L’Agenzia delle entrate ha fornito i dati aggiornati al 2013 per quanto concerne il gettito derivante dal 5 per mille. Come noto le attività sociali svolte dal Comune di residenza rappresentano una delle opzioni a disposizione dei contribuenti a cui destinare la propria quota di Irpef. Nell’annualità considerata si rileva una lieve flessione rispetto all’anno precedente sia per quanto riguarda il numero di scelte a favore delle attività sociali del comune di residenza, sia per quanto riguarda il gettito. Si passa da un numero di contribuenti che optano per tale scelta pari a 614.370 nel 2012 a 592.380 nel 2013. Se si estende l’analisi al quadriennio precedente si osserva, al contrario, che il numero di scelte in favore del comune di residenza appare in crescita dal 2009 fino al 2012. Per ciò che concerne il gettito esso si contrae di poco più di 510 mila euro, passando da 13.074.090 euro nel 2012 a 12.563.611 euro nell’ultimo anno disponibile.
I beneficiari del 5 per mille
In sede di dichiarazione dei redditi i cittadini possono scegliere di devolvere parte della propria Irpef ad alcune categorie di soggetti espressamente identificate dal legislatore che svolgono attività particolarmente meritevoli di tutela. Sono 6 le categorie di beneficiari individuate; oltre ai comuni di residenza, che devono utilizzare le somme devolute per lo svolgimento di attività sociali, è possibile attribuire la quota dell’Irpef agli enti del volontariato, della ricerca sanitaria e scientifica e alle associazioni sportive dilettantistiche. Dal 2012 è possibile finanziare con le risorse del 5 per mille anche gli enti privati che svolgono attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.
Le criticità
È passato un decennio da quando il 5 per mille è stato introdotto nel nostro ordinamento ma numerose sono ancora le criticità relative alla normativa che lo disciplina, che pecca in primis di disorganicità. In effetti il 5 per mille risente del carattere di temporaneità che gli è stato impresso in sede di sua prima istituzione: nel 2005 la legge finanziaria n. 266 del 23 dicembre lo ha previsto «a titolo iniziale e sperimentale». Solamente con la finanziaria per il 2015 si decide per una sua stabilizzazione. L’articolo 1, comma 154, legge 23 dicembre 2014 n. 190 trasforma il contributo da beneficio provvisorio, riproposto annualmente da specifiche disposizioni normative, a una forma stabile di finanziamento. Lo stesso articolo incrementa la soglia di spesa autorizzata fino a 500 milioni di euro annui a decorrere dal 2015. Se un passo in avanti è stato fatto, molte ancora sono le criticità dell’istituto, ben evidenziate dalle delibere della Corte dei conti che si sono susseguite a partire dal 2013.
Ultima in ordine di tempo è la relazione: «Le azioni intraprese a seguito delle delibere della Corte dei conti», su cui Anci e Ifel, nell’Adunanza del 1 ottobre 2015 hanno fornito le loro proposte per migliorare questo strumento a favore delle attività sociali svolte dai comuni. In particolare, la normativa attualmente in vigore non prevede meccanismi di perequazione o coordinamento in grado di smorzare gli squilibri derivanti dalla diversa capacità contributiva dei residenti e che consente ad alcuni comuni di beneficiare, in proporzione, di maggiori introiti. È noto come il fabbisogno del settore sociale sia in continuo aumento, ancor più in una fase di crisi economica come quella attuale. Non appare allora azzardata la possibilità di creare un Fondo perequativo, auspicata dal ministero dell’Interno, in cui far confluire le somme, seppur di così modesto ammontare, devolute ai comuni e le devoluzioni inferiori ad una soglia minima, con funzione di riequilibrio delle diverse capacità fiscali dei territori.