Ecco un approfondimento in merito alle regole vigenti su una materia sempre molto attuale e “scottante”: come si gestisce la casa di proprietà nelle controversie legate alla separazione tra i coniugi.
Seppure i dati Istat mostrino una diminuzione dei divorzi, -3,3% nel primo semestre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023, gli ultimi dati disponibili, ed in calo anche i matrimoni, con un -6,7% sempre in riferimento allo stesso periodo, quasi il 45 per cento delle coppie sposate alla fine divorziano. Numeri importanti i dati che vedevano nel 2023 separazioni e divorzi contare rispettivamente 82.392, i secondi 79.875.
Casa di proprietà e separazione
Continuano ad essere sempre più attuali, dunque, più oggetto di attenzioni e di richieste di informazione, tutte le tematiche relative alla gestione economica e pratica del divorzio. Uno dei temi più ‘caldi’ in materia di separazione è la sorte della casa familiare dopo la separazione. Le risposte degli esperti in merito, riferendosi alla normativa, possono avere esiti molto differenti innanzitutto a partire dalle condizioni di separazione e dal fatto che ci siano o meno figli. Esploriamo le varie possibilità.
Casa cointestata
Casa cointestata e separazione senza figli: in questo primo caso è bene notare che lo scioglimento del matrimonio non elimina la comproprietà sul bene. Uno dei due coniugi può certamente vendere la sua parte di proprietà, sia che la coppia fosse in comunione dei beni, sia per quelle invece in separazione dei beni. Con l’unica differenza che mentre le coppie in comunione dei beni possono cedere a terzi la propria quota solo dopo la fine del matrimonio, quelle in separazione possono farlo in qualsiasi momento. Le spese ordinarie come le bollette, l’ordinaria manutenzione, sono a carico di chi utilizza l’immobile.
Un’altra possibilità prevede che i coniugi possano trovare un accordo sulla sorte della casa cointestata in sede di separazione o divorzio, di solito decidendo di venderla e dividere il ricavato. Possono, ancora, stabilire che uno dei due intesti la propria quota all’altro che gli erogherà quanto pattuito in denaro oppure anche che, in cambio di ciò, rinunci al mantenimento.
Questo tipo di accordo, stipulato tra le parti avrebbe un altro valore aggiunto, cioè quello di risultare esente da ogni imposta, sia imposta di registro che ipotecaria o catastale e sulle donazioni.
Comproprietà dell’immobile
Sempre in sede di separazione o divorzio, i coniugi possono liberamente giungere alla decisione di rimanere entrambi comproprietari dell’immobile, stabilendo in questo caso regole chiare per l’utilizzo del bene stesso, prevedendo turni, periodi, oppure decidendo per esempio di affittare il bene e dividerne i proventi.
È sempre consigliabile cercare di ‘lavorare’ su di un accordo, altrimenti, in caso negativo, la casa rimane in comproprietà, con ciascun coniuge che continua ad essere proprietario della sua quota, che di solito quota il 50% ciascuno, se non diversamente specificato nell’atto di acquisto, ma questi può, in qualsiasi momento, recarsi presso il Tribunale ordinario civile per chiedere lo scioglimento giudiziale della comunione. In presenza di questa evenienza, il giudice, se il bene non può essere diviso in natura e non vi sono altre possibilità di trovare un’intesa tra le parti, procederà vendendo la casa all’asta.
In linea di principio, ogni comproprietario è libero di cedere la propria parte di proprietà a chiunque senza che sia dovuto consultare o prevedere diritti di prelazione rispetto a terzi offerenti, l’altro comproprietario non è tenuto nemmeno a contestare o chiedere di dare il proprio assenso. Il nuovo proprietario potrà vantare i medesimi diritti dell’altro comproprietario, non potendo impedire all’altro il pari uso e dovrà partecipare alle spese di gestione e manutenzione dell’immobile, in proporzione alla propria quota.
Cosa sostiene il codice civile?
L’art. 1102 cod. civ. regola e disciplina l’uso della cosa comune ed in linea teorica, assegna a ciascun comproprietario la libertà di utilizzare un immobile per sé, senza nulla dovere all’altro. Prescrizioni sono l’impossibilità di alterare la destinazione e la necessità che anche l’altro proprietario goda allo stesso modo del bene. È proprio questo il caso nel quale le abitazioni troppo piccole per ospitare due famiglie o comunque in presenza di un immobile non divisibile, se un coniuge o un terzo acquirente detiene una quota dell’immobile, e l’altro coniuge utilizza l’immobile in via esclusiva, quest’ultimo deve pagare al comproprietario una somma a titolo di indennità di occupazione. Simile ad un vero e proprio canone di locazione, l’indennità di solito verrà calcolata in proporzione alla quota di proprietà e al valore locativo dell’immobile.
È diversamente l’articolo 337-sexies del Codice Civile a regolamentare l’assegnazione della casa familiare, ad applicarsi solo in presenza di figli. Per questa centralità e assoluta differenza che la presenza di figli comporta, va ricordato come l’eventuale vendita della quota dell’immobile non elimina nello stesso tempo, la possibilità che il giudice riconosca il diritto di abitazione al genitore collocatario della prole, assegnando cioè la casa a colei o colui, presso cui i figli andranno a vivere stabilmente. Neanche l’aver venduto ad altro soggetto esterno la coppia una quota, tale provvedimento risulterebbe quindi, inopponibile.