L’Avvocato Maurizio Lucca analizza una recente sentenza del Consiglio di Stato che si occupa di assegnazione o rinnovo di un bene del patrimonio indisponibile.


La sez. VII del Consiglio di Stato, con la sentenza 23 agosto 2024, n. 7220, interviene per chiarire le potestà della PA sui beni del patrimonio indisponibile dati in concessione (ex alloggio di servizio, ma l’esempio può estendersi a qualsiasi compendio di beni) [1] ad un privato (fondazione), dove prevale la manifestazione del consenso espresso, non potendo desumere la volontà (della PA) per implicito, e neppure pretendere un affidamento diretto protratto (in eterno, secondo la formula dell’Antico Testamento, «di generazione in generazione») [2].

Pare giusto, rammentare – a margine – che, in caso di rinnovo, ossia nell’esercizio di un potere provvedimentale, la legittimità si rapporta con la regola tempus regit actum, che governa l’adozione dei provvedimenti amministrativi e che esclude l’ipotizzabilità di un’illegittimità postuma di questi [3].

Giurisdizione

È opportuno, inoltre, osservare che un bene non appartenente al demanio necessario affinché possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, ai sensi dell’art. 826, terzo comma, cod. civ., e possa essere dato in concessione in godimento per essere qualificata come concessione-contratto, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà (espressa) dell’Ente titolare del diritto reale pubblico e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico (servizio) [4].

I fatti

Il bene veniva assegnato in concessione, con ordinanza sindacale (anno 1997), ripetutamente rinnovata, prima di scadere (anno 2011) [5].

La fondazione dichiarava che nel bene svolgeva attività culturali e, alla scadenza del termine, versava un’indennità d’uso ridotta dell’80% rispetto ai valori di mercato, vista la meritevolezza degli interessi perseguiti.

A seguito di una segnalazione (indagine conoscitiva) della Corte dei conti sui beni di proprietà comunale, l’Amministrazione si uniformava alle indicazioni della stessa:

  • procedendo alla riacquisizione del bene concesso (atto dovuto e vincolato), venendo, altresì, meno i presupposti dell’autoriduzione dell’indennità corrisposta;
  • ritenendo l’assenza di un rinnovo in automatico (la richiesta veniva peraltro rigettata, atto discrezionale);
  • prospettando una diversa destinazione del bene da assegnare, con procedura ad evidenza pubblica (valutazioni di merito, con atto di gara).

Donde, il ricorso in appello rigettato (rigettato, pure in primo grado).

La competenza gestionale

In via preliminare e dirimente, viene osservato che la competenza in materia gestionale dei beni (alias rinnovo della concessione dell’utilizzo dell’immobile) rientra nella competenza dirigenziale, con la prevalenza delle disposizioni del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) su eventuali contrarie previsioni regolamentari del Comune, in forza del criterio di gerarchia:

  • l’art. 107 del TUEL [6] stabilisce il principio della divisione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e l’attività di gestione dell’Ente, dove ai commi 3 e 6 attribuisce espressamente alla dirigenza tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell’adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (anche i loro simmetrici atti negativi), e su di essi incombe la diretta ed esclusiva responsabilità (c.d. riserva) della correttezza amministrativa di tale gestione [7].
  • l’atto di gestione del patrimonio immobiliare dell’Ente deve intendersi, quindi, riservata, anche qualora sia richiesto l’esperimento di accertamenti o valutazioni di natura discrezionale, alla competenza dei dirigenti dell’Ente locale o, nei Comuni privi di dirigenti, ai responsabili dei servizi e degli uffici (EQ) [8].

Precisazioni sulla natura dei beni

Si precisa, per completezza espositiva, che in presenza di beni di pregio, dati in concessione per l’esercizio di attività commerciali mediante procedure ad evidenza pubblica [9], la qualificazione dell’atto in termini di concessione amministrativa comporta l’applicabilità delle norme e dei principi privatistici in materia di contratto di locazione per uso commerciale, di cui alla legge n. 392/1978, nei limiti della compatibilità, alla luce dei principi ritraibili dal diritto europeo dell’evidenza pubblica e della concorrenza [10], rilevando che sussiste una ontologica differenza tra la concessione amministrativa e locazione commerciale [11].

