Una recente sentenza del Consiglio di Stato, analizzata dall’Avv. Renzo Cavadi in collaborazione con la Dott.ssa Arch. Gabriella Di Filippo, si occupa della natura inderogabile della normativa concernente le distanze tra edifici ed esclusione dei titoli edilizi per silenzio-assenso in aree paesaggisticamente vincolate.
Non può formarsi il silenzio assenso in materia ambientale e paesaggistica, potendosi l’azione del privato esplicare solo in presenza di provvedimenti esplicitamente abilitativi. Nessun titolo edilizio può formarsi per silenzio ove sull’area interessata esistano vincoli paesaggistici. Per tale ragione il soggetto che veda intervenire l’amministrazione in ragione dell’attività svolta, non può invocare il legittimo affidamento al fine di vedere ristorato il relativo danno.
L’articolo 9 del d. m. n. 1444 del 1968 ha natura inderogabile, in quanto norma imperativa, volta a predeterminare in via generale le distanze tra costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza.
- Distanze tra edifici in aree paesaggisticamente vincolate
- L’articolata vicenda da cui è scaturito il contenzioso
- I motivi di impugnazione di fronte al TAR Puglia e l’esito del giudizio di prime cure
- Le doglianze sollevate in appello davanti al Consiglio di Stato
- L’articolata decisione dei giudici di Palazzo Spada
- Riflessioni finali
Distanze tra edifici in aree paesaggisticamente vincolate
I limiti fissati nel suddetto decreto integrano il regime delle distanze nelle costruzioni con efficacia precettiva, in quanto perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva, e non la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione. Trattasi di prescrizioni inderogabili con conseguente illegittimità delle previsioni urbanistiche comunali con esse contrastanti che, perciò solo, sono disapplicate dal giudice il quale, in omaggio ai criteri di gerarchia delle fonti, applica la norma di livello superiore.
L’articolo 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 consente, nel quadro dei principi che informano la potestà legislativa concorrente delle regioni in materia di governo del territorio, la possibilità di prevedere con normazione a livello territoriale, a determinate condizioni, disposizioni derogatorie al d. m. n. 1444 del 1968.
Sulla base di tali interessanti considerazioni, Il Consiglio di Stato, sez. IV, con un’importante decisione del 17 maggio 2023 n. 4933 (Est. G. Rotondo), si è pronunciata sull’esclusione della formazione di un titolo edilizio “per silentium“ in area paesaggisticamente vincolata, e sull’inderogabilità da parte dei Comuni, delle previsioni urbanistiche in tema di rispetto delle distanze legali tra edifici.
L’articolata vicenda da cui è scaturito il contenzioso
Ai fini della comprensione dei principiali punti chiave, in cui si articola l’interessante pronunzia dei giudici di Palazzo Spada, è necessario preventivamente ricostruire con attenzione lo snodo della vicenda avente ad oggetto l’accertamento del diritto del privato ad essere risarcito di tutti i potenziali pregiudizi cagionati da un’ illegittima determinazione dirigenziale adottata dal Comune di Lucera.
Nel 2011, un privato acquistava un immobile consistente in un edificio per cui ha chiesto e ottenuto nel 2013 un permesso di costruire finalizzato alla ristrutturazione con parziale demolizione del fabbricato esistente e ampliamento con soprelevazione di alcuni piani.
Tale permesso, (impugnato inizialmente al TAR PUGLIA da un confinante per presunta violazione della distanza legale di 10 metri fra pareti finestrate così come prevista ex lege dal D.M. n. 1444/1968), veniva rigettato dal giudice di prime cure ma successivamente appellato davanti ai giudici di Palazzo Spada i quali, ribaltando l’esito della sentenza in primo grado, disponevano proprio l’annullamento dell’impugnato permesso di costruire. Tutto ciò, spingeva il ricorrente a presentare e ottenere nuovamente l’ennesimo permesso di costruire rispettoso di tali previsioni normative.
Nel frattempo però, il Comune di Lucera approvava un nuovo P.U.G. (Piano Urbanistico Generale), prevedendo proprio nelle zone interessate, l’inserimento di una deroga alla distanza di 10 metri tra pareti finestrate ai sensi del d.m. n. 1444/1968.
Il privato allora, richiedeva un ulteriore permesso di costruire sulla base del nuovo P.U.G., senza ottenere esito dal Comune di Lucera: ragion per cui, in assenza di integrazione documentale e ritenendo formatosi il silenzio assenso in relazione alla sua richiesta di titolo edilizio, preannunciava conseguentemente l’invio della comunicazione di inizio lavori.
Tuttavia, con provvedimento del luglio 2017, il Comune di Lucera stabiliva di annullare in autotutela sia il secondo permesso di costruire che il silenzio assenso formatosi sul terzo permesso di costruire, motivo per cui il privato, ritenendo illegittima tale determinazione adottata dall’Amministrazione comunale, decideva di agire processualmente a tutela dei propri diritti, impugnandoli in primo grado dinnanzi al all’autorità giudiziaria competente e cioè il Tribunale Amministrativo Regionale per la Regione Puglia. Oltre all’annullamento, chiedeva il risarcimento dei danni patiti in ragione dell’adozione del provvedimento impugnato.
I motivi di impugnazione di fronte al TAR Puglia e l’esito del giudizio di prime cure
Il ricorrente affidava le proprie ragioni attraverso il ricorso introduttivo incardinato innanzi al TAR PUGLIA, censurando il provvedimento di autotutela adottato dall’amministrazione resistente, a cinque doglianze ed in particolare: 1) eccesso di potere per omessa ed erronea valutazione dei presupposti e carenza di istruttoria, illogicità ed irragionevolezza dell’operato del comune; 2) eccesso di potere, contraddittorietà dell’operato del comune, disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta, omessa motivazione; 3) omessa comunicazione di avvio del procedimento e dunque violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241; 4) violazione del combinato disposto dell’art. 20 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 21-nonies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241; 5) violazione dell’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990“.
Ciò premesso i giudici del TAR PUGLIA, nonostante il Comune di Lucera non si fosse processualmente costituito, con ordinanza interlocutoria del 2021, hanno sollevato dubbi in ordine alla procedibilità della domanda impugnatoria, in considerazione inoltre dell’ottenimento da parte del ricorrente di un nuovo (il quarto per l’esattezza) permesso di costruire. Con atto dell’agosto 2021, depositato nel giudizio di primo grado, il Comune di Lucera “confermava il sopravvenuto difetto di interesse rispetto alla parte impugnatoria del gravame”, chiedendo dunque come logica conseguenza il rigetto dell’istanza risarcitoria.
Con sentenza n. 743 del 24 maggio 2022, il Collegio Amministrativo di primo grado, ha preliminarmente dichiarato improcedibile il ricorso impugnatorio per sopravvenuto difetto di interesse, in ragione delle sopravvenute determinazioni del Comune; pur tuttavia, avendo in ogni caso ravvisato il persistere di un effettivo interesse alla decisione sull’istanza risarcitoria, ancorata alla verifica di potenziale illegittimità dell’autotutela esercitata con l’atto gravato, accertava concretamente la fondatezza della pretesa risarcitoria sollevata dal privato in giudizio.
Più precisamente i giudici del TAR PUGLIA, hanno ritenuto processualmente sussistenti tutti gli elementi e i presupposti della responsabilità extracontrattuale in capo al Comune di Lucera stante: 1) l’illegittimo esercizio dei poteri di autotutela rispetto al titolo autorizzatorio formatosi per silentium e conforme al quadro urbanistico sopravvenuto e vigente all’atto dell’ultima istanza; 2) la colpa dell’Amministrazione senza che alcuna esimente sia stata da quest’ultima prospettata per giustificare il proprio comportamento; 3) il nesso di causalità rispetto al pregiudizio illustrato.
Le doglianze sollevate in appello davanti al Consiglio di Stato
Il Comune di Lucera, ritenendo illegittimo l’esito del giudicio di primo grado, ha proposto appello dinnanzi al Consiglio di Stato, sollevando plurime censure tutte per error in iudicando.
In particolare, con il primo motivo di appello e che interessa ai fini della soluzione del caso di specie, l’Amministrazione appellante censurava la decisione del TAR PUGLIA, per violazione o falsa applicazione dell’articolo 20, comma 8 del D.PRR. N. 380/2021, difetto di motivazione, travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta, erronea valutazione della vicenda, omessa pronunzia. Più precisamente il Comune di Lucera ha sostenuto che “non si sarebbe formato il silenzio assenso, ai sensi dell’art. 20, comma 8, del d.p.r. 380/2001 stante l’esistenza di vincoli paesaggistici imposti dal P.U.G. sull’area oggetto d’intervento nonché vincoli paesaggistici sulla strada prospiciente l’intervento derivanti dall’emanazione dei decreti 24 aprile 1985…“e che “…il nuovo permesso di costruire sarebbe stato rilasciato in dichiarata applicazione dell’art. 26.2 del p.u.g. e quelle di cui all’art. 2-bis del d.p.r. n. 380/2001“.
Gli ulteriori motivi di appello non risultano rilevanti, stante la scelta del Collegio Amministrativo di ritenere fondato e assorbente il primo.
L’articolata decisione dei giudici di Palazzo Spada
Il Consiglio di Stato preliminarmente ricorda che in una materia come quella che abbraccia l’ambiente e il paesaggio non si può procedere per silenzio-assenso bensì esclusivamente attraverso provvedimenti espliciti (art. 20, comma 4, legge n. 241 del 1990). Nel caso di specie in particolare “nessun titolo poteva ritenersi legittimamente formato per silentium, stante i vincoli paesaggistici gravanti sull’area”.
Il Consesso Amministrativo peraltro, richiamando la giurisprudenza amministrativa sul punto (Cons. di Stato sez. IV, n. 553/2022 e n. 216/2022 che hanno fatto applicazione dei principi elaborati dalla Plenaria n. 7/2021), aggiunge che, il presupposto su cui controparte fonda la c.d. spettanza del bene della vita, da intendersi come elemento del resto imprescindibile per la riconoscibilità della responsabilità da lesione di interesse legittimo, “s’appalesa pertanto infondato allo scrutinio (incidentale) sulla legittimità degli atti e del procedimento ai fini risarcitori”.
Inoltre per i giudici di Palazzo Spada, “parte appellata, per le chiare ragioni ostative di cui all’art. 20, comma 4, d.p.r. n. 241 del 1990 non poteva vantare la formazione di un idoneo e legittimo titolo edilizio, ragion per cui essa neppure successivamente, ha potuto invocare un’illegittima sottrazione del bene della vita che mai gli era stato attribuito (tacitamente) e tantomeno appartenuto. In sostanza “non potendo il ricorrente affermare la valida formazione di un titolo edilizio formatosi per silentium, stante la carenza di una formale autonoma autorizzazione (pur se rilasciata dal medesimo comune in base alla disciplina regionale) sotto il profilo della compatibilità ambientale, neppure può affermare di esserne stato illegittimamente privato, così da inferire una responsabilità del Comune per lesione dell’affidamento legittimo“.
Sul punto, val la pena ricordare che in passato l’amministrazione comunale, aveva solo espresso un semplice parere istruttorio senza che tuttavia, tale parere confluisse in un vero e proprio titolo ambientale definitivo. Inoltre, occorre sottolineare come la determina impugnata “non assume alcun valore confessorio né di autotutela, bensì di diniego del titolo edilizio non essendosi formato alcun silenzio-assenso”.
Il Collegio Amministrativo si spinge sino a ricordare che “il P.U.G. è un piano generale e non attuativo, sicché esso stabilisce in via generale, la distanza tra fabbricati ma affinché questa possa rendersi attuale occorre comunque dotarsi del piano attuativo“ pervenendo a dichiarare l’illegittimità del Piano Urbanistico adottato dal Comune di Lucera. Infatti, il piano va “inapplicato” al caso di specie, poiché vi è “certa illegittimità, ad ogni modo, anche del P.U.G., nella parte in cui ha derogato alle distanze minime di cui all’art. 9, d.m. n. 1444/1968 in assenza di una legislazione regionale (v. art. 2-bis, d.p.r. n. 380/2001) che legittimasse (ratione temporis ) i comuni a prevedere deroghe all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 in sede di approvazione del P.U.G.“.
Ciò posto, i giudici di Palazzo Spada, nel richiamare la costante giurisprudenza amministrativa e civile sul punto (Cons. Stato, n. 7029/2021, n. 3093/2017, n. 2086/2017, Cass., civ., n. 23136/2016) ricordano che in considerazione della normativa statale e regionale applicabile ratione temporis “la distanza minima di dieci metri tra edifici antistanti (fissata dall’articolo 9 del d.m. n. 1444/1968), aveva carattere inderogabile in quanto norma imperativa, volta a predeterminare in via generale le distanze tra le costruzioni in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza”.
La stessa giurisprudenza amministrativa peraltro, ha precisato che le limitazioni cristallizzate nel decreto del 1968 “ integrano il regime delle distanze delle costruzioni con efficacia precettiva, in quanto perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva e non la tutela del diritto domenicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione regolata e tutelata invece dal codice civile). Pertanto tale illegittimità comporta l’obbligo del giudice “di applicare la norma superiore secondo il criterio di gerarchia materiale delle fonti, disapplicando la norma regolamentare (il P.U.G. in questo caso) in contrasto con la norma di rango superiore e inderogabile “.
Alla luce di ciò, le distanze di 10 mt tra le pareti di edifici, oltre a intendersi come inderogabili, vanno considerate come vincolanti sia per i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici (in tal senso si veda Cons. di Stato n. 7029/2021), sia per i privati, dal momento che i confinanti non potrebbero con patti stipulati tra loro derogarle).
Le uniche eccezioni consentite dalla norma in materia sono: a) gli interventi di risanamento conservativo; b) le ristrutturazioni di edifici situati nei centri storici; c) i gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate; d) la posa per il risparmio energetico correlata al cd. cappotto termico.
I giudici di Palazzo Spada evidenziano come soltanto negli anni 2000 e precisamente attraverso l’articolo 2 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), la legislazione nazionale, all’interno dei principi che regolano la potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio, aveva introdotto una normativa speciale che consentiva a livello territoriale, l’eventuale possibilità concessa alle stesse singole Regioni e le Province autonome, di prevedere disposizioni derogatorie alle distanze previste dal D.M. n. 1444/1968.
Pur tuttavia, perché ciò fosse concretamente concesso, era comunque necessario che ogni singola Regione, esercitasse effettivamente la propria potestà legislativa concorrente in materia, prevedendo a livello territoriale, la possibilità di deroghe alle distanze stabilite ex lege. Ebbene allo stato attuale, tale facoltà non risulta essere stata ancora attivata dalla Regione Puglia.
Anche per questa ragione, la scelta del Comune di Lucera, di revocare in autotutela il secondo permesso di costruire e il correlato silenzio assenso sul terzo permesso di costruire, non è connotato minimamente da alcun profilo di responsabilità in capo all’Amministrazione comunale. Ed allora, assodata la legittimità del provvedimento di auto-annullamento del precedente titolo edilizio, viene meno un ulteriore presupposto per l’accoglimento della domanda di condanna del Comune al risarcimento del danno.
In ogni caso per i giudici del Consiglio di Stato nel caso di specie, non è nemmeno ipotizzabile la responsabilità c.d. soggettiva (per colpa), sol se si considera che la condotta contestata è stata orientata da “princìpi normativi e giurisprudenziali in tema di distanze legali di incerta applicazione e non agevole coordinamento, a cagione del contrasto esistente fra fronti normative di livello diverso, suscettive di non facile e immediata ordinazione e composizione“.
Ne consegue che l’appello sollevato dal Comune di Lucera è legittimamente fondato e come tale, va riformata la sentenza di primo grado emessa dal TAR PUGLIA.
Riflessioni finali
L’importanza della decisione adottata dal Consiglio di Stato, dove vengono affrontate e scandagliate questioni cruciali relative alla pianificazione territoriale e all’edilizia, tende a cogliersi nel momento in cui ribadisce, con assoluta fermezza, l’importanza della tutela del paesaggio e dell’ambiente nella sfera del diritto amministrativo e più in generale del nostro ordinamento.
In tal senso, l’orientamento giurisprudenziale abbracciato dai giudici di Palazzo Spada, ha ribadito e confermato (prec. conforme Cons di stato, sez. IV, 7 novembre 2022 n. 9750), la cogenza delle norme concernenti le distanze tra gli edifici e la conseguente impossibilità di ottenere dall’amministrazione competente, titoli di natura edilizia “per silentium” (ovvero per mancata opposizione dell’amministrazione) in aree vincolate dal punto di vista paesaggistico.
Si tratta di una linea di pensiero interpretativa, che rafforza ancor di più il principio secondo il quale, l’interesse pubblico alla tutela igienico-sanitaria collettiva, prevale ex lege, sul diritto di proprietà ed in particolare, sul diritto dominale dei singoli proprietari degli edifici confinanti alle nuove costruzioni.