giovani-lavoroSe un giovane di vent’anni nel 2004 ha impiegato 10 anni per raggiungere l’indipendenza economica, nel 2020 ne impieghera’ 18 (arrivando quindi a 38 anni) e nel 2030 addirittura 28: “diventerebbe, in sostanza, ‘grande’ a cinquant’anni”.


 

E’ quanto emerge in uno studio della Fondazione Visentini presentato oggi alla Luiss.

 

L’analisi parte dalla considerazione che la questione del divario generazionale, come le possibili soluzioni ad esso connesse, chiama in causa i principi della solidarietà e dell’uguaglianza sanciti dalla Costituzione: non è possibile infatti- si legge nel rapporto- essere uguali di fronte alla legge se prima non vengono rimosse le condizioni di disuguaglianze che impediscono a tutti di fruirne.

 

In questo quadro la ricerca si chiede se si può parlare, per i millennials, i nati alla fine del secolo scorso, di ‘generazione perduta’, appellativo che fu in precedenza attribuito ai loro genitori. La risposta è no, ma il rischio di una deriva è molto elevato e gli oneri per uscire dall’impasse gravano, attualmente, sui diretti interessati. Questi crescono in una società costruita e gestita a misura delle generazioni mature, che preclude ai giovani anche la visione, la speranza e l’aspettativa stessa di un benessere futuro: una società dominata dai baby boomers che hanno goduto di una confortevole gioventù e che oggi approdano a una confortevole vecchiaia da silver boomers.

 

Le prospettive, delineate da uno specifico ‘Indicatore di Divario Generazionale’, impongono una riflessione strutturata sulle misure di contrasto, nel quadro di un vero e proprio patto tra generazioni. Secondo il rapporto, è necessario un intervento per fronteggiare quella che appare come una “emergenza generazionale”.

 

La fondazione Visentini propone un “eccezionale sforzo solidaristico nell’ambito un intervento organico e sistematico che ponga la questione giovanile al centro dell’attenzione politica”.

 

La fondazione propone una rimodulazione dell’imposizione fiscale con funzione redistributiva e “un contributo solidaristico da parte delle generazioni che godono di pensioni più generose”: viene ipotizzato il coinvolgimento, per tre anni in un vero e proprio patto generazionale, di circa 2 milioni di pensionati, posizionati nella fasce più alte.