Occorre precisare, allora, che la concessione è uno strumento autoritativo (generalmente non rientrante nel modello consensuale) particolarmente adatto per soddisfare ad una molteplicità di esigenze atte a soddisfare di determinati interessi pubblici: nell’atto concessorio, o concessione – contratto, sarà previsto un canone concessorio rapportato a parametri predefiniti dell’Amministrazione (generalmente con fonte regolamentare) in funzione dell’utilizzo del bene concessionato, appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile; mentre la locazione è un contratto (forma ad substantiam) [12] consensuale con effetti obbligatori a prestazioni corrispettive, col quale la parte pubblica (locatore) si obbliga a far godere all’altra privata (locatario o conduttore) la cosa mobile o immobile (appartenente al patrimonio disponibile) per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo (ex art. 1571 c.c.): la presenza del corrispettivo distingue la locazione dal comodato (ex art. 1833 c.c.), che è essenzialmente gratuito, mentre si differenzia dall’affitto in quanto non ha ad oggetto una cosa produttiva (ex art. 1615 c.c.).

È altrettanto vero, però, che la sola appartenenza del bene al patrimonio indisponibile non qualifica di per sé la concessione in termini di “concessione di beni”, essendo un simile automatismo certamente da escludere tutte le volte in cui la natura pubblicistica del bene trovi fondamento nella sua strumentalità allo svolgimento di un servizio pubblico, secondo il criterio teleologico, di cui all’art. 826, comma 2, c.c., giacché tale schema implica, per sua natura, una “coesistenza” tra natura pubblica del bene e funzione pubblica del servizio cui è destinato.

In questi casi, dunque, compete all’interprete individuare, tra i due profili, quello in concreto prevalente e, come tale, capace di qualificare giuridicamente il rapporto; occorre, in altre parole, operare un giudizio di “prevalenza sostanziale”, per certi versi analogo a quello previsto in materia di appalti pubblici (già presente nell’art. 169, comma 8, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) [13].

Rinnovo

Viene chiarito che il rinnovo è un atto non automatico, non ha carattere meramente discrezionale, anche se previsto nella concessione.

È noto che i beni pubblici vanno valorizzati al meglio, anche in presenza di una precedente assegnazione ad un soggetto privato di specchiatissima capacità ed elevato riconoscimento sociale (c.d. finalità pregevoli), profilo che non può costituire una sorta di guarentigia, un’esclusività di benemerenza.

Si ricava, nella gestione degli immobili di proprietà, la PA:

  • non può dismettere il suo ruolo di Ente esponenziale degli interessi ed aspettative della comunità cittadina, dovendo sempre, specie in presenza di un rinnovo, verificare la permanenza dell’interesse pubblico, valutazione che implica una rivalutazione della compatibilità dell’attività consentita al privato con le ragioni di interesse pubblico [14];
  • dovrebbe favorire lo sviluppo delle attività di natura sociale e culturale a beneficio di questa, svolte dai cittadini singoli e associati (art. 118, quarto comma, Cost.) in condizioni di parità;
  • l’assolvimento di tali compiti non cambierebbe a seconda che ci si trovi dinanzi all’iniziale assegnazione del bene pubblico, ovvero nella fase del rinnovo della sua concessione;
  • il rinnovo (istanza di rinnovo) non può avvenire – in ogni caso – in modo tacito o per facta concludentia, ovvero, detto in termini più proficui, un rinnovo automatico, senza mediazione alcuna sull’interesse pubblico attuale;
  • all’istanza di rinnovo della concessione non può essere attribuito un valore automatico, ex se, occorrendo, di volta in volta, una nuova valutazione e istruttoria dello stato dei luoghi [15].

Principi di diritto

Dal quadro esegetico, si postulano i seguenti solidi principi giuridici:

  • la volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam, e pertanto nei confronti di essa non è configurabile il rinnovo tacito del contratto, né rileva, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni [16];
  • non rileva la circostanza che a seguito dall’istanza di rinnovo presentata l’Amministrazione abbia comunicato la nuova indennità d’uso e che il relativo importo sia stato accettato dalla fondazione, visto che il pagamento dei canoni, dopo l’intervenuta scadenza del titolo, non può considerarsi, di per sé, come rinnovo tacito della concessione [17], assumendo esso il significato di incameramento di quanto dovuto a parziale ristoro della persistente occupazione del bene [18];
  • in caso di rinnovo, l’Amministrazione ben può valutare un’assegnazione mediante procedura aperta, rispetto ad una iniziale assegnazione senza gara, ossia confronto comparativo con altri potenziali beneficiari.

