Qualche riflessione in attesa delle pronunce della Corte costituzionale sull’autonomia differenziata riguardo alla possibilità di conferire tutte le materie: l’approfondimento è curato da Fabio Ascenzi.


Con un comunicato stampa diffuso le scorse settimane, la Corte costituzionale ha informato che nel mese di novembre comincerà la discussione sulle questioni di legittimità relative alla cosiddetta legge Calderoli, sollevate ai sensi dell’art. 127 Cost. dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania.

A breve, pertanto, Il giudice delle leggi si troverà a entrare nel merito delle obiezioni avanzate dai ricorrenti, passando sotto la lente di ingrandimento gli undici articoli della legge n. 86/2024, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

Tra i temi di assoluta delicatezza per la tenuta dell’impianto costituzionale ho sempre ritenuto che una particolare attenzione vada dedicata alle materie attribuibili, alle questioni LEP e alla valutazione del ruolo che (non) è stato attribuito al Parlamento.

Ovviamente non che siano gli unici, e un’attenta lettura dei ricorsi presentati ci offre di sicuro un quadro più completo. Ma credo che questi siano fondamentali rispetto alla valutazione che i giudici si apprestano a compiere sulla legge in oggetto.

Appronto delle considerazioni sulla prima questione, tornerò sulle altre con successivi articoli.

Il tema delle materie su cui può essere concessa l’autonomia differenziata

Già il vecchio art. 116 Cost. rappresentava un elemento di interruzione nell’omogeneità del nostro tipo di Stato regionale, con la previsione per ragioni storico-politiche di alcune Regioni a statuto speciale. Ma con la modifica del 2001 si è introdotto un diverso modello di differenziazione, dando la possibilità anche alle Regioni ordinarie di chiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie di potestà concorrente e in alcuni ambiti di competenza esclusiva dello Stato.

Ma il punto nodale è: quali e quante materie si possono attribuire?

La legge Calderoli accoglie un’interpretazione estensiva prevedendo che possono essere, potenzialmente, tutte quelle previste dall’art. 116 Cost., terzo comma.

Ritengo che una tale ipotesi sia una forzatura del dettato costituzionale poiché, come ribadito anche da autorevoli studiosi, nella ripartizione delle competenze Stato-Regioni l’art. 116 Cost., terzo comma deve essere inteso come norma speciale, un’eccezione rispetto alla regola, che rimane quella della norma generale dettata nell’art. 117 Cost. Esso, infatti, è una clausola evolutiva e non dissolutiva del sistema dell’autonomia ordinaria.

D’altronde, a prescindere dalle possibilità previste nella Riforma del 2001, pensata oltre vent’anni addietro, la realtà contemporanea ci ha palesato come alcune materie debbano necessariamente avere un controllo nazionale per far sì che sia assicurata una gestione economica ottimale, nonché quell’uguaglianza sostanziale che la nostra Costituzione pretende garantita per tutti i cittadini.

Si pensi solo a quanto accaduto con l’emergenza sanitaria Covid-19 o con le problematiche sull’approvvigionamento energetico a seguito del conflitto russo-ucraino; situazioni che dovrebbero averci insegnato quanto sia fondamentale mantenere sotto il controllo centrale, se non addirittura ricondurre alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, quei settori che risultano strategici per il sistema Paese (si pensi solo agli effetti per ambiti quali ambiente, rifiuti, territorio, protezione civile, commercio estero, rapporti con l’UE, infrastrutture stradali e ferroviarie, porti e aeroporti, demanio, energia).

Le richieste dovrebbero essere motivate da oggettive specificità territoriali

Inoltre, nella legge n. 86/2024 le richieste non vengono vincolate ad alcuna necessità di motivazione da parte della Regione richiedente, quando invece il presupposto principale dei desiderata dovrebbe essere proprio la dimostrazione che determinate materie o funzioni possano essere gestite meglio a livello territoriale in ragione di determinate specificità, vocazioni, economie di scala.

E neppure si abbozza una benché minima discussione sulla loro natura, come se la gestione di alcune strettamente economiche (casse di risparmio, enti di credito, sostegno all’innovazione per i settori produttivi, ecc.) possano essere considerate sullo stesso piano di altre che riguardano la tutela dei diritti fondamentali (salute, lavoro, istruzione) su cui la nostra Costituzione detta l’uguaglianza sostanziale tra tutti i cittadini della Repubblica, a prescindere dal territorio dove nascano, vivano o risiedano.

Né, tantomeno, è richiesto uno studio che valuti l’impatto di un siffatto conferimento (anche economico) nei confronti delle altre Regioni e del bilancio dello Stato che dovrà comunque continuare a garantire i servizi per quei territori che non abbiano chiesto la differenziazione, ma non potendolo più fare con la stessa gestione unitaria ed economia di scala.

Premessa, e ribadita per l’ennesima volta, l’impossibilità di svolgere previsioni rispetto al giudizio della Corte, rimango convinto che una possibilità così ampia e immotivata sia palesemente esondante rispetto alla lettera dell’art. 116 Cost. terzo comma, che nel riconoscere alle Regioni la possibilità di vedersi attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sembra escludere da sé la pretesa di una cessione erga omnes delle 23 materie e conseguenti funzioni.

Un rischio concreto per l’unità nazionale

Un’ipotetica, ma possibile, richiesta su tutte le 23 materie (che si porterebbero dietro circa 500 funzioni!) da parte di tutte le Regioni (o di gran parte di esse) svuoterebbe di fatto la potestà legislativa concorrente statale, comportando una rottura dell’impianto costituzionale, con una vera e propria disarticolazione dello Stato unitario e della sua sovranità, e con la conseguente violazione dell’art. 5 Cost.

Come ben rappresentato nel ricorso presentato dalla Regione Puglia, la stessa Corte costituzionale ha costantemente ribadito che l’esercizio della potestà legislativa concorrente dello Stato sia connessa a indefettibili esigenze di uniformità di regolazione, coerenti con il perseguimento di obiettivi di interesse generale della comunità nazionale (tra le molte, sentenze nn. 106/2022, 240/2022, 77/2022).

E questo perché in tutte le materie di cui all’art. 117 Cost. terzo comma sussiste l’esigenza di dettare norme che, in ragione del loro contenuto e della funzione che hanno nel sistema giuridico, sono espressione di esigenze unitarie bisognose di «coerenza sistematica e di uniformità a livello nazionale» (sent. n. 166/2021).

Persino l’Unione Europea, nell’ultimo Country report 2024 pubblicato a giugno, ha sottolineato l’assenza nella legge di parametri oggettivi per l’individuazione delle materie devolvibili alle Regioni, considerato che non fornisce alcun quadro comune per valutare le richieste regionali di competenze aggiuntive.

Ma a fronte di tali rischi, l’unica contromisura prevista dalla legge Calderoli è che il Presidente del Consiglio possa limitare le materie oggetto dell’Intesa rispetto alle richieste avanzate.

Una risposta assolutamente inadeguata, poiché la tutela dell’interesse nazionale non può essere lasciata alla valutazione discrezionale del solo vertice esecutivo, senza parametri di riferimento univoci e (ancora una volta) con il Parlamento tagliato fuori da decisioni che impattano direttamente sulle proprie prerogative.


Fonte: articolo di Fabio Ascenzi