Il Consiglio di Stato, sez. III, con la Sentenza del 13.04.2018 n. 2231 si è pronunciato sui casi di legittimità dell’interdittiva antimafia.
All’interdittiva antimafia deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva. In un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.; costituisce una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione.
Tale provvedimento, infatti, mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica amministrazione. E si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
Non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso. Potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.
Dunque, deve ritenersi legittima l’interdittiva antimafia adottata sul rilievo che il titolare di impresa individuale immune da pregiudizi penali, ha significativi legami con una famiglia vicina alla cosca mafiosa. Operante in zona in cui è particolarmente presente il fenomeno mafioso.
Tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso. Ma per la doverosa considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica. E si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’. Sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.
L’ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti. Mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’interdittiva antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento.