In Italia, esiste una convinzione diffusa secondo cui avere parenti con precedenti penali possa ostacolare l’accesso a carriere nelle forze dell’ordine: tesi smentita recentemente sia dal TAR del Lazio sia dal Consiglio di Stato.


La realtà è infatti ben diversa e la legge stabilisce chiaramente che tali circostanze familiari non precludono la partecipazione a concorsi pubblici.

Secondo la normativa italiana, la responsabilità penale è personale. Questo principio, confermato da diverse sentenze e decisioni giuridiche, afferma che un candidato non può essere penalizzato per fatti che riguardano i familiari e non lo coinvolgono direttamente. Questa linea di pensiero è stata recentemente ribadita in una decisione del Tar del Lazio, successivamente confermata dal Consiglio di Stato.

La controversia

La questione è emersa in seguito a un caso specifico che ha coinvolto una giovane di ventisei anni di Taurianova (Reggio Calabria), aspirante allieva finanziera. Dopo aver superato con successo tutte le fasi di selezione, la giovane è stata esclusa dal concorso a causa dei precedenti penali di un suo parente. Le autorità avevano giustificato l’esclusione con l’argomento che i precedenti del familiare compromettevano la sua idoneità morale.

La giovane, assistita dal proprio legale, ha pertanto presentato un ricorso ai giudici amministrativi.

I motivi di ricorso

Il legale della giovane aspirante allieva finanziera ha fondato il proprio ricorso su due pilastri fondamentali della normativa italiana e della giurisprudenza. In primo luogo, ha richiamato il principio sancito dalla legge italiana che prevede la responsabilità penale esclusivamente personale. Questo principio implica che la valutazione dei precedenti penali deve riguardare unicamente il candidato, e non i suoi familiari. La normativa vigente chiarisce che solo i comportamenti e le azioni del candidato stesso possono influenzare la sua idoneità per un concorso pubblico.

In secondo luogo, il legale ha fatto riferimento alle pronunce della Corte Costituzionale, che hanno stabilito in maniera netta che le considerazioni sui precedenti penali devono limitarsi al candidato e non estendersi ai membri della sua famiglia. La Corte Costituzionale ha sottolineato che la valutazione dell’idoneità di un candidato deve basarsi esclusivamente su aspetti che riguardano direttamente la persona in questione, escludendo fattori esterni e non rilevanti come i precedenti penali dei familiari.

Il ricorso ha inoltre messo in luce la necessità di contenere la discrezionalità amministrativa, che, se non regolamentata, può portare a decisioni arbitrarie e ingiuste. Il legale ha argomentato che l’amministrazione pubblica, nel processo di selezione per ruoli pubblici, deve operare entro limiti ben definiti e trasparenti, per garantire che le decisioni siano basate su criteri oggettivi e pertinenti. Un’eccessiva discrezionalità, infatti, rischia di compromettere l’equità e la giustizia del processo di selezione.

Anche chi ha parenti con precedenti penali può lavorare nelle forze dell’ordine

Il Tar del Lazio ed in seguito anche il Consiglio di Stato hanno accolto il ricorso della giovane, riconoscendo che la sola esistenza di precedenti penali in familiari non conviventi non può essere considerata un criterio valido per l’esclusione del candidato. I giudici hanno sottolineato che, se non esiste una convivenza tra il candidato e i familiari con precedenti, non ci sono motivazioni legittime per penalizzare il candidato stesso. Questa posizione ha avuto un impatto rilevante, chiarendo che le decisioni di assunzione devono essere basate esclusivamente sui comportamenti e le caratteristiche personali del candidato.

Questa sentenza rappresenta un significativo passo avanti verso una maggiore equità nelle selezioni per carriere pubbliche. Ribadendo l’importanza di basare le decisioni di assunzione esclusivamente sulle azioni e comportamenti del candidato, piuttosto che su fattori esterni non rilevanti, si stabilisce in questo modo un importante precedente giuridico. La decisione contribuisce a garantire che le selezioni per ruoli pubblici siano giuste e imparziali, riflettendo un impegno per una valutazione equa e basata su criteri oggettivi e personali, piuttosto che su elementi legati al contesto familiare.