Nel complicato scenario digitale in cui i giganti del settore crescono in maniera esponenziale, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha intrapreso una battaglia legale per il futuro del pluralismo dell’informazione contro Meta, la società madre di Facebook.
Questa controversia mette in luce la complessità delle relazioni tra media tradizionali e piattaforme online. La sfida consiste nel trovare un equilibrio che preservi il pluralismo dell’informazione e la qualità del giornalismo, senza soffocare l’innovazione e la concorrenza nel mondo digitale.
L’esito di questa battaglia avrà ripercussioni significative non solo in Italia ma sull’intero panorama informativo europeo, poiché si gioca il futuro dell’informazione digitale.
Scopriamo dunque quali sono le basi di questo scontro tra il Garante e uno dei giganti mondiali del web.
Braccio di ferro tra AGCOM e Meta sul pluralismo dell’informazione
La controversia verte sul mantenimento di un panorama informativo diversificato. Mentre le piattaforme digitali ottengono sempre più potere, l’Unione Europea, l’Italia e l’AGCOM si impegnano nella difesa del diritto all’esistenza di siti web qualificati, emittenti televisive, radio, giornali e podcast, sostenendo una pluralità di voci.
Al centro della disputa c’è la volontà dell’Unione Europea di garantire che editori e autori, incluso il contesto italiano, ricevano un “equo compenso” per i contenuti giornalistici veicolati da colossi come Meta sulla Rete. Questa iniziativa mira a proteggere la diversità delle voci e dei professionisti dell’informazione che contribuiscono a mantenerla.
L’Italia ha recepito le normative europee nel 2021, successivamente, nel 2023, l’AGCOM ha formulato un regolamento per attuare tali norme sia europee che nazionali. Tuttavia, a dicembre 2023, il Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) del Lazio ha accolto il ricorso presentato da Meta, sospendendo di fatto il regolamento dell’AgCom.
Il Garante per la comunicazione, lungi dal rassegnarsi alla sospensione, ha deciso di rivolgersi al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio (n. 18790), una mossa che è stata portata all’attenzione della Camera.
Il Tar del Lazio ha sollevato dubbi sulla conformità del regolamento dell’AgCom al Trattato dell’Unione Europea, invocando l’intervento della Corte di Giustizia dell’UE, con sede in Lussemburgo, per dirimere la questione. La corte italiana avrebbe, secondo i giudici, conferito all’Autorità poteri eccessivi, inducendo le società Internet, come Meta, a negoziare con gli editori sull’entità dell’equo compenso.
L’AGCOM, nel suo ricorso al Consiglio di Stato, solleva diverse obiezioni nei confronti del Tar. Sottolinea che l’intervento della Corte di Giustizia dell’UE potrebbe protrarsi per oltre un anno e mezzo, citando la necessità di una soluzione più tempestiva. Inoltre, contesta la sospensione del regolamento, che impedisce le trattative tra editori e società web per stabilire un equo compenso.
Gli scenari futuri
Le implicazioni della sospensione del regolamento sono considerevoli per il panorama informativo italiano. Da un lato, blocca le trattative sull’equo compenso, privando gli editori di una potenziale fonte di reddito vitale. Dall’altro, genera incertezza per il futuro del giornalismo online, in un contesto già dominato dai giganti del web.
Il verdetto del Consiglio di Stato sarà cruciale per il destino dell’equo compenso in Italia. In caso di favorevole decisione per l’AGCOM, le trattative tra editori e Meta potrebbero riprendere, cercando un accordo che concili diritti degli autori e concorrenza nel mercato digitale.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it