diritto-preghiera-musulmani-monfalconeIl Consiglio di Stato ha imposto alla sindaca leghista del Comune di Monfalcone, Anna Maria Cisint, di trovare degli stabili che permettano ai musulmani di esecitare il diritto alla preghiera.


La controversia è scaturita in seguito alla diatriba tra il comune e le associazioni islamiche Darus Salaam e Baitus Salat, originata dallo sfratto delle associazioni da due locali l’anno scorso a causa di presunte irregolarità urbanistiche.

Il contenzioso nello specifico riguardava due edifici utilizzati per la preghiera, per i quali era stata ordinata il ripristino della destinazione d’uso. Le associazioni avevano impugnato le ordinanze dell’ente locale e la vicenda è finito di fronte al Consiglio di Stato.

Diritto alla preghiera dei musulmani: il Consiglio di Stato contro il Comune di Monfalcone

I giudici amministrativi hanno temporaneamente sospeso tali ordinanze, anche in vista del Ramadan. Nella sua decisione, il Consiglio di Stato ha accolto gli appelli cautelari delle associazioni, precisando che l’amministrazione comunale è tenuta a collaborare con loro per individuare siti alternativi adeguati e dignitosi per la preghiera. La sindaca Cisint è stata invitata a partecipare a un tavolo di confronto entro sette giorni.

Il Consiglio di Stato ha analizzato attentamente le critiche sollevate riguardo alle alternative proposte per i luoghi di preghiera dei musulmani, che comprendevano siti periferici e all’aperto. Nonostante ciò, ha ribadito l’importanza dei doveri di collaborazione reciproca tra l’amministrazione comunale e le associazioni culturali islamiche. Inoltre, ha richiamato l’attenzione sui valori costituzionali che devono guidare l’azione dei pubblici poteri, sottolineando la necessità di garantire il rispetto del diritto di culto e promuovere un dialogo costruttivo tra le parti coinvolte.

Il commento della sindaca e delle associazioni

La sindaca ha espresso con fermezza che la decisione del Consiglio di Stato conferma l’incompatibilità dei due centri islamici come luoghi di preghiera, sottolineando l’adesione dell’ente locale ai principi di legalità che devono essere garantiti per tutti i cittadini. Ha precisato che la questione non verte sulla libertà di culto, bensì sull’importanza di rispettare le norme senza ricorrere a strumentalizzazioni violente.

Questo significa che la sindaca riconosce il diritto costituzionale alla libertà di culto, ma ritiene che la controversia non sia una questione di discriminazione religiosa, bensì una questione di conformità legale riguardante l’uso dei locali per scopi di culto.

In risposta alla sentenza, invece, il legale rappresentante delle associazioni culturali islamiche, Vincenzo Latorraca, ha enfatizzato l’importanza del diritto di culto, riconosciuto come fondamentale dalla Costituzione italiana e da vari trattati internazionali sui diritti umani. Questo diritto sottolinea la libertà individuale di professare e praticare la propria religione, compresa la preghiera in luoghi adeguati e dignitosi.

Latorraca ha sottolineato che, in questo contesto, è essenziale garantire un confronto leale tra le parti coinvolte, vale a dire le associazioni culturali islamiche e l’amministrazione comunale. Questo confronto dovrebbe basarsi sulla reciproca comprensione delle esigenze delle comunità religiose e sull’ascolto delle ragioni legali e costituzionali avanzate da entrambe le parti.

Una questione sempre attuale e ancora aperta

La pronuncia del Consiglio di Stato nei confronti del Comune di Monfalcone continua ad alimentare il dibattito riguardante il diritto alla preghiera dei musulmani in Italia.

Questa vicenda fa seguito alle polemiche scatenate dalla scuola di Pioltello, in provincia di Milano, che ha sospeso le lezioni per l’ultimo giorno di Ramadan.

La libertà religiosa, come diritto fondamentale, ha spesso portato a discussioni e controversie in contesti urbani dove gli spazi disponibili sono limitati e le comunità religiose devono trovare soluzioni pratiche per esercitare la propria fede. Alcuni casi pratici del passato e precedenti vari possono illustrare questa complessità.

  1. Casi di zonizzazione urbana: In molte città, le normative di zonizzazione urbana possono limitare l’apertura di luoghi di culto in determinate aree. Ad esempio, potrebbero esserci restrizioni sull’apertura di nuove chiese, moschee o sinagoghe in zone residenziali o commerciali.
  2. Dispute sulle modifiche degli edifici: Le comunità religiose spesso affrontano sfide quando cercano di apportare modifiche agli edifici esistenti per adattarli alle esigenze del culto. Queste dispute possono riguardare l’aspetto estetico degli edifici, le questioni di sicurezza o le preoccupazioni della comunità circostante.
  3. Rispetto delle norme urbanistiche: Le norme urbanistiche possono imporre restrizioni sull’utilizzo degli spazi pubblici e privati per motivi di sicurezza, igiene o impatto ambientale. Le comunità religiose devono rispettare queste normative mentre cercano di garantire l’accesso ai propri luoghi di culto.
  4. Richieste di ampliamento: Le comunità religiose in crescita possono richiedere l’ampliamento dei propri luoghi di culto per ospitare un numero maggiore di fedeli. Tuttavia, queste richieste possono scontrarsi con le restrizioni di zonizzazione o con le preoccupazioni dei residenti locali riguardo al traffico e al parcheggio.
  5. Controversie sul rumore: Le attività religiose, come le chiamate alla preghiera o le cerimonie religiose, possono generare rumore che può essere fonte di controversia con i residenti circostanti. Questo può portare a dispute legali o richieste di limitazioni sull’orario delle attività religiose.

In ogni caso, è importante trovare un equilibrio tra il diritto alla libertà religiosa e altre esigenze della comunità, promuovendo il dialogo e la collaborazione tra le autorità locali e le comunità religiose al fine di trovare soluzioni che rispettino i diritti di tutti i cittadini e contribuiscano a una convivenza armoniosa.


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it