La Corte di Cassazione, con la sentenza 13 ottobre 2016, n. 20615, stabilendo che il comune non deve risarcire i danni se pubblica sull’albo pretorio online dati sanitari senza indicazione della patologia, ha affermato che la diffusione di un’informazione generica implica una soglia di danno minimo che rimane senza indennizzo, soprattutto se gli interessati sono difficilmente identificabili.
Nel caso di specie, un comune ha pubblicato sull’albo pretorio online due deliberazioni con indicazione di nome e cognome di alcune persone coinvolte in un sinistro stradale e con i dati sanitari di una signora caduta nell’atrio dell’ente. La identificazione dei soggetti menzionati nella delibera avrebbe potuto, pertanto, conseguire soltanto ad operazioni di ricerca, anche attraverso banche dati in possesso di terzi, comportanti un dispendio di attività, di energie e di spesa del tutto sproporzionato rispetto all’interesse all’identificazione di tre soggetti coinvolti in un banale incidente d’auto ed in una altrettanto banale caduta in un locale do proprietà pubblica, non potendosi ragionevolmente sostenere che i dati contenuti nelle delibere comportassero ipso facto una automatica e certa “identificabilità” rilevante.
Secondo l’Art. 124 del TUEL, tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge, e tutte le deliberazioni degli altri enti locali sono pubblicate mediante pubblicazione all’albo pretorio del comune ove ha sede l’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni.
Il contenuto delle due delibere comunali – con le quali vennero, rispettivamente, riportati il nome e cognome degli odierni resistenti, oltre alla targa e al modello di autovettura di proprietà di uno di essi, ed i dati anagrafici della signora caduta nell’atrio comunale, integrati dall’annotazione della lesione al ginocchio destro riportata a seguito della caduta nell’atrio comunale – non rende il soggetto “identificabile” se non associato ad altri elementi identificativi (data e luogo di nascita, dimora, residenza, domicilio, codice fiscale, attività lavorativa) e se calato in un contesto sociale ampio.
In allegato il testo della Sentenza.
La sentenza è discorde da altre decisioni precedenti della Suprema Corte nella stessa materia. C’è infatti una confusione tra la durata di pubblicazione dei dati sui siti istituzionali per finalità di trasparenza che l’art. 8, c. 3, del d.lgs. n. 33/2013 fissa a cinque anni, e la durata di pubblicazione all’albo pretorio, che è inferiore. Per la pubblicazione all’albo pretorio non si applica l’arco temporale dei cinque anni. Tale precisazione è anche riportata nelle “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da… Read more »