L’Avvocato Maurizio Lucca approfondisce una questione molto importante nel mondo della Pubblica amministrazione: il rapporto tra risarcimento del danno e clausola discriminatoria.


In generale con riferimento alle condotte nella PA, per sostenere una richiesta risarcitoria (da comportamento illegittimo), risulta necessario dimostrare l’elemento soggettivo della colpa dell’Amministrazione agente, dove l’onere probatorio non richiede un particolare impegno, potendo limitarsi ad allegare (c.d. onere probatorio) l’illegittimità del comportamento medesimo e per il resto farsi applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice (di cui all’art. 2727 c.c.).

Inversione dell’onere della prova

Così facendo, vi è un’inversione dell’onere della prova, nel senso che spetterà all’Amministrazione dimostrare, se del caso, che si è verificato un errore scusabile, configurabile per:

  • contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma;
  • formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore;
  • rilevante complessità del fatto;
  • influenza determinante di comportamenti di altri soggetti;
  • illegittimità derivante da una successiva dichiarazione d’incostituzionalità della norma applicata [1].

L’errore scusabile

Volendo attenersi ad una nozione (tendenzialmente oggettiva) di colpa, che esclude che detto requisito sia configurabile solo nell’ipotesi in cui la violazione sia l’effetto di un errore scusabile dell’Amministrazione procedente, si dovrà, nel caso, scrutinare inevitabilmente anche l’elemento psicologico della colpa – oltre che sulla scorta dei parametri al riguardo individuati a livello comunitario, quale il carattere grave e manifesto della violazione [2] – quando l’Amministrazione non fornisce alcuna prova contraria idonea a ricondurre l’illegittimità riscontrata all’esistenza di contrasti giudiziari o ad un’incertezza del quadro normativo di riferimento o, ancora, alla complessità della specifica situazione di fatto [3].

In questo senso, il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita, al quale l’interesse legittimo effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa dell’Amministrazione.

Dunque, la verifica dell’elemento soggettivo costituisce una parte della ricerca che non si può fermare solo sull’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, ma anche su altri indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri (quali ad esempio, il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’Amministrazione), sicché la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento della presenza di ulteriori aspetti rilevanti ed esimenti (escludenti, per l’appunto l’errore scusabile).

Danno da ritardo

Per un quadro completo, si aggiunga che, in tema di concessioni ed autorizzazioni amministrative, il danno da ritardo risarcibile non può essere presunto juris et de jure, quale effetto automatico del semplice scorrere del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), richiesti per fondare la responsabilità (ex art. 2043 c.c.).

Sul piano delle conseguenze, dunque, il fatto lesivo deve essere collegato da un nesso da causalità ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati così che, dal punto di vista dell’onere probatorio, il mero superamento del termine per la conclusione del procedimento non integra piena prova del danno [4].

Le clausole immediatamente escludenti

Giova precisare che le clausole escludenti del bando di gara vanno tempestivamente impugnate allorché, contengano condizioni impeditive dell’ammissione dell’interessato alla selezione [5].

Si configurano come escludenti quelle idonee a generare una lesione immediata, diretta ed attuale, nella situazione soggettiva dell’interessato, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’esclusione o la mancata aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale i requisiti di partecipazione sono stati assunti come regole per l’Amministrazione.

Tali sono tipicamente quelle legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento [6]

Le c.d. clausole immediatamente escludenti sono state quindi individuate nelle [7]:

  • clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale [8];
  • regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile;
  • disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta [9];
  • condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente [10];
  • clausole impositive di obblighi contra ius [11];
  • bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate;
  • atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso[12].

Clausole legittime di limitazione

Vi è, invero, la facoltà della stazione appaltante di prevedere determinati requisiti di capacità economico- finanziaria e tecnico – professionale ulteriori e più severi rispetto a quelli normativamente previsti, con il rispetto della proporzionalità e ragionevolezza e nel limite della continenza e non estraneità rispetto all’oggetto della gara [13].

L’ampia discrezionalità cui gode l’Amministrazione, nell’individuazione dei requisiti, deve correlarsi a previsioni e circostanze giustificate, funzionali al rispetto all’interesse pubblico perseguito [14]: le disposizioni atte a limitare la platea dei concorrenti onde consentire la partecipazione alla gara stessa di soggetti particolarmente qualificati; tale possibilità incontra il limite che tale scelta non sia irragionevolmente limitativa della concorrenza, in quanto correttamente esercitata attraverso la previsione di requisiti pertinenti e congrui rispetto allo scopo perseguito [15].

Il caso

La sez. III Lecce, del TAR Puglia, con la sentenza 12 luglio 2024, n. 882, ha avuto modo di riferire tali applicazioni attinenti alla richiesta di risarcimento del danno patrimoniale subito e subendo per la mancata assegnazione in concessione di uno spazio (estivo), per la somministrazione di alimenti e bevande, soffermandosi su una clausola del tutto illegittima (di una gara) perché discriminatoria.

Con precedente (propria) sentenza non appellata i provvedimenti amministrativi di assegnazione sono stati dichiarati illegittimi da una parte, per la violazione dei principi comunitari di parità di trattamento e nazionali di non discriminazione, dall’altra parte, anche per la presenza, nella lex specialis, di una clausola illegittima, la quale assegnava un punteggio aggiuntivo per i concorrenti di sesso femminile (ergo, l’elemento discriminatorio).

