Un escamotage che può costare molto caro: inscenare finte separazioni per alleggerire le proprie tasse. Scopriamo quali sono i rischi che si corrono in queste circostanze.


Pagare meno tasse è possibile? È la domanda che si pone ognuno di noi in questo periodo dell’anno.  A questo scopo, prima di tutto, risulta cruciale cercare di capire in modo un po’ più approfondito il nostro sistema fiscale, per comprendere quali possano essere i sistemi legali per abbattere le imposte, quindi, va strutturata una seria pianificazione dei costi e poi bisogna affidarsi ad un buon commercialista. Di certo tentare di aggirare il Fisco può rivelarsi decisamente controproducente, visto che poi, alle imposte da pagare, si andranno a sommare sanzioni e interessi di legge.

Tutto inizia e dalla scelta della forma da dare all’impresa nel momento della sua costituzione, più sarà complessa la sua struttura, più lo sarà la contabilità e il peso delle tasse da sostenere, con una importante differenza tra partita iva, ditta individuale, società di persone o di capitali. In genere la pianificazione dei costi, da mettere in atto fin dall’inizio dell’anno contabile, può aiutare molto, proprio in virtù del fatto che voci di costo sostenute per l’azienda possono essere dedotte per intero dal reddito aziendale, purché inerenti all’attività svolta, mentre altre solo parzialmente.

Oltre ai redditi commerciali o professionali, il fisco aggredisce anche i beni immobili, se messi in locazione sia commerciale che abitativa e tutto il nostro patrimonio, anche di ‘semplici’ cittadini. Proprio per cercare di alleggerire questa pressione, molti ricorrono a stratagemmi di dubbia legalità, che possono dare vita a conseguenze anche molto gravi.

Finte separazioni per pagare meno tasse: cosa si rischia?

Ne è un esempio palese tutto il sistema delle ‘finte’ separazioni tra coniugi, in voga fino a qualche anno fa, che possono permettere di trovare alcuni escamotage per alleggerire il peso fiscale della famiglia. Un esempio è quello di inserire la residenza dei due coniugi ‘separati’ in due distinte abitazioni di proprietà, facendo in modo di non dover pagare ai comuni l’Imu per la seconda casa né le maggiorazioni per la tassa spazzatura e le bollette. Ma questa modalità, oltre a non essere del tutto legittima, può anche rappresentare un vero e proprio reato.

Quando si hanno debiti con il fisco, la finta separazione può fungere da salvadanaio permettendo di “mettere al sicuro” i propri beni, trasferendo la proprietà della casa o di altri beni al coniuge, con l’intento di sottrarli in tal modo all’aggressione dell’Agenzia delle Entrate. Fingere una separazione non reale, per sottrarre beni al fisco, può infatti far scattare il reato penale di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Il parere della Cassazione

Questo è ciò che è accaduto con pronunciamento della Cassazione con la sentenza n. 8259/2025. Nello specifico la Corte ha fatto riferimento al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, così come previsto dall’art. 11 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000. Questo tipo di reato si configura quando un contribuente, per non pagare le imposte sui redditi IRPEF, IRES, IRAP o anche l’IVA, nonché i relativi interessi e sanzioni che si sono accumulate negli anni e per un importo superiore a 50.000 euro, compie «atti fraudolenti» sui propri beni o su quelli di altri, azioni mosse dal principale obiettivo di rendere infruttuosa la procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato.

Se questo tipo di reato viene ascritto e verificato, fino alla condanna, le pene sono severe e possono andare da una reclusione da 6 mesi a 4 anni se l’importo delle tasse, interessi e sanzioni non pagate è superiore a 50.000 euro e addirittura alla reclusione da 1 anno a 6 anni se l’importo supera i 200.000 euro.

Atti fraudolenti

Il reato contestato dalla Cassazione presuppone il riscontro di «atti fraudolenti», vale a dire azioni che concretamente sono state compiute e che dimostrano la malafede del soggetto imputato. Questi «atti fraudolenti» che fanno scattare il reato possono consistere in alienazioni simulate come vendite o donazioni finte, in cui il contribuente trasferisce solo sulla carta la proprietà di un bene che vuole ‘proteggere’ a un’altra persona come il coniuge, un parente, un amico, ma in realtà continua a utilizzarlo pienamente proprio come se fosse ancora suo.

