La risoluzione 38/E del 28 marzo 2017 ha fornito chiarimenti sulla definizione sotto la quale possono essere ascrivibili i lavoratori frontalieri.
Per il Fisco, sono considerati in ogni caso “frontalieri” svizzeri i residenti in comuni italiani il cui territorio sia compreso in una fascia di 20 chilometri dal confine con uno dei cantoni del Ticino, dei Grigioni e del Vallese, nei quali si recano per svolgere la loro attività di dipendenti, non essendo richiesta la condizione che il lavoro sia prestato in un cantone “frontista” rispetto al comune di residenza. È il chiarimento fornito dalla risoluzione 38/E del 28 marzo 2017.
Lo spunto è l’ordine del giorno approvato dal Senato della Repubblica, in occasione della conversione in legge del Dl 193/2016, che impegna il governo a fornire la definizione di “lavoratore frontaliero svizzero”. La questione è rilevante dal punto vista fiscale e riguardo alle compensazioni finanziarie che i cantoni d’oltralpe effettuano a favore delle amministrazioni comunali di residenza dei lavoratori, secondo i criteri di ripartizione e utilizzazione stabiliti periodicamente da un decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze.
Il documento di prassi, per cominciare, ricorda le regole che disciplinano la tassazione dei redditi prodotti in Svizzera da questi cittadini. L’accordo siglato da Italia e Confederazione elvetica il 3 ottobre 1974 stabilisce che i compensi e gli stipendi corrisposti ai frontalieri sono tassati nel Paese in cui l’attività è svolta (in questo caso, la Svizzera).
I cantoni interessati (Grigioni, Ticino e Vallese), a loro volta, versano ogni anno ai comuni italiani di confine una parte del gettito fiscale proveniente dalle imposte (federali, cantonali e comunali) versate dagli italiani per il reddito lì prodotto, a compensazione finanziaria delle spese sostenute per i “pendolari” residenti nel loro territorio.
In particolare, il decreto Mef del 4 agosto 2016 stabilisce che le somme provenienti da dette compensazioni debbano confluire nelle casse dei municipi il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte, nella fascia di 20 chilometri dal confine tra l’Italia e uno dei tre cantoni interessati. Lo stesso Dm prevede, inoltre, che l’importo totale sia suddiviso per il numero complessivo dei frontalieri residenti al 31 agosto di ciascun anno nei comuni di confine che abbiano svolto nel corso dell’anno attività di lavoro dipendente in uno dei tre cantoni. Nell’accordo – precisa l’Agenzia delle Entrate – non è richiesto specificamente che debba trattarsi di un cantone “frontista” rispetto al comune di residenza.
Di conseguenza, soltanto nell’ipotesi in cui il cittadino italiano risieda in un municipio che dista più di 20 chilometri dal confine delle tre zone della confederazione interessate, si dovrà ricorrere all’applicazione dell’articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni firmata da Italia e Svizzera.
In tal caso, il lavoratore che si sposta quotidianamente in Svizzera per svolgere la sua attività pagherà le imposte in Italia, beneficiando della franchigia di 7.500 prevista per i redditi di lavoro dipendente prestato fuori dallo Stato in zone di frontiera (articolo 1, comma 175, legge 147/2013). Inoltre, a questi contribuenti spetta il credito per le imposte pagate all’estero (articolo 165, comma 10, del Tuir).