In effetti, il giudice di seconde cure, si sofferma sulla concessione del bene, il quale veniva assegnato senza gara, rilevando il dovere di procedere con una gara, escludendo in toto nella fattispecie la possibilità di un rinnovo, precludendo l’accesso illegittimamente altri soggetti con pari requisiti: «andato a detrimento delle più corrette e doverose procedure comparative, volte alla massimizzazione dell’interesse pubblico», visto che in presenza di un avviso pubblico non è impedito alla fondazione di partecipare con una propria proposta, assoggettata al vaglio della PA., «in concorso con altre aventi pari dignità», in un inevitabile principio di valenza costituzionale di uguaglianza (ex art. 3 Cost., solo per citarne uno), non potendo ammettersi favoritismi e disparità di trattamento nello svolgimento, da parte dell’Amministrazione, dell’attività di affidamento dei beni in concessione [19].

Anzi a rafforzare il contenuto della decisione si stabilisce in tutta evidenza che «in presenza di un rapporto concessorio scaduto ormai da molti anni e mai rinnovato» la PA «aveva l’obbligo – come per tutti i casi analoghi, senza possibilità di distinzioni a seconda di una maggiore o minore meritevolezza degli interessi perseguiti – di procedere al recupero dell’immobile di proprietà comunale già assentito in concessione».

Una volta scaduta la concessione, ossia scaduta l’efficacia del titolo amministrativo, il privato non può pretendere il rinnovo di un atto che è spirato (morto) ogni effetto giuridico, neppure può invocare la meritevolezza delle attività svolte nei locali già concessi «per accampare la pretesa a un’occupazione sine die dei predetti locali, senza un titolo valido ed efficace e al di fuori di qualunque procedura comparativa».

In termini più semplici e divulgativi, l’occupazione di un bene pubblico del patrimonio indisponibile, anche dato in concessione, non può tradursi in una acquisizione di proprietà e neppure assimilarsi ad un diritto di privativa, con una prelazione su altri soggetti, raffigurandosi una pretesa abnorme, nel senso di porsi al di fuori di ogni regola di diritto e di buon senso, anche dell’uomo c.d. comune.

Riflessi

La sentenza esprime in modo alquanto comprensibile (se non elementare) il principio secondo il quale i beni del patrimonio indisponibile vanno assegnati mediante una gara, una procedura comparativa valutativa.

Tali regole di Trasparenza e Imparzialità avvengono anche per le sedi delle associazioni, utilizzando (comodato gratuito) il Codice del Terzo settore, ex art. 71 (coordinati con gli artt. 55 e 56) del d.lgs. n. 117/2017 (iscritte al Registro unico nazionale del Terzo settore, RUNTS) [20], o l’art. 12 della legge n. 241/1990 (le rimanenti)[21]: la regola postula che l’assegnazione deve seguire una procedura ad evidenza pubblica di natura competitiva, anche se non fosse prescritta da una norma speciale, essendo una regola generale di matrice costituzionale e comunitaria [22] il rispetto dei generali di imparzialità, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, declinati in un cartuccere di norme, già esposte nell’art. 1 del cit. legge sul procedimento amministrativo [23].

A ben vedere, anche la c.d. proroga tecnica non oblitera la necessità che, trattandosi di strumento derogatorio ai principi eurounitari posti a fondamento delle procedure ad evidenza pubblica, il ricorso alla medesima sia consentito solo in casi eccezionali: sul piano giuridico, in materia di rinnovo o proroga dei contratti pubblici non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti, in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal Legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa europea, l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto, deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, indire una nuova gara pubblica, all’esito della quale individuerà il nuovo aggiudicatario [24]: non un diritto ma una valutazione dell’Amministrazione [25].

Concorrenza e trasparenza

Le regole della trasparenza costituiscono una parte significativa delle forme di pubblicità (legale) [26] dove:

  • la pubblicazione on line nella sez. (Bandi e Gare/Bandi di Gara e Contratti) di Amministrazione Trasparente, viene anche considerata una misura primaria di prevenzione della corruzione;
  • solo con la pubblicità – nei siti istituzionali – si raggiunge l’effetto utile (la c.d. legalità), garantendo la legittimità dell’agire pubblico, senza l’introduzione indebita di barriere all’ingresso: la concorrenza, a livello comunitario, espone gli Stati aderenti a non limitare il mercato con affidamenti diretti, specie se protratti nel tempo.

