Angelo Milazzo e’ un uomo schivo, non ama parlare di se’. Quando lo fa, usa toni tipici di chi si sente innanzitutto un “servitore dello Stato”. Eppure con una semplice intuizione, questo ispettore di polizia della procura di Siracusa e’ riuscito a ridare un nome e un volto a 21 persone, morte nel Mediterraneo nel tentativo di arrivare in Europa. Tutto ha inizio il 24 agosto del 2014 quando avviene uno dei tanti naufragi a largo delle coste italiane. Vengono recuperati 24 corpi, alcuni vengono recuperati subito, altri invece restano senza nome. E’ allora che Angelo Milazzo, che lavora presso la procura di Siracusa, (nel gruppo creato per il contrasto all’immigrazione clandestina), decide di provarci,contattando le famiglie delle vittime che vivono sull’altra sponda del Mediterraneo.
Ma come fare? “Avevo visto online diverse pagine Facebook di famiglie di siriani che stavano cercando le persone disperse in mare. Spesso pubblicavano liste con i nomi e le foto – ha spiegato Milazzo durante la conferenza di presentazione del progetto Mediterranean missing- Cosi’ ho pensato che contattarli poteva essere un buon modo per riuscire a capire se conoscessero qualcuna delle vittime. Ho chiesto ai miei superiori se mi autorizzavano l’apertura di una pagina Facebook, dopo il si’ ho iniziato a lavorare e a stabilire i primi contatti”.
Milazzo ha lavorato a questa idea anche oltre l’orario di lavoro, oltre al numero della procura forniva anche il suo numero di servizio e la sua mail per poter ricevere il materiale dai familiari. Chiedeva dati precisi e foto per fare il confronto: “alla fine ci siamo ritrovati con una marea di schede dettagliate sui dispersi – racconta -. E grazie all’aiuto di un interprete siamo riusciti a fare un primo screening. Nel tempo siamo riusciti a ritrovare anche persone disperse da altri naufragi”. Del naufragio del 24 agosto sono stati identificati 21 corpi su 24. Ne restano soltanto 3 senza nome: due siriani e una donna eritrea.
Il lavoro di Angelo Milazzo con i social network e’ stato studiato dal gruppo di lavoro dell’Universita’ di York che sta portando avanti il progetto Mediterranean missing. Ed e’ stato valutato come best practice al pari delle altre azioni compiute dall’Italia negli ultimi anni per ridare identita’ ai morti del Mediterraneo. “In questi anni c’e’ stato uno sforzo enorme da parte di alcune persone su questo tema, dai rappresentanti dello stato ai medici legali – sottolinea Giorgia Mirto, coordinatrice del progetto – fino ai semplici ispettori di polizia come Angelo Milazzo che ha fatto un lavoro straordinario”.
Tra le altre buone pratiche il ruolo centrale dell’ufficio per le Persone scomparse affidato al commissario straordinarioVittorio Piscitelli, che si e’ occupato di tre naufragi avvenuti il 3 e 11 ottobre 2013 e il 18 aprile 2015. “Quello che stiamo facendo e’ un grande lavoro – sottolinea Piscitelli -. Gli scomparsi hanno diritto a una degna sepoltura. Questo non va negato a nessuno e l’ idea di dare un nomea queste persone ci porta a lavorare oltre le nostre capacita’ di resistenza”. L’ufficio ha rilasciato diversi protocolli in cui venivano proposte anche linee guida per gestire situazioni di questo genere. Questi documenti hanno permesso, in particolare, di attivare forme di cooperazione tra gli attori coinvolti nel riconoscimento delle salme. L’altro tassello fondamentale e’ il Labanof di Milano, il laboratorio di antropologia forense dell’Universita’ Statale di Milano, diretto dalla dottoressa Cristina Cattaneo, che a messo insieme specialisti di diversi atenei.