Ecco alcune prime considerazioni curate da Fabio Ascenzi sulle anticipazioni della Corte costituzionale dedicate alla Legge Calderoli sull’autonomia differenziata.


Lo scorso 14 novembre la Corte costituzionale ha anticipato con un comunicato le principali decisioni assunte rispetto alle questioni di legittimità avanzate dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania nei confronti della legge sull’autonomia differenziata. E subito si è riacceso lo scontro politico, con una ridda di dichiarazioni diametralmente opposte tra gli schieramenti politici.

Per i sostenitori della legge si può andare avanti senza troppi problemi, poiché l’impianto generale sarebbe stato salvato dalla Corte, avendo ritenuto non fondata la questione di costituzionalità posta sull’intero testo.

Per gli oppositori bisogna immediatamente fermarsi, considerato che i giudici della Consulta avrebbero demolito la norma nei suoi pilastri fondamentali.

Solo dopo la pubblicazione della sentenza si potrà avere una piena contezza dell’iter logico-argomentativo posto alla base delle decisioni; soprattutto per quelle parti dove si annuncia un’attività di interpretazione costituzionalmente orientata della legge. Per il momento, quindi, alcune riflessioni generali.

Autonomia e regionalismo differenziato sono previsti dalla Costituzione

Partendo dalle affermazioni dei sostenitori, mi sembra alquanto avventato che a fronte delle rilevanti censure della Corte ci si possa limitare a ritenere che tutto possa andare avanti, come se nulla fosse, visto che non è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’intera legge.

Va infatti ricordato che il testo sottoposto a giudizio, come sempre rivendicato dallo stesso legislatore, è semplicemente una norma procedurale di attuazione dell’art. 116 Cost., terzo comma.

Pertanto, volendo arrischiare un’ipotesi poggiata sulla consolidata giurisprudenza per casi simili, potrebbe pensarsi a un ragionamento dei giudici fondato sul presupposto che, essendo le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia previste dalla nostra Carta, non possa considerarsi certamente anticostituzionale approntare una legge procedurale che ne voglia dare attuazione.

Il problema è di natura “esecutivo”

Leggeremo meglio nella sentenza, ma se così fosse, per quanto mi riguarda, nulla di inaspettato o sorprendente, considerato che nei diversi articoli pubblicati ho sempre sostenuto che né l’autonomia né il regionalismo differenziato possono essere considerati di per sé contra Constitutionem. Semmai il problema sta nelle modalità di esecuzione.

Già nel mio libro pubblicato a maggio 2023 scrivevo: «È utile ricordare ancora che l’autonomia è prevista nella Costituzione. Lo ripetono come fosse un mantra i sostenitori della differenziazione, quasi costituisse copertura per qualsiasi nefandezza si volesse realizzare in suo nome. Ma nessuno ha mai detto il contrario. Lo sappiamo, l’autonomia è prevista nella Costituzione, infatti non è la sua evocazione a mettere in pericolo i princìpi fondamentali della nostra Carta, ma le modalità con cui la si vorrebbe eventualmente attuare».

E ancora «Il problema, dunque, non è neppure la differenziazione in sé, ma fare in modo che questa venga attuata seguendo procedure costituzionalmente adeguate, nonché valutandone scrupolosamente gli effetti, nella ricerca di un necessario equilibrio con i princìpi di unità e uguaglianza» (ASCENZI F., Autonomia o Secessione. Limiti e possibilità del regionalismo differenziato, Phasar Edizioni, Firenze, 2023, p. 225).

La Corte ha demolito le modalità previste dalla legge Calderoli

Mi sono concesso questa auto-citazione solo per richiamare l’attenzione sul fatto che, appunto, è proprio sulle modalità individuate dal testo Calderoli che la Corte costituzionale ha concentrato le proprie censure, demolendo i capisaldi di una legge che, pur rimanendo formalmente in vigore, così come rimaneggiata risulta assolutamente inapplicabile.

Certo, il Parlamento potrà intervenire per colmare i vuoti aperti dalla sentenza; ma la soluzione non sembrerebbe essere così facile o veloce come preteso dal ministro proponente, considerato che la Corte per un verso ha ribadito la legittimità costituzionale di una legge che voglia dare attuazione ad autonomia e differenziazione, ma immediatamente dopo ha sonoramente bocciato le modalità con cui si è provato a farlo con la legge Calderoli.

Il comunicato può essere recuperato nella sua interezza dal sito internet della Corte.

In precedenti riflessioni ho analizzato quelle tematiche che ritenevo più delicate per la tenuta dell’impianto costituzionale, in particolare criticità inerenti alle materie attribuibili, ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e alla valutazione del ruolo attribuito al Parlamento. Sembrerebbe che queste appaiano ampiamente affrontate dai giudici della Consulta.

Fornite modalità univoche e limiti per l’attuazione dell’art. 116 Cost., terzo comma

Tra l’altro, alla luce di quanto riportato, oltre alle censure palesate, i giudici della Consulta sembrerebbero aver inflitto un ulteriore colpo alle velleità secessioniste, poiché attraverso queste interpretazioni costituzionalmente orientate hanno ripreso quel processo che nei decenni precedenti aveva già portato la Corte ad effettuare, di sentenza in sentenza, una vera e propria riscrittura del Titolo V riformato nel 2001 (a partire dalla pietra miliare rappresentata dalla sent. n. 303/2003).

Definendo ora anche le modalità univoche di applicazione dell’art. 116 Cost., terzo comma, la sentenza ha posto dei paletti invalicabili per qualsiasi processo di attuazione si voglia intraprendere (con la pubblicazione apprenderemo meglio quanti e quali); e questo a prescindere se si faccia attraverso una legge procedimentale tipo quella in discussione o in diretta attuazione della Costituzione.

Dall’indomani di questa pronuncia, pertanto, qualunque concessione di autonomia e differenziazione dovrà conformarsi a quanto stabilito dalla Corte, che così facendo ha finalmente definito gli argini costituzionalmente insuperabili allorché si vogliano avviare siffatti processi, superando probabilmente anche molti di quei dubbi interpretativi causati da una disposizione costituzionale scritta, effettivamente, in maniera alquanto opaca.

Infine, in chiusura del proprio comunicato, aspetto che ho trovato ignorato o sottovalutato in molti commenti, i giudici della Consulta hanno ribadito pure che per le future iniziative essa stessa «resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora si censurassero con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale».

E non mi pare un’affermazione da poco, anche come avvertimento per chi ritiene che gran parte dei rilievi mossi possano essere agevolmente superati con piccoli aggiustamenti in fase di attuazione della legge.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum!