L’approfondimento, curato da Fabio Ascenzi sui livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nella legge Calderoli: ecco quali sono le principali previsioni e le più evidenti criticità.


I LEP sono i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che debbono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Questo acronimo di solo tre lettere traduce in servizi reali quei diritti civili e sociali dettati dalla Costituzione, determinando nei fatti la qualità della vita riservata a ciascun cittadino italiano.

La loro determinazione e finanziamento, pertanto, sono indispensabili per assicurare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, nonché per rimuovere gli squilibri nelle aree più deboli del Paese; garantendo così la piena attuazione dei princìpi dettati agli artt. 3 e 119 Cost.

Assicurare i LEP significa, prima di tutto, stabilire che in Italia i diritti costituzionalmente garantiti sono riferiti alla persona e non alla ricchezza o meno di un ente territoriale, o al posto dove si vive.

È il tema di maggiore delicatezza per la tenuta dell’impianto costituzionale, quindi è prevedibile che occuperà molta attenzione nelle valutazioni che i giudici della Consulta stanno compiendo sulla legge Calderoli.

Cosa prevede la legge n. 86/2024 per la determinazione dei LEP

Nel testo approvato definitivamente dalle Camere lo scorso giugno è ora previsto che si potrà procedere alla concessione dell’autonomia alle Regioni richiedenti soltanto dopo la determinazione dei LEP.

Allo scopo, il Governo è delegato ad adottare (entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge) uno o più decreti legislativi, sulla base dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801-bis , della legge 29 dicembre 2022, n. 197. Nelle more di ciò, però, si può procedere con d.P.C.M.

Viene inoltre stabilito che la necessità di determinare i LEP sussiste solo per 14 materie elencate, mentre ulteriori 9 non sono soggette a questo obbligo.

Il monitoraggio è affidato a una Commissione paritetica diversa per ogni Intesa e l’eventuale aggiornamento dei LEP sarà predisposto con d.P.C.M., adottati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie.

La sola determinazione dei LEP non garantisce il rispetto della Costituzione

L’inserimento nella legge dell’obbligo di definire i LEP è certamente migliorativo rispetto al precedente testo licenziato dal Consiglio dei ministri, ma assolutamente insufficiente. Infatti, per assicurare i princìpi dettati dalla nostra Costituzione i LEP vanno finanziati e garantiti, e non semplicemente fissati. Per di più, come ribadito anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 282/2002), ciò deve avvenire per tutte le materie, e non solo per 14 come arbitrariamente individuate dalla norma.

Nel corso delle audizioni sulla legge, le problematicità su questo aspetto fondamentale sono state sollevate da molti, tra cui Banca d’Italia: «La definizione dei LEP non implica tuttavia che le prestazioni individuate come essenziali siano adeguatamente finanziate ed effettivamente erogate su tutto il territorio nazionale. Data la clausola di invarianza della spesa, la convergenza a un livello uniforme di servizi può avvenire solo attraverso una rimodulazione della spesa  statale a favore delle Regioni in cui l’offerta di prestazioni è inferiore ai LEP. Se, in alternativa, si assumesse che la spesa storica sinora sostenuta dallo Stato in ciascuna regione sia quella implicitamente necessaria a finanziare i LEP, si determinerebbe la “cristallizzazione” degli attuali divari nell’offerta di prestazioni pubbliche sul territorio».

Resta allora difficile comprendere come si intenda superare questo ostacolo, considerato il presupposto dell’invarianza finanziaria posto alla base dell’intera norma. Ne approfondirò le implicazioni in prossimi articoli, mentre per ora vorrei soffermarmi sulle modalità individuate per la loro definizione.

Dubbi sulle modalità individuate per la definizione e approvazione dei LEP

Nel testo definitivo della legge si supera la formulazione iniziale che si era spinta ad affidare l’intera disciplina al solo strumento del d.P.C.M. Tale evenienza, non solo avrebbe esautorato in maniera ancora più evidente il ruolo del Parlamento all’interno della procedura, ma anche incontrato forti dubbi di costituzionalità, considerato che l’art. 117 Cost., secondo comma, lett. m), riserva chiaramente alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Ciò premesso, non possono comunque tralasciarsi le criticità che permangono in una previsione che, mentre da una parte delega il Governo a emanare uno o più decreti legislativi per l’individuazione delle prestazioni da considerarsi essenziali (entro due anni dall’approvazione della legge), da un’altra specifica che nelle more dell’esercizio della delega i LEP possono essere in ogni caso adottati con semplice atto amministrativo, ossia nuovamente d.P.C.M.; e lo stesso dicasi per gli aggiornamenti periodici.

Una delega in bianco al Governo

Da più parti si è osservato che così facendo si sarebbe in presenza di una vera e propria delega in bianco al Governo, mancando nei riferimenti posti dalla legge qualsiasi principio o criterio direttivo generale che ne vincoli l’azione; tale previsione sembra violare quanto dettato dall’art. 76 Cost. per l’esercizio della funzione legislativa delegato al Governo, dove invece il giudice delle leggi ha più volte ribadito la necessità che «si manifesti la valutazione politica preminente del Parlamento» (ex multis, sent. n. 354/1998).

Tutti concetti ribaditi da una costante giurisprudenza della Corte costituzionale, ripercorsa e confermata nella recente sent. n. 166/2023: «La legge delega è dunque fondamento e limite del potere legislativo delegato; essa, se, da una parte, non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque non idonee ad indirizzarne l’attività, dall’altra, “può essere abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondente spazio entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di riempimento normativo, la quale è pur sempre esercizio delegato di una funzione legislativa” essendo il legislatore delegato chiamato “a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega” (sentenza n. 104 del 2017, punto 3.1. del Considerato in diritto)».

E ancora: «Se la delega legislativa non esclude in capo al legislatore delegato ogni discrezionalità, tuttavia la ì maggiore o minore ampiezza di quest’ultima va apprezzata e ritenuta “in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega”, nel rilievo che “per valutare se il legislatore abbia ecceduto [i] margini di discrezionalità occorre individuare la ratio della delega per verificare se la norma delegata sia stata con questa coerente” (sentenza n. 153 del 2014 e, nello stesso senso, tra le altre, sentenze n. 175 del 2022, n. 231 e n. 174 del 2021, n. 184 del 2013, n. 272 del 2012, n. 230 del 2010)».

Tali criticità risultavano largamente segnalate dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati nel parere fornito durante l’iter della legge. Un fatto anche questo incomprensibilmente ignorato.

E una tale inosservanza appare ancora più grave se compiuta nella procedura per la determinazione dei LEP, ossia proprio in quelle prestazioni e servizi che la Costituzione pretende garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale; e che per la Corte «indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale», nonché «il nucleo invalicabile di garanzie minime» per rendere effettivi tali diritti (ex multis, sent. n. 142 del 2021 e n. 62 del 2020).

Tutti concetti, tra l’altro, talmente presenti al legislatore da essere posti niente meno che tra le Finalità enunciate all’art. 1, comma 2 della stessa legge n. 86/2024.

Sic transit gloria mundi…