Una delle più rilevanti novità del nuovo codice dei contratti pubblici, il Dlgs n. 50/2016, è costituito dall’obbligo per tutte le pubbliche stazioni appaltanti e quindi anche per gli enti locali, di dover conseguire, a cura dell’Anac, una apposita qualificazione. Questa qualificazione, disciplinata dagli articoli 37 e 38 del Codice, riguarderà gli ambiti di attività, i bacini territoriali, la tipologia, la complessità, le fasce d’importo entro le quali le stazioni appaltanti potranno operare. Il processo di qualificazione sviluppa il percorso già avviato di aggregazione e centralizzazione della domanda pubblica, nella prospettiva della professionalizzazione e della riduzione del numero delle stazioni appaltanti.
I bacini territoriali
Un punto delicato da segnalare è rappresentato dal tema della definizione degli ambiti territoriali delle centrali di committenza in forma di aggregazione di Comuni non capoluogo di Provincia, che dovranno essere individuati da un apposito Dpcm. Occorre chiarire che il Dpcm non potrà determinare i bacini territoriali delle Unioni di Comuni: infatti le Unioni di Comuni sono enti locali e non centrali di committenza e pertanto, sono normali stazioni appaltanti cui sono state assegnate le funzioni di gestione degli appalti pubblici dei comuni aderenti. Confondere le Unioni di Comuni con le centrali di committenza significherebbe equivocare tra assetto organizzativo per l’esercizio di funzioni e il sistema ordinamentale, affidando a un atto di normazione secondaria, l’impropria funzione di limitare la possibilità, per i Comuni non capoluogo, di costituirsi in Unioni di Comuni, in base a un’autonoma valutazione delle sole proprie esigenze organizzative e gestionali.
La centrale di committenza
Ciò non toglie che le Unioni di Comuni possano anche qualificarsi come centrale di committenza. Ciò è ben chiarito all’articolo 37, comma 4, lettera b), che prescrive che i Comuni non capoluogo, non qualificati, possano ricorrere a una Unione di comuni se questa si è però qualificata «come centrale di committenza». Pertanto, una Unione di comuni potrà: qualificarsi come stazione appaltante e operare per i comuni che l’hanno costituita; qualificarsi come centrale di committenza e operare anche per altri comuni che non ne fanno parte. Merita poi evidenziare che le centrali di committenza non sono più «uniche» e infatti il Dlgs n. 50/2016 non fa cenno a «uniche centrali di committenza», lasciando aperti molteplici possibili modelli organizzativi, cui sarà possibile di volta in volta fare ricorso, nella logica della differenziazione, in relazione alle variegate esperienze territoriali e alla grande varietà della domanda pubblica. L’obiettivo è quello di creare le condizioni perché le pubbliche amministrazioni riescano a operare nel mercato. Il nuovo codice introduce due percorsi paralleli: la professionalizzazione delle stazioni appaltanti, tramite lo strumento della qualificazione; la creazione di una rete di centrali di committenza, costituite per ambiti diversi e differenziati. Gli enti locali possono in questo senso svolgere un ruolo decisivo e ciò dipende in buona misura dal corretto utilizzo delle forme di associazione e aggregazione che potranno essere messe in campo, nel libero esercizio della propria autonomia organizzativa e gestionale.