Un’intercettazione riapre il dibattito sui rapporti tra giornalismo e fonti non convenzionali, portando alla ribalta una materia complessa: ecco i dettagli su come la trasmissione Report potrebbe essersi trovata invischiata nell’inchiesta Equalize.
La vicenda tocca un nervo scoperto, evidenziando i rischi che il giornalismo corre quando entra in contatto con fonti legate ad attività illecite. A lanciare la notizia è stato Il Giornale che, assieme ad altri quotidiani di area di “destra” ha colto la palla al balzo per attaccare la trasmissione di Rai3.
Tuttavia la materia è molto più complessa di quanto appare.
Cosa è accaduto?
Nunzio Calamucci, hacker arrestato il 28 ottobre scorso nell’ambito dell’indagine sulla piattaforma Equalize, ha dichiarato agli inquirenti di aver collaborato con un inviato della trasmissione Report, Giorgio Mottola. Le sue dichiarazioni stanno sollevando interrogativi sul presunto scambio di informazioni tra il programma e l’agenzia al centro dell’indagine, con sede a Milano.
Di fronte ai magistrati Francesco De Tommasi e Antonello Ardituro, Calamucci ha sostenuto di aver fornito notizie a Mottola, che a sua volta avrebbe ricambiato il favore. Una dinamica che, secondo il racconto dell’hacker, configurerebbe una sorta di collaborazione tra il programma d’inchiesta e la rete legata a Equalize. Tuttavia, il punto cruciale emerge da una registrazione ambientale, in cui Calamucci discute con un collega dei suoi contatti non solo con Mottola, ma anche direttamente con il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci.
L’intercettazione e la replica di Report
L’audio registrato dai carabinieri del Ros rivela dettagli significativi. In una conversazione intercettata, Calamucci avrebbe spiegato come lui e i suoi collaboratori abbiano condiviso dati con Ranucci in seguito a tensioni irreparabili con alcuni interlocutori politici. L’hacker avrebbe detto: «Obbiettivo raggiunto, eh! Noi questo volevamo… aspetta… lui mi ha detto procedi, è insalvabile… Sigfrido… hai capito com’è l’etica di Enrico?». A confermare queste parole, un altro interlocutore, identificato come Cornelli, che risponde: «Sì».
Le registrazioni ambientali sono ora al vaglio per accertare eventuali responsabilità. Sigfrido Ranucci ha respinto le accuse di aver condiviso informazioni con Equalize o altre realtà esterne, sottolineando che il programma non si è mai piegato a logiche di scambio con fonti non trasparenti. Ha ammesso, però, di aver ricevuto notizie, negando categoricamente di averle trasmesse a sua volta. Questa distinzione, cruciale per il conduttore, non sembra tuttavia placare le polemiche.
Rapporti tra giornalismo e fonti non convenzionali
La vicenda solleva una questione di grande attualità: fino a che punto i giornalisti possono collaborare con fonti legate ad attività controverse senza compromettere la propria integrità?
La storia del giornalismo è ricca di episodi in cui la relazione con fonti atipiche ha sollevato dubbi, ma anche permesso di svelare verità altrimenti irraggiungibili. Si pensi al caso Watergate negli Stati Uniti, dove i giornalisti del Washington Post lavorarono a stretto contatto con una fonte anonima, soprannominata “Gola Profonda“. Oppure al ruolo di figure come Julian Assange e Edward Snowden, le cui rivelazioni hanno generato enormi dibattiti sull’equilibrio tra trasparenza e sicurezza nazionale.
Tuttavia, l’Italia si muove in un contesto giuridico e deontologico preciso. La legge tutela il diritto di cronaca, ma pone limiti chiari quando si tratta di collaborare con individui implicati in attività illecite. L’articolo 200 del codice di procedura penale garantisce il segreto professionale ai giornalisti, proteggendo le loro fonti, ma non autorizza comportamenti che possano configurarsi come complicità o connivenza. Sul piano deontologico, il Testo Unico dei doveri del giornalista della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) insiste sull’importanza di mantenere indipendenza e trasparenza.
Un approccio garantista: il caso Report
In questo contesto, è fondamentale analizzare il ruolo di Report con un approccio garantista. La trasmissione, da anni simbolo del giornalismo investigativo in Italia, ha contribuito a portare alla luce numerosi scandali di interesse pubblico. Il conduttore Sigfrido Ranucci ha ribadito che il programma non si è mai prestato a logiche di scambio con fonti poco trasparenti, sostenendo che il dialogo con figure controverse, quando avvenuto, era finalizzato esclusivamente alla raccolta di informazioni per fini giornalistici.
È importante ricordare che le dichiarazioni di Calamucci sono, al momento, solo un elemento dell’inchiesta, e devono essere valutate con estrema cautela. La trasmissione non è accusata formalmente di alcun reato, e il lavoro dei magistrati sarà cruciale per chiarire ogni dubbio. In passato, Report ha dimostrato di saper mantenere un rigoroso rispetto delle regole, come testimoniano i numerosi riconoscimenti ottenuti per il suo impegno nella divulgazione di inchieste complesse.
Un dibattito necessario
Questa vicenda evidenzia la complessità del rapporto tra giornalismo e fonti non convenzionali, aprendo un dibattito necessario su limiti e responsabilità. Se da un lato è indispensabile che i giornalisti abbiano accesso a informazioni rilevanti, dall’altro è cruciale che tale accesso non comprometta l’etica professionale. Mantenere il giusto equilibrio è una sfida che richiede non solo attenzione alle norme, ma anche un impegno costante nel rispettare la fiducia del pubblico.
Nel caso di Report, ogni giudizio definitivo appare prematuro. L’inchiesta in corso rappresenta un’opportunità per fare chiarezza e, al contempo, per riflettere sul ruolo del giornalismo investigativo in un’epoca in cui la ricerca della verità si scontra sempre più spesso con ostacoli legali ed etici.