Successivamente (con la nuova stagione estiva), l’Amministrazione provvedeva, con nuovo avviso di concessione degli stalli, una clausola di attribuzione (prioritaria) «premiale per la maggiore anzianità conseguita» nell’anno precedente.

Non sfugge che la condotta riferita ai criteri individuati, oggetto di annullamento del GA, appaiano alquanto non lineari, dove il vantaggio – in prima battuta – viene stabilito in una condizione di genere, fatto ex se illecito in violazione per principio costituzione di uguaglianza (oltre ad altri), per poi avvantaggiare il soggetto che illegittimamente ha acquisito l’esperienza (in questo caso, gli atti non sono stati impugnati, integrando un elemento idoneo ad elidere, nel caso concreto e del nesso causale, la sussistenza del preteso danno, in applicazione della regola di cui all’art. 1227, comma 2 c.c., «Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza») [16]: tutti aspetti che alcuni potrebbero ritenere alquanto inusuali.

In tale premessa fattuale, il ricorrente escluso chiede il ristoro economico dal pregiudizio arrecato (c.d. svalutazione dell’avviamento commerciale e perdita di chances, sulla base di quanto previsto in subiecta materia dalla legge n. 77/2020 sulla proroga), dalla condotta della PA per i provvedimenti risultati illegittimi (con sentenza passata in giudicato): una domanda autonoma di risarcimento del danno patrimoniale per equivalente monetario (ai sensi dell’art. 30, comma 5 c.p.a.).

La civica amministrazione non si è costituita in giudizio.

Merito

Il ricorso viene accolto (con condanna alle spese) nei termini che seguono, sotto il profilo della dimensione monetaria:

  • (in primis) sotto il profilo soggettivo l’adozione di tali atti comunali, palesemente discriminatori e contrari ai principi fondamentali di non discriminazione e di parità di trattamento, costituisce elemento da cui desumere la sussistenza, nel caso concreto, di una condotta colposa (non scusabile), ai sensi dell’art. 2043, Risarcimento danni per fatto illecito, c.c. (responsabilità extracontrattuale): in particolare nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, che reggono l’agire amministrativo, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 241/1990, attuazione dell’art. 97 Cost.;
  • utile netto non percepito, per la stagione estiva (pari alla differenza tra l’utile netto percepito nel periodo precedente e quello effettivamente prodotto nell’anno di riferimento), dove gli atti della PA sono stati ritenuti illegittimi per la presenza di una clausola discriminatoria, impedendo l’assegnazione al ricorrente in quanto più giovane dell’assegnataria;
  • danno da svalutazione dell’avviamento commerciale in conseguenza della mancata assegnazione del posteggio per l’anno di riferimento, in misura equitativa (ai sensi dell’art. 1226 c.c.);
  • è stato escluso il risarcimento per la c.d. perdita di chances per il conseguimento della proroga in quanto la concessione aveva natura stagionale.

Il quantum delle somme riconosciute sono maggiorate, tenuto conto della rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT e degli interessi legali, decorrenti dalla commissione del fatto illecito (illegittimo affidamento del posteggio) e fino al soddisfo.

La sentenza esprime un richiamo all’esigenza di garantire i principi di uguaglianza e non discriminazione (c.d. par condicio) nelle procedure selettive, evitando di esporre all’Amministrazione, usando la diligenza e la perizia richiesta, a spese non dovute, con la conseguente rivalsa negli autori dell’illecito, specie in considerazione della palese illegittimità assunta nelle condizioni di gara, come ritenuto dal GA.

Note

[1] Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2023, n. 5210.

[2] Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 482.

[3] Cons. Stato, sez. III, 18 giugno 2020, n. 3903.

[4] Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2024, n. 3375.

[5] Vedi, LUCCA. Le clausole escludenti che incidono sull’utile d’impresa (in negativo) sono immediatamente impugnabili, LexItalia.it, n. 1, 13 gennaio 2021, ove si annota che la discrezionalità che gode l’Amministrazione può contemperare requisiti di partecipazione e di qualificazione più rigorosi e restrittivi di quelli minimi stabiliti dalla legge, purché tali ulteriori prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza con riguardo alle specifiche esigenze imposte dall’oggetto dell’appalto e comunque non introducano indebite discriminazioni nell’accesso alla procedura, ovvero escludenti.

[6] Cons. Stato, Ad. Plen. 29 gennaio 2003, n. 1.

[7] Cons. Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4.

[8] Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671.

[9] Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980.

[10] Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 2011, n. 6135; sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293.

[11] Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222. Una clausola escludente contra legem può ritenersi nulla, non sussistendo l’onere per l’impresa di proporre alcun ricorso poiché tale clausola – in quanto inefficace e improduttiva di effetti – si deve intendere come ‘non apposta’, a tutti gli effetti di legge, salvo impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente, Cons. Stato, Ad. Plen., 16 ottobre 2020, n. 22.

[12] Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421.

[13] TAR Campania, Salerno, sez. I, 30 luglio 2024, n. 1602.

[14] Cons. Stato, sez. IV, 1° febbraio 2024, n. 1048.

[15] Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2014, n. 2775; 22 settembre 2009, n. 5653; sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3655.

[16] Cfr. Cons. Stato, Adunanza Plenaria n. 3/2011.


Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager