istat_societa_partecipateIstat: «Perdite a circa 855 milioni di euro e utili a oltre 1,9 miliardi, con un saldo complessivo positivo per poco più di 1 miliardo di euro».

 

 


 

Nell’ultimo anno il funzionamento del settore statale è costato agli italiani 47,7 miliardi di euro; come ha riferito nella serata di ieri il ministero dell’Economia, questo significa che rispetto al 2015 sono stati conseguiti risparmi per 11,2 miliardi di euro. Tanti, pochi? Difficile rispondere guardando solo il saldo: il conto del ristorante un cliente lo valuta anche in base alla qualità delle portate, e non solo al loro costo. Per tentare una risposta è dunque utile allargare il campo d’analisi.

 

Da una parte la Cgia di Mestre ci ricorda quanto siano ancora ampi i margini per migliorare l’efficienza della macchina statale: «Se la nostra amministrazione pubblica avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti (ovvero di oltre 30 miliardi di euro) all’anno». In altre parole, se l’amministrazione pubblica dell’intero Paese avesse l’efficienza di quella trentina – al 36esimo posto tra le Pa delle regioni europee e prima in Italia, secondo l’ufficio studi Cgia –, ogni anno avremmo a disposizione l’equivalente di una legge di Bilancio.

 

Non è questa, purtroppo, una novità. Come non lo è l’immobilismo che vige in quest’anno, nonostante le paventate riforme: «Dagli inizi degli anni ’90 ad oggi sono state ben 18 le riforme che hanno interessato la nostra Pa – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – Sebbene le aspettative fossero molte, in tutti questi anni i risultati ottenuti sono stati deludenti». L’ultima riforma in ordine cronologico è quella che porta il nome della ministra Madia, che a sua volta sta trovando non poche difficoltà di applicazione dopo la parziale illegittimità costituzionale sancita dalla Consulta lo scorso novembre.

 

Possibile dunque che tutta la macchina pubblica sia solo un inutile colabrodo? Gettare via il bambino con l’acqua sporca è una tentazione da rifuggire, tanto più quando basta scavare appena sotto la superficie per trovare tracce d’ottimismo anche in settori – come quello delle aziende pubbliche –comunemente additati come covi di inefficienze e ruberie. L’ultimo rapporto Istat sulle partecipate pubbliche in Italia documenta ad esempio che nel loro complesso «le perdite ammontano a circa 855 milioni di euro nel 2014, gli utili a oltre 1,9 miliardi, con un saldo complessivo positivo per poco più di 1 miliardo di euro». Dunque, ogni anno le vituperate aziende pubbliche portano guadagni pari a oltre un miliardo di euro. «Le controllate pubbliche in perdita sono il 27,6% del totale, quota inferiore – aggiunge l’Istat – rispetto al 35,1% registrato per le imprese non controllate da soggetti pubblici».

 

Si tratta di imprese che «svolgono prevalentemente attività di produzione di servizi», in primo luogo nel «settore delle Attività professionali, scientifiche e tecniche (con il 14,3% di imprese e il 3,1% di addetti)», in quello «del Trasporto e magazzinaggio (con l’10,9% delle imprese partecipate e il 41,9 % di addetti)» e «della Fornitura di acqua, reti fognarie, attività di trattamento di rifiuti e risanamento (12,4% di imprese e 11,5% di addetti)».

 

Complessivamente e al netto delle attività finanziarie e assicurative, sottolinea l’Istat, le imprese a controllo pubblico «generano poco meno di 56 miliardi di valore aggiunto (circa l’11% di quello prodotto dalle imprese dell’industria e dei servizi)», e i settori più rilevanti sono quelli «della Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (62,3% del valore aggiunto dell’intero settore di riferimento) e della Fornitura di acqua, reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento (61,5%)». Al contempo, sono proprio questi ultimi due i settori che portano l’attivo maggiore (rispettivamente 532,9 milioni e 349,6 milioni).

 

Certo, è necessario scremare: delle 9.867 unità economiche partecipate dal settore pubblico censite dall’Istat sono solo 6.927 le imprese attive (che impiegano 810.405 addetti sui 846.283 totali del settore), ma queste offrono la dimostrazione lampante di come non solo si possano offrire servizi pubblici, ma anche non farlo in perdita, ottenendo risorse da poter re-investire per la collettività. La differenza, come sempre, la fa la qualità nella gestione dell’impresa.