La vicenda processuale trae origine da una questione pregiudiziale sollevata nell’ambito di una proposta di concordato preventivo presentata da una società italiana, dinanzi al Tribunale di Udine. Secondo il regio decreto n. 267del 16 marzo 1942, la disciplina ratione temporis del concordato preventivo, stabilisce che l’imprenditore che si trovi in stato di crisi o d’insolvenza può proporre ai suoi creditori di mettere a disposizione il proprio patrimonio per rimborsare integralmente i crediti privilegiati e parzialmente i crediti chirografari. Il concordato preventivo può, tuttavia, prevedere un pagamento parziale di talune categorie di crediti privilegiati, purché un esperto indipendente attesti che questi ultimi non riceverebbero un trattamento migliore nel caso di fallimento dell’imprenditore.
Ai sensi dell’articolo 182 ter della citata legge fallimentare, intitolato “Transazione fiscale”, è previsto che il debitore possa proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea. Con riguardo, tuttavia, all’Iva, la proposta del debitore può soltanto prevedere la dilazione del pagamento.
La posizione del giudice del rinvio
Il giudice del rinvio, rilevato che la predetta disciplina nazionale è interpretata dalla giurisprudenza della Corte suprema di cassazione, nel senso che il divieto di soddisfazione parziale del debito Iva verso l’Erario vale in ogni caso e rimane inderogabile anche nell’ambito di una proposta di concordato preventivo, rimetteva alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale vola a chiarire:
- se l’obbligo degli Stati membri di adottare tutte le misure legislative e amministrative necessarie a garantire il prelievo integrale dell’Iva, obbligo previsto dal diritto dell’Unione, impedisca effettivamente di ricorrere a una procedura concorsuale alternativa al fallimento, nel cui ambito l’imprenditore in stato di insolvenza liquidi tutto il proprio patrimonio per pagare i propri creditori e preveda pagamenti dei crediti Iva non deteriori rispetto all’ipotesi alternativa del fallimento;
- se sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all’Iva, qualora non sia utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente e all’esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare.
La pronuncia della Corte
Nel rispondere ai quesiti di diritto prospettati, i giudici dell’Unione rammentano la normativa dell’Unione, relativa all’Iva, secondo cui gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell’Iva nel loro territorio. Nell’ambito del sistema comune dell’Iva, osserva la Corte, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione. Tale libertà è tuttavia limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme dei medesimi.
Rammenta la Corte che, nell’ambito delle risorse proprie dell’Unione sono riconducibili le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili Iva armonizzati determinati secondo regole dell’Unione. Sussiste quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’Iva nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse Iva, poiché qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde. Ciò premesso, secondo la Corte di Giustizia, l’ammissione di un pagamento parziale di un credito Iva, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza ammesso ad una procedura di concordato preventivo non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’Iva e, pertanto, non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’Iva nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione.
La posizione degli eurogiudici
La soluzione della Corte accoglie le conclusioni dell’avvocato generale secondo cui l’obbligo della riscossione effettiva dell’Iva da parte delle autorità degli Stati membri non può essere assoluto. Principio, del resto, già affermato dalla Corte di giustizia in precedenti cause (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 29 marzo 2012, C‑500/10, Belvedere Costruzioni). In particolare, la pronuncia della Corte si fonda su un’argomentazione logica e giuridica tesa a valorizzare le garanzie offerte dalla procedura di concordato preventivo, in quanto soggetta a presupposti di applicazione rigorosi e tesa a garantire il recupero dei crediti Iva da parte dell’Erario. Tale possibilità è garantita dal voto in merito alla proposta di concordato preventivo che tutti i creditori (Erario compreso), ai quali il debitore non proponga un pagamento integrale del loro credito, sono chiamati ad esprimere. Ciò significa che lo Stato membro interessato ha la possibilità di votare contro una proposta di pagamento parziale di un credito Iva.
Infine, supponendo pure che, nonostante il voto negativo dell’Erario, una proposta di concordato sia adottata a maggioranza degli altri creditori e che, di conseguenza, il concordato preventivo debba essere omologato dal giudice adito, la procedura di concordato preventivo consente allo Stato membro interessato di contestare ulteriormente, mediante opposizione, un concordato che preveda un pagamento parziale di un credito Iva e a detto giudice di esercitare un controllo. La sentenza in commento, che riguarda esclusivamente l’interpretazione del diritto comunitario e non anche le disposizioni nazionali che disciplinano le procedure concorsuali, ammette, quindi, il sacrificio di parte del credito Iva dell’Erario. Ciò, a condizione che il sistema nazionale preveda strumenti e rimedi che consentano all’Erario di agire per la riscossione “effettiva” integrale del tributo giacchè, ciò che è contrario al diritto dell’Unione europea è la rinuncia generale alla pretesa erariale.