dichiarazione infedeleAl fine della configurazione del reato di dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000), la fattura attiva si considera emessa all’atto della sua spedizione.
È quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 34722/2015.

 

La vicenda processuale

 

I giudici di merito consideravano il legale rappresentante di una società colpevole del reato di dichiarazione infedele, secondo l’articolo 4 del Dlgs 74/2000, per aver indicato, nella dichiarazione Iva per il 2004, elementi attivi inferiori a quelli effettivi, superando le soglie di punibilità previste dalla norma incriminatrice.

 

In particolare, i giudici d’appello, nel confermare il giudizio di colpevolezza, davano atto della non rilevanza fiscale delle fatture attive emesse in favore di una cooperativa e relative a prestazioni di servizi. Tali fatture, invero, erano datate 31/12/2002 ma, di fatto, erano state recapitate alla cooperativa in data 16/1/2004. Come accertato dall’ufficio fiscale, l’emissione della fattura non coincideva con la mera compilazione, cioè con la loro annotazione in contabilità, bensì con la loro spedizione, nel caso specifico avvenuta nell’anno 2004 a seguito della richiesta di pagamento inoltrata alla cooperativa, ovvero con il momento in cui veniva riscosso il corrispettivo della prestazione.

 

L’imputato ricorreva in Cassazione lamentando il vizio di violazione di legge nonché il difetto di motivazione sull’affermazione di responsabilità penale. Deduceva nello specifico che erroneamente la Corte d’appello aveva considerato che le fatture in questione, benché pacificamente emesse in data 31/12/2002, avevano rilevanza fiscale nel 2004, solo perché allora consegnate alla cooperativa.

 

La pronuncia della Cassazione

 

I supremi giudici investiti della questione, nel rigettare il ricorso perché infondato, hanno stabilito che i giudici di merito, per l’individuazione della data in cui le fatture in questione devono considerarsi emesse ai fini che qui vengono in considerazione, l’hanno identificata correttamente con la data di effettiva spedizione delle stesse “a sua volta ragionevolmente desunta dalle prove raccolte in istruttoria e, segnatamente, dagli accertamenti condotti nei confronti della società a cui favore sono state rese le prestazioni cui le fatture medesime si riferiscono”.

 

Osservazioni

 

Secondo l’articolo 21, comma 1, del Dpr 633/1972, “la fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione all’altra parte ovvero all’atto della sua trasmissione per via elettronica”.

 

Nel rispetto della gerarchia delle fonti, è conforme a detta norma la circolare ministeriale 134/1994, richiamata dalla difesa, secondo cui, “ai fini dell’esatta imputazione al periodo di riferimento … per data di emissione deve intendersi la data indicata nella fattura”, da ritenersi “coincidente, in assenza di altra specifica indicazione, con la data di consegna o con quella di spedizione”, dovendosi questa intendere nel senso che la coincidenza possa presumersi solo ove non si abbia certezza dell’effettiva data di consegna o spedizione e non anche nel senso che, qualora emerga invece una difformità tra la data annotata nel documento e quella di sua effettiva spedizione o consegna, possa darsi rilievo alla prima anziché alla seconda.

 

Per i magistrati della Cassazione, nel caso specifico, i giudici di merito si sono attenuti a tale regola per individuare la data in cui le fatture in questione devono considerarsi emesse ai fini che qui vengono in considerazione, identificandola correttamente con la data di effettiva spedizione delle stesse. Considerato che è stata acquisita la prova certa della difformità tra la data indicata nelle fatture e la data di spedizione delle stesse: le fatture, pur datate 31 dicembre 2002, dovevano avere rilievo nella dichiarazione Iva 2004, perché solo in quell’anno erano state spedite al cliente.

 

La stessa regola interpretativa, secondo il consesso di legittimità, “spiega agevolmente anche la pure richiamata decisione sul punto emessa dal competente giudice tributario di primo grado, comunque di per sé certamente non vincolante per il giudice penale, avendo il primo evidentemente attribuito rilievo alla data indicata nelle fatture per la mancanza, in quel giudizio, di prova certa di una diversa data di spedizione o consegna delle stesse: prova invece acquisita nel presente procedimento e plausibilmente valorizzata dai giudici di merito alla stregua come detto di valutazione congruamente argomentata e come tale non sindacabile nella presente sede”.

 

Dunque, la Corte territoriale ha ben giudicato e, scrivono i giudici di legittimità, “corretta deve pertanto considerarsi anche l’individuazione della data di prescrizione del reato (indicata in sentenza al 25/06/2016, in considerazione delle sospensioni del computo del relativo termine verificatesi nel corso del processo), stante l’infondatezza delle sole ragioni di contestazione al riguardo dedotte, come detto legate alla suddetta infondata tesi circa la data in cui le fatture dovrebbero considerarsi emesse”.