A tutt’oggi sono stati affermati [27] validi e granitici motivi giuridici che devono condurre all’immediata disapplicazione delle proroghe in favore dei concessionari (balneari), anche laddove esse si fondino sulle illegittime e disapplicabili sopravvenienze normative, dovendo dare all’altrettanto immediata indizione delle gare.

Le proroghe di durata di affidamenti (anche diretti, indistintamente) di beni pubblici dati in concessione debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla PA o l’esistenza di un giudicato, non potendo pretendere (astraendo il tema, applicabile tout court), in ragione di esigenze di tutela interne o per altre motivazioni valoriali/sociali, un diritto (quasi divino, oltre l’Autorità ordinamentale) alla continuazione del rapporto, alias senza alcuna forma di selezione.

Se così fosse, assecondando una pretesa indebita del privato, i beni pubblici perderebbero la loro natura, quella funzione a beneficio degli interessi generali, rimarrebbero confinati (appunto, dentro un confine) a beneficio di pochi, dovendo riscrivere le regole del diritto e dell’ordinamento giuridico, quei principi scritti nelle “carte costituzionali” a fondamento della Repubblica (già presenti non solo in OLIVER CROMWELL), intessuti nella storia (Sic semper tyrannis).

I beni pubblici, anche solendo premiare la mancanza di una componente utilitaristica ma solidaristica del soggetto assegnatario (un’associazione del Terzo settore, o una semplice associazione), vanno concessi mediante una procedura, che sottende un confronto tra più potenziali soggetti, assolvendo le regole della par condicio, della non discriminazione, della libertà del mercato, della concorrenza: l’imparzialità.

Norme interne, nazionali o regionali, o regolamentari interne di singola PA, che pretendesse una concessione ad libutum, un affidamento diretto e/o sine die (di proroga/rinnovo in proroga/rinnovo), senza anteporre un minimo di confronto, non passerebbe indenne ai giudicati: un palese privilegio contro ogni libertà.

Sintesi

Il rinnovo, se previsto inizialmente, potrà essere oggetto di valutazione discrezionale, ben potendo procedere al rinnovo una volta istruita la richiesta e valutata la permanenza dell’interesse pubblico, diversamente qualora l’assegnazione iniziale non ha visto concorrenti (affidamento diretto) la gara pubblica (c.d. evidenza) risulta un percorso non superabile, sicuramente in presenza di una concessione scaduta.

La valorizzazione del patrimonio esige da una parte, la presenza di un atto concessorio di assegnazione, in mancanza del quale l’occupazione è illegittima (abusiva), dall’altra parte, i beni non possono essere assegnati senza un minimo di manifestazione di interesse, che non può limitarsi ad un laconico inserimento (allegato al bilancio) nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni, ex art. 58, Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locale, del DL n. 112/2008 [28], ma si esige (una pretesa vincolante per la PA) la pubblicazione di un avviso pubblico, cioè rivolto a tutti, o comunque riservato ad un gruppo di soggetti in funzione delle finalità poste alla base della decisione, per il miglior perseguimento dell’interesse generale (ex art. 97 Cost., anche senza citare il regolamento di contabilità dello Stato o altra fonte).

Note

[1] l beni sono pubblici non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice quanto piuttosto per essere fonte di un beneficio per la collettività, Cass. civ., SS.UU., 14 febbraio 2011, n. 3665.

[2] Nota di lettura della sentenza: esprime in modo chiaro e vivido il pensiero sulla inadeguatezza di una richiesta del privato di acquisire un diritto perpetuo al/sul bene, o quanto meno si percepisce questo.

[3] Cfr. Cons. Stato, sez. VII, 23 febbraio 2024, n. 1787; 20 ottobre 2022, n. 8935; sez. VI, 30 gennaio 2023, n. 1024 e 6 giugno 2022, n. 4587.

[4] Cass. civ., SS.UU., 17 maggio 2024, n. 13747, invero, viene anche affermato che la controversia avente a oggetto la domanda di rilascio del bene, all’esito dell’avvenuta cessazione di un rapporto concessorio, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, Cass. civ., SS.UU, sentenza n. 16763/2022), quando la controversia vede la PA in una posizione paritetica rispetto a quella del privato concessionario, per cui non comporta la necessità di compiere alcuna verifica circa l’esercizio di poteri autoritativi.

