare l’esercizio dello stesso.A parere dei giudici comunitari, nel caso di specie, la prassi di rettifica e accertamento italiana eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo di garantire il corretto adempimento degli obblighi previsti dalla sesta direttiva, “posto che il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di irrogare, se del caso, un’ammenda o una sanzione pecuniaria proporzionata alla gravità dell’infrazione, allo scopo di sanzionare l’inosservanza dei detti obblighi” (punto 67).

 

 

Le conclusioni adottate in sede comunitaria sono state fatte proprie dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione 56/E del 6 marzo 2009. In seguito, i giudici comunitari – nella sentenza 11 dicembre 2014 emessa nella causa C-590/13 (Idexx Laboratories Italia Srl vs. Agenzia delle Entrate) – hanno ribadito che le medesime conclusioni possono essere affermate anche nelle ipotesi di totale inosservanza degli obblighi contabili, dovendosi distinguere tra “requisiti formali” e “requisiti sostanziali” del diritto alla detrazione.

 

Più specificamente, i requisiti sostanziali sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione del diritto alla detrazione: “per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari di beni imponibili i requisiti sostanziali esigono che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’Iva attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili”. I requisiti formali del diritto a detrazione, invece, disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo, nonché il corretto funzionamento del sistema dell’Iva, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione. La mancata osservanza delle diposizioni che dettano i requisiti formali “in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, non può determinare la perdita del diritto medesimo”.

 

La “tutela” del generale principio della neutralità dell’Iva deve in ogni caso essere contemperata con l’esigenza di tutelare un altro obiettivo fondamentale perseguito dalle norme comunitarie ovvero la tutela da fenomeni di abuso e di frode. Per tale motivo, è necessario che il mancato adempimento dei requisiti formali (nel caso esaminato, l’omessa annotazione nei registri Iva) non si sia riflesso sulla possibilità di riscontrare i requisiti sostanziali. In tal senso, la Corte di cassazione afferma che il diritto a detrazione deve essere riconosciuto purché “tali condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente ed esibita alla Amministrazione finanziaria in sede di verifica”.