Sul tema della detraibilità dell’Iva, va chiarito che, nel caso di emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell’Iva, costituita dall’effettuazione di un’operazione, giacché questa (riferendosi il Dpr n. 633 del 1972, articolo 19, comma 1, all’imposta relativa alle “operazioni effettuate”) deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione. Come è stato reiteratamente precisato dalla sezione tributaria della suprema Corte (ex multis, sezione 5, n. 23626 del 11/11/2011) la previsione del Dpr n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7 – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – è, con riguardo all’ipotesi considerata, esplicita nel senso di imporre il versamento dell’imposta, ma di precluderne la detrazione. Il diritto alla detrazione dell’Iva non può infatti prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in particolare della fattura che è considerata documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa.
Diversamente opinando, ritenendo cioè rilevante ai fini della evasione fiscale soltanto il mancato versamento dell’Iva da parte del cedente, si aggirerebbero elusivamente le disposizioni del Dpr n. 633 del 1972, articoli 19 e 26, che legittimano la detrazione Iva – da parte del cessionario – solo in relazione ad “effettive” operazioni commerciali (beni o servizi “importati od acquistati” nell’esercizio dell’attività economica) e riconducono ad unità il sistema della rivalsa e della detrazione.
Si tratta di principi che si applicano sia alle false fatturazioni emesse per operazioni oggettivamente inesistenti che a quelle emesse per operazioni solo soggettivamente inesistenti (quindi ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa perciò anche l’ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur risultando i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture che ha regolarmente versato il corrispettivo, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto documentato dalla fattura siano falsi) e, dunque, riconducibili alle cd. “frodi carosello”, caratterizzate dal fatto che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione Iva proviene in realtà da soggetto diverso da quello fittiziamente interposto che ha emesso la fattura, incassando l’Iva in rivalsa ed omettendo poi di versarla all’Erario.