accertamento societa persone sociLa violazione del termine di permanenza degli “ispettori” presso la sede del contribuente, previsto dall’articolo 12, comma 5, legge 212/2000 (“Statuto dei diritti del contribuente”), non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo né l’invalidità degli atti compiuti e neppure l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 966 del 20 gennaio 2016.

 

I fatti di causa

 

La Commissione tributaria regionale del Piemonte ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stato annullato l’avviso di accertamento notificato a una Srl, originato da una verifica che si era protratta dal 19 ottobre al 30 novembre 2004, oltre il termine di trenta giorni, previsto dallo Statuto dei diritti del contribuente (articolo 12, comma 5, legge 212/2000).

 

In particolare, il giudice di appello aveva ritenuto che, in presenza di dubbi sulla portata applicativa delle regole fiscali a tutela del contribuente, l’interprete doveva far riferimento ai principi generali contenuti nella legge 212/2000 citata, soprattutto se, come nella fattispecie, il termine previsto dall’articolo 12 era stato violato in assenza di richieste documentate, idonee a giustificare la protrazione delle operazioni di verifica.

 

L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che il giudice di secondo grado:

 

  • aveva errato nel ritenere che l’atto era nullo, poiché l’articolo 12, comma 5, legge 212/2000, non prevede espressamente né la sanzione della nullità né quella dell’annullabilità dell’avviso di accertamento, nell’ipotesi di mancato rispetto del termine in esame, e neppure quella dell’inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti nel periodo successivo alla sua scadenza

 

  • aveva omesso di pronunciarsi sull’effettiva permanenza dei verificatori nei locali dell’azienda

 

  • aveva violato l’articolo 12, comma 5 citato, poiché il termine andava riferito ai 23 giorni di effettiva presenza (e non ai 34 di calendario).

 

La Corte suprema, con la sentenza n. 966 del 20 gennaio 2016, ha accolto il ricorso, affermando che, “… una volta … chiarito che l’inosservanza del termine di verifica è improduttivo di effetti sulla legittimità del susseguente atto impositivo”, risultava superfluo ai fini della causa “appurare se il termine contempli i giorni lavorativi o quelli di calendario”.

 

Osservazioni

 

La Cassazione ha prima esaminato il motivo di ricorso relativo alle modalità di computo del termine, ritendendolo assorbente degli altri. Se, infatti, il giudice d’appello avesse omesso di esprimersi, limitandosi a richiamare la portata garantistica della legge 212/2000, ciò avrebbe caducato la legittimità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ma così non è stato, perché la Commissione regionale, confermando l’illegittimità dell’atto emesso a seguito della verifica protrattasi per 34 giorni di calendario, ha implicitamente rigettato il motivo di appello dell’ufficio.

 

Al riguardo, la Corte ha ribadito (cfr sentenze 21798 e 7867 del 2015 e 5351/2007) che, per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, era necessario che fosse stato completamente omesso il provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto, a prescindere dalla mancata decisione su un punto specifico.

 

Poi, i giudici di legittimità hanno ritenuto sproporzionata la sanzione dell’invalidità dell’atto impositivo e dell’inutilizzabilità delle prove acquisite nel corso della verifica che si è protratta oltre il termine di legge (cfr Cassazione, 16323 e 24690 del 2014).

 

Ciò in quanto l’articolo 12 della legge 212/2000 è volto a garantire equilibrio tra l’interesse del contribuente all’esercizio dell’attività economica, senza eccessive limitazioni, e quello del fisco di ricercare elementi indicativi dell’eventuale maggiore capacità contributiva non dichiarata. Tali conclusioni scaturiscono da un’interpretazione sistematica delle diverse disposizioni dell’articolo 12 citato.

 

Dopo aver osservato che vi è un’analogia di formulazione tra il comma 5, “la permanenza … non può superare i trenta giorni”, e il comma 7, “l’avviso … non può essere emanato prima della scadenza”, i giudici hanno chiarito la differenza tra le due disposizioni.

 

In particolare, oltre l’oggetto disciplinato (comportamento materiale dei funzionari pubblici nel caso del comma 5, provvedimento tributario nel caso del comma 7), hanno evidenziato che è diversa anche la rilevanza degli interessi sostanziali considerati (interesse negativo del contribuente alla presenza di soggetti estranei nei locali in cui si svolge l’attività economica nel primo caso, corretta formazione del rapporto tributario e garanzia del contraddittorio procedimentale, nel secondo).

 

Proprio questa differenza, giustifica la scelta del legislatore di non ricollegare, alla violazione del termine di permanenza, la sanzione di invalidità dell’atto impositivo: questa violazione non incide, infatti, sui diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (cfr Cassazione, 7584/2015).

 

Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che la lettura normativa adottata dal giudice di appello, laddove si risolveva nel far discendere l’illegittimità dell’atto dall’inosservanza di una norma comportamentale, si rivelava non aderente al sottostante quadro degli interessi tutelati e incoerente sul piano della sistematica giuridica.

 

Sempre alla luce di un’interpretazione sistematica, infatti, la Cassazione (cfr sentenza 19338/2011) aveva escluso gli effetti sanzionatori dell’invalidità derivata degli atti e dell’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, evidenziando che lo Statuto prevedeva piuttosto, per le eventuali irregolarità commesse dai verificatori durante le ispezioni, che il contribuente, oltre a formulare a verbale osservazioni e rilievi (articolo 12, comma 4), potesse rivolgersi al Garante (articolo 12, comma 6).

 

Sarà il giudice del rinvio a dare attuazione ai principi affermati, tenendo conto che, con riguardo agli effetti conseguenti alla violazione dell’articolo 12, comma 5, la Cassazione ha sottolineato che il termine ha natura meramente ordinatoria (cfr Cassazione, 19338/2011; 7606, 16323 e 24690 del 2014), in assenza di una norma espressa che lo qualifichi come obbligatorio, ovvero che renda invalidi gli atti compiuti o, infine, che disponga l’invalidità derivata dell’atto impositivo (cfrCassazione, 17002/2012 e 14020/2011).