pronto soccorsoSe il paziente cade dal lettino del Pronto soccorso non munito di sbarre di protezione riportando conseguentemente dei danni, l’ospedale deve risarcirlo?


La risposta arriva dal Tribunale di Ascoli Piceno – Sezione civile – Sentenza 3 gennaio 2017 n. 2. Emerge che il paziente entrava in Pronto Soccorso con codice verde per “cardiopalmo” appariva orientato e appropriato e obbediva al comando: si precisa per inciso, che lo stesso non fosse quindi in “stato confusionale” o in stato tale da poter non poter deambulare autonomamente.

 

Voler rinvenire imprudenza, negligenza ed imperizia in capo agli operatori sanitari, per non aver tenuto sotto diretto controllo il paziente e per non aver collocato attorno al lettino su cui giaceva, le sbarre (di cui per altro esso non era dotato) e che gli avrebbero impedito di cadere, appare una forzatura e comunque non si ravvisano in atti di causa elementi tali su cui ancorare la condotta colposa degli operatori.

 

Si ribadisce, che vi sarebbe stata condotta colposa se questi si fossero allontanati lasciando da solo il paziente, ma nel caso de quo i sanitari si trovavano all’interno della stanza, lo avevano appena visitato e solo per Un’alzata repentina lo stesso perdeva l’equilibrio e cadeva dal lettino e il tutto avveniva in pochi secondi.

 

Passando ad esaminare la responsabilità dell’Ente si assume quanto segue: l’accettazione in ospedale del paziente ai fini del ricovero determina con la struttura, la conclusione di un contratto di natura atipica, incentrato su una prestazione complessa a favore dell’ammalato che può, sinteticamente, definirsi di “assistenza sanitaria”.

 

Nell’ambito di tale rapporto atipico assumono rilievo, oltre alle prestazioni mediche, quelle di carattere latti senso” alberghiero e le obbligazioni accessorie di sicurezza e/o protezione. Ne deriva quindi che la responsabilità della struttura nei confronti del paziente che ha subito lesioni a seguito di caduta all’interno dell’ospedale ha natura contrattuale e può sussistere a prescindere dalla possibilità o meno di accertare e/o identificare il comportamento colposo di un singolo soggetto operante all’interno della struttura stessa.

 

I Giudici di Merito (v. Tribunale di Milano, sezione 1 Civile sent. n. 8946/1995 e Tribunale Civile di Monza del 22 ottobre 2001) nonché la dottrina corrente, ritengono infatti che “poiché il rapporto che lega il paziente all’istituzione sanitaria, pubblica o privata che sia, ha natura contrattuale (contratto di spedalità), l’istituzione assume un’obbligazione principale avente ad oggetto la cura del paziente, o l’accertamento diagnostico, ciò che costituisce lo scopo primario dell’operazione negoziale.

 

L’istituzione si trova quindi vincolata da un preciso obbligo “accessorio” di salvaguardia del paziente, contro le aggressioni provenienti dalla struttura o comunque da cause rientranti nella sfera, di controllo di questa. La fonte di tale obbligo, sia che risieda in un obbligo accessorio “di protezione”, sia che invece debba essere rinvenuta nell’obbligo generale di buona fede, inteso in senso “integrativo” dei contenuto negoziale, ha sicuramente natura e rango contrattuali, sicché è alla disciplina dell’obbligazione che si deve aver riguardo, per regolare le conseguenze dell’inadempimento (art. 1218 c.c.)”.

 

In allegato il testo completo della Sentenza.