[5] Vedi, LUCCA, Osservazioni sull’assegnazione di beni pubblici alle associazioni, lentepubblica.it, 31 ottobre 2023.

[6] Una elencazione che inevitabilmente si qualifica come meramente esemplificativa, lasciando all’interprete l’inquadramento delle variegate situazioni che si collocano in una sorta di zona grigia, in quanto non immediatamente tipizzabili, TAR Campania, Salerno, sez. I, 8 luglio 2024, n. 1444; Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2023, n. 11307.

[7] Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n. 2154.

[8] Cons. Stato, sez. IV, 3 agosto 2023, n. 7503; sez. VI, 6 giugno 2023, n. 5524; 7 febbraio 2023, n. 1338; sez. II, 10 febbraio 2020, n. 1092; sez. I, parere n. 224, del 15 febbraio 2023.

[9] Le clausole convenzionali che contemplano le condizioni del rinnovo, e la corresponsione di un equo indennizzo per la rinuncia al rinnovo da parte del concessionario, devono essere interpretate alla luce dei principi euro-unitari che impongono la scelta del concessionario dell’uso di beni demaniali mediante l’espletamento di procedure di evidenza pubblica, non potendo, alla luce di tali principi, ricevere garanzia il diritto al rinnovo delle concessioni affidate senza gara e, dunque, neppure quello alternativo alla corresponsione di un’indennità in caso di rinuncia al rinnovo, Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 2021, n. 7339 e 7340.

[10] Cons. Stato, sez. VII, 16 agosto 2024, n. 7151.

[11] Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2022, n. 63.

[12] Va osservato, anche, che la forma scritta ad substantiam richiesta per i contratti della PA non può dirsi osservata solo nel caso in cui il vincolo contrattuale sia consacrato in un unico documento contrattuale recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo essa realizzarsi anche con lo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l’accettazione, vale a dire di distinte scritture formalizzate e inscindibilmente collegate, entrambe sottoscritte, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo, secondo lo schema della formazione del contratto tra assenti, Cass. civ., sez. I, ordinanza 27 ottobre 2017, n. 25631.

[13] TAR Sardegna, sez. I, 18 giugno 2019, n. 547.

[14] Cass. civ., sez. I, 23 marzo 1985, n. 2089.

[15] Cass. civ., SS.UU., 22 dicembre 2010, n. 25985.

[16] Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2015, n. 22994; 10 giugno 2005, n. 12323; 12 febbraio 2002, n. 1970; 11 gennaio 2000, n. 188.

[17] Cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 luglio 2019, n. 5076; sez. V, 30 luglio 2018, n. 4662; sez. VI, 9 giugno 2014, n. 2933.

[18] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4098.

[19] Pur in presenza di finalità di sostegno e promozione delle associazioni, questo fatto non può privilegiare solo quelle associazioni che sono di un territorio (quello comunale); questa scelta non può giustificare l’adozione di misure sostanzialmente discriminatorie nei confronti di altri soggetti, TAR Liguria, sez. II, 5 luglio 2024, n. 486.

[20] La scelta di procedere alla individuazione di uno solo o di una pluralità partner è rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione in fase di costruzione degli atti generali che precedono la selezione vera e propria: la selezione di un solo partner con cui avviare la co-progettazione consentirà all’Amministrazione di avere un progetto più organico, mentre la previsione della possibilità di una co-progettazione aperta a più partner permetterà un confronto tra più soluzioni progettuali in un processo più complesso ma anche più arricchente in termini di risultati, TAR Umbria, sez. I, 10 giugno 2024, n. 438.

[21] Vedi, DM 72/2021, Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore negli articoli 55 – 57 del decreto legislativo n. 117 del 2017, dove si riferisce che le risorse economiche, in ragione della natura giuridica della co-progettazione e del rapporto di collaborazione, che si attiva con gli ETS, da ricomprendere l’assegnazione di beni, sono da ricondurre ai contributi, disciplinati dall’art. 12, della legge n. 241/1990.

[22] Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento, Cons. Stato, Ad. Plen., 9 novembre 2021, n. 17.

[23] Cfr. TAR Puglia, Bari, sez. III, 5 luglio 2024, n. 820.

[24] TAR Emilia – Romagna, Parma, sez. I, 18 giugno 2024, n. 155. La c.d. proroga tecnica è ipotizzabile solo in via del tutto eccezionale, poiché costituisce una violazione dei principi eurounitari di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, sