fallimentoRallenta la corsa dei fallimenti delle imprese italiane: tra gennaio e novembre di quest’anno le procedure fallimentari aperte dalle aziende dello Stivale sono state 12.583, contro le 13.223 del corrispondente periodo del 2014. In termini percentuali, la frenata è vicina al 5% e segna un’inversione di tendenza rispetto al trend degli ultimi 4 anni.

 

Rispetto alla struttura imprenditoriale italiana, che conta circa 6 milioni di imprese registrate negli archivi delle Camere di commercio, il fenomeno delle aperture di procedure fallimentari riguarda dunque un numero di imprese molto limitato, nell’ordine di 2,1 unità ogni mille.

 

“Il segnale che giunge dal rallentamento delle procedure fallimentari è certamente positivo”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello. “Ci conferma che il sistema produttivo italiano sta uscendo dalla grave crisi degli ultimi anni. Quello di quest’anno è infatti, sul fronte dei fallimenti, il risultato migliore dall’inizio della crisi”.

 

La contrazione del flusso di nuovi fallimenti si registra in tutte le principali forme giuridiche, con l’eccezione di un lieve incremento nel settore delle cooperative e consorzi. Osservando la distribuzione delle nuove procedure per settore di attività delle imprese, quello che contribuisce maggiormente in termini assoluti è il commercio (3.186 fallimenti aperti negli undici mesi, pari al 25,3% del totale). Seguono le costruzioni con 2.824 eventi (22,4%) e l’industria manifatturiera con 2.654 (21,1%).

 

Quanto all’incidenza del fenomeno – al netto dei settori di minori dimensioni per numero di imprese – l’esposizione delle imprese al rischio di fallimento è più elevata tra le attività dei trasporti e magazzinaggio (3,6 procedure aperte ogni mille imprese esistenti). Rispetto al 2014, tra i settori di maggiori dimensioni quelli che più degli altri hanno tirato una boccata d’ossigeno sono stati le attività manifatturiere (-11,7%) e le costruzioni (-10,3%).

 

A peggiorare la performance dell’anno precedente sono stati, in particolare, i servizi alle imprese (+9,3%) e le attività di alloggio e ristorazione (+8,6%). A livello territoriale emerge tuttavia un quadro più movimentato del fenomeno. Su 20 regioni, infatti, la contrazione nell’apertura di nuovi fallimenti si limita a 11 regioni, mentre nelle rimanenti 9 (in ordine alfabetico Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Molise, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto) fa segnare incrementi, seppure di diversa intensità. In termini assoluti, la regione con il maggior numero di procedure aperte tra gennaio e novembre è la Lombardia (2.633), seguita dal Lazio (1.461) e dal Veneto (1.162).

 

Anche in termini relativi (espressi dal rapporto tra procedure aperte e numero di imprese residenti sul territorio), la regione con il tasso di fallimento più elevato è Lombardia (con 2,8 nuove procedure ogni mille imprese). Seguono Toscana (2,5) e Veneto (2,4). Sul fronte opposto, le regioni dove quest’anno i fallimenti hanno inciso di meno sul tessuto imprenditoriale locale sono la Basilicata (0,8 procedure aperte ogni mille imprese) la Valle d’Aosta (1,2) e la Sardegna (1,3).