A fine anno saranno 419mila le abitazioni compravendute, erano 807mila nel 2007: siamo tornati al volume di scambi del 1984. Fatturato ridotto del 40% in cinque anni. Pesano anche le zavorre burocratiche: necessari in media 234 giorni per le autorizzazioni edilizie (a Palermo si arriva a 316 giorni), ma in Germania ne bastano 97 e in Gran Bretagna 88

Roma, 10 settembre 2014 – Dimezzato il mercato immobiliare. Dopo aver conosciuto un decennio ruggente (1997-2007), con la crisi il mercato immobiliare si è letteralmente dimezzato. Nel settore residenziale siamo passati dalle 807mila abitazioni compravendute nel 2007 alle 403mila del 2013. Siamo tornati al volume di scambi del 1984: un arretramento di trent’anni. Anche nel confronto con il 2008, il primo anno di forte flessione del mercato residenziale, il calo al 2013 è comunque molto rilevante, con un fatturato che è passato da 112 miliardi di euro ad appena 68 miliardi (-39,7%). Anche gli altri segmenti del mercato non residenziale di piccolo taglio (con esclusione dei complessi terziari per istituti di credito, centri commerciali e alberghi) registrano dinamiche simili: tra il 2008 e il 2013 -50,9% il fatturato per il settore singoli uffici, -55,1% per il settore dei piccoli negozi, -50,6% per il mercato dei capannoni industriali. In definitiva, il fatturato complessivo del settore immobiliare residenziale e del non residenziale di piccolo taglio ha registrato una riduzione di 57,7 miliardi, che equivalgono a tre volte il fatturato della Fiat e a quasi la metà dell’Eni. È come se in questi anni i quattro principali gruppi della grande distribuzione in Italia (Coop, Conad, Selex ed Esselunga) fossero scomparsi. È quanto emerge da un dossier di analisi di Rur e Censis.

Ripresa a metà 2015. Nonostante alcuni segnali positivi, la previsione del Censis è che per il 2014 ci possa essere solo un modesto segnale di inversione di tendenza nel mercato immobiliare, con un volume di compravendite stimabile in circa 419mila unità a fine anno, cioè un valore appena superiore a quello registrato nel 2013. Quest’anno va considerato di transizione. Lo smottamento verso il basso si sta fermando, ma il mercato non ha ancora la forza di risalire. La possibile inversione di tendenza non è prevedibile possa avvenire prima della metà del 2015. Tra i fattori positivi si segnalano un incremento nell’erogazione dei mutui, che a luglio 2014 ha riguardato 118mila famiglie rispetto alle 90mila dell’anno precedente, e i provvedimenti di incentivo dello «SbloccaItalia», che però avranno effetto dal prossimo anno. Sul lato negativo ci sono la mazzata autunnale di tasse sulla casa (Imu, Tari e Tasi) e soprattutto la riduzione del reddito disponibile delle famiglie (-9,8% dal 2008), che continua a determinare una debolezza della domanda solvibile.

Goodbye edilizia? Non possiamo permettercelo. Il valore aggiunto prodotto dall’industria edilizia in Italia nel 2013 è inferiore, in termini reali, del 26,7% rispetto a quello del 2007, l’anno precedente all’inizio della crisi. Per l’Unione europea a 28 Paesi la riduzione è stata molto inferiore (-18,8%), mentre la sola Germania ha visto un’ulteriore espansione del settore (+3,6%). Un andamento analogo ha riguardato gli investimenti, passati in Italia dai 174 miliardi di euro del 2007 ai 142 miliardi del 2013, con una caduta in termini reali del 28,7%. Nell’edilizia residenziale si registra non solo un ridotto volume di nuovi interventi, ma anche il progressivo passaggio dall’attività costruttiva a una prevalenza di manutenzione e recupero diffuso, che rappresenta attualmente il 69% degli investimenti complessivi in edilizia residenziale. Ciò spiega la grave crisi delle imprese edilizie strutturate e dell’occupazione regolare, e al contrario la crescita del sommerso. Secondo un’indagine del Censis condotta a marzo 2014, 1,7 milioni di famiglie avevano effettuato lavori di ristrutturazione della propria abitazione nell’anno precedente, ma ben 4,5 milioni, pur avendoli programmati, li avevano rinviati a un periodo successivo.

Dalla burocrazia un colpo di grazia per edilizia e trasformazioni urbane. Per la costruzione di un semplice edificio (tipo capannone industriale) in Italia sono necessari in media per le sole autorizzazioni 234 giorni, mentre in Germania ne bastano 97 e in Gran Bretagna 88. In Italia i tempi per le autorizzazioni sono due volte e mezza superiori a quelli tedeschi e britannici. E nel 2014 il nostro Paese ha perso ben 11 posizioni rispetto al 2013 quanto a tempi per le autorizzazioni edilizie, collocandosi nella fascia dei Paesi meno efficienti. La burocrazia, con i suoi numerosi passaggi procedurali, rappresenta un fattore di scoraggiamento all’investimento immobiliare, con effetti deleteri sull’industria delle costruzioni e sull’occupazione. Mentre nei Paesi europei per arrivare dal progetto al cantiere per medi interventi di riqualificazione urbana si impiegano fra i 10 e i 14 mesi, in Italia occorrono più di 3 anni (quando il processo va a buon fine e non resta incagliato nelle secche delle varie burocrazie statali, regionali e comunali). Il panorama delle città italiane registra differenti livelli di efficienza amministrativa. Milano, con una media di 151 giorni necessari per ottenere le autorizzazioni per realizzare un piccolo intervento edilizio, risulta la città più rapida, seguita da Bologna (160 giorni) e Torino (198 giorni). All’estremo opposto si collocano Palermo (316 giorni, cioè circa 3 mesi in più di Milano), Napoli e Cagliari (252 giorni).

«La situazione in Italia è diventata paradossale. In una fase di profonda crisi dell’economia immobiliare e dell’industria delle costruzioni, calano gli investimenti pubblici e privati. I primi a causa dei tagli al bilancio statale, i secondi per ragioni di mercato e di credito», ha detto Giuseppe Roma, Direttore Generale del Censis e Segretario Generale della Rur. «Ove, però, gli investitori fossero interessati a trasformare immobili esistenti, valorizzare il patrimonio demaniale, riqualificare ambiti urbani o realizzare nuove strutture, la barriera più difficile da superare è proprio l’atteggiamento inquisitorio delle autorità pubbliche, la non chiarezza delle regole del gioco, i continui aggiustamenti richiesti da una pletora di soggetti, detentori di piccoli o grandi poteri autorizzativi», ha concluso Roma.

 

FONTE: CENSIS

 

 

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