procedimento disciplinareLa Sentenza del T.A.R. Molise, 12 dicembre 2017, n. 529, ha chiarito che il diritto di difesa non ha un’applicazione piena nell’ambito dei procedimenti disciplinari (non è cioè paragonabile al diritto di difesa nel processo penale): tuttavia, l’onere della prova non può essere del tutto obliterato e serve una completa valutazione delle circostanze e dei fatti.


Nella sentenza della Corte costituzionale n. 182/2008, il diritto di difesa non ha un’applicazione piena nell’ambito dei procedimenti disciplinari (non è cioè paragonabile al diritto di difesa nel processo penale) e, tuttavia, l’onere della prova non può essere del tutto obliterato. Com’è noto, per principio generale, l’onere della prova, sia sul piano sostanziale sia su quello processuale, spetta a colui che avanza una pretesa o una domanda, per cui anche nel procedimento disciplinare è ineludibile la necessità che vi sia un adeguato riscontro probatorio circa l’addebitabilità dei fatti di cui l’incolpato è ritenuto responsabile (cfr.: Cons. Stato III, 12.9.2016 n. 3843).

 

Nella specie, l’unica prova è la dichiarazione della stessa parte offesa. Anche senza dubitare della sincerità e della genuinità del resoconto del colloquio oggetto di addebito, reso dalla dirigente dell’Ufficio-immigrazione, non può non rilevarsi che detto funzionario potrebbe aver percepito come offensiva un’intonazione o una sfumatura o una forza illocutoria delle parole e delle proposizioni che, viceversa, quelle parole e quelle frasi potrebbero non aver avuto, traducendosi piuttosto in un mero sfogo di frustrazione da parte di chi le ha proferite. Il giudizio più irriguardoso attribuito al ricorrente nei confronti della sua capufficio, inteso che sia stata pronunciato nel corso dell’abboccamento, sarebbe un apprezzamento gratuito e insolente che, tuttavia, non può essere decontestualizzato: dalla ricostruzione dei fatti, non emerge in modo chiaro per quale ragione e in quale momento esso sarebbe stato profferito.

 

La prova del fatto contestato qui è tratta esclusivamente dalle dichiarazioni della parte offesa dalla condotta ritenuta violativa delle regole disciplinari. Mutuando utili suggerimenti dalla giurisprudenza penale, si può ritenere che le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste – da sole e in assenza di riscontri oggettivi esterni – a base dell´affermazione di responsabilità dell´incolpato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva e dell´attendibilità intrinseca del racconto (cfr., ex multiis, Cass. penale IV n. 44644 del 18.10.2011; idem III n. 28913 del 03.05.2011).

 

Il vaglio positivo dell´attendibilità del dichiarante deve essere penetrante e rigoroso, più di quanto non lo sia quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, talché la deposizione della persona offesa può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se sottoposta al riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. La valutazione della credibilità della persona offesa rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale. Nel caso di specie, tale valutazione è del tutto mancata o, quantomeno, non è stata esplicitata nella motivazione del provvedimento disciplinare.

 

In allegato il testo completo della Sentenza.