Possono essere atti illeciti anche altre tipologie di comportamento che, attraverso inganni o raggiri, abbiano lo scopo di far sparire i beni del contribuente, nasconderli alla visibilità e soprattutto rendere difficile o impossibile per il fisco recuperarli. Il reato dunque non si configura con vendite reale ad amici, parenti, ex mogli o ex mariti.

Possono diversamente far scattare indagini, la costituzione di un fondo patrimoniale fittizio, una finta separazione o divorzio, oppure la creazione di società fittizie a cui intestare i beni, le finte vendite e passaggi di proprietà, magari ad una nonna novantenne.

Stesso dicasi per il caso di una separazione simulata quando i coniugi i quali, pur formalizzando l’accordo di separazione davanti al giudice, in realtà continuano a vivere insieme come marito e moglie, condividendo la stessa casa, il medesimo conto corrente, la stessa vita familiare.

La separazione come “trucco”

La separazione, in questo caso specifico, si configura solo come un “trucco” per trasferire la proprietà della casa o di altri beni al coniuge che non ha debiti con il fisco, proteggerli ed impedire che l’Agenzia delle Entrate possa pignorarli. Attenzione perché il reato può essere ascritto a carico di entrambi i coniugi.

Se poi questo accade in presenza di un debito col fisco del coniuge che si spoglia della casa superiore a 50.000 euro e deriva da imposte sui redditi o IVA, non da altri tributi, come quelli locali o le multe non pagate, allora l’Agenzia delle Entrate può denunciarlo per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Un debito inferiore alla soglia di 50.000 col fisco oppure nel caso in cui le imposte evase non riguardano IRPEF, IRES, IRAP o IVA, c’è comunque il rischio che il fisco agisca con l’azione revocatoria o l’azione di simulazione, due atti che di fatto rendono inefficace la separazione simulata e permettono di pignorare poi la casa o gli altri beni trasferiti al coniuge.

Una volta accertata la simulazione, dal punto di vista penale può scattare la condanna per sottrazione fraudolenta, mentre dal punto di vista civile la separazione può essere dichiarata nulla e quindi i beni “fittiziamente” trasferiti al coniuge possono tornare nella disponibilità del contribuente, e di conseguenza venire pignorati dal fisco. Attenzione poi, non credete di ‘averla scampata’ infatti non ci sono termini entro i quali sia necessario esercitare l’azione di simulazione, mentre per la revocatoria ci sono solo cinque anni.

Ma cosa fa insospettire il fisco a scoprire e avviare le indagini?

Innanzitutto le tempistiche sospette, cioè quando la separazione avviene poco dopo la notifica di un avviso di accertamento o di una cartella esattoriale o successivamente al colloquio informale col funzionario dell’Agenzia delle Entrate (contraddittorio preventivo).

Come abbiamo visto poi nessun cambiamento nella routine dei coniugi che continuano a vivere insieme, a frequentare gli stessi amici, a condividere le spese, possono destare leciti sospetti. Alle testimonianze di vicini di casa, parenti, amici che confermano che la coppia continua a vivere insieme, si sommano tutte le prove recuperate dalle pagine dei social media personali dei coniugi.

Foto, post, commenti sui social network che dimostrano la prosecuzione della vita coniugale diventano prove a tutti gli effetti, così come è accaduto nel caso della sentenza della Cassazione n. 8259/2025.

La sentenza in oggetto è comunque solo l’ultima in ordine temporale che si pronuncia a proposito di queste tematiche. Ci sono diverse sentenze che confermano questo orientamento e che riguardano altri aspetti di simili reati. Nel caso della sentenza n. 9946/2022 della Corte di Giustizia Tributaria di 2° grado della Sicilia, ad esempio, la costituzione di un fondo patrimoniale in concomitanza con accertamenti fiscali è stata considerata anch’essa una azione di simulazione. Mentre la Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado di Caserta, n. 4802/2023 si è occupata della creazione di società fittizie a cui intestare beni immobili, ritenendola una condotta che possa configurare il reato di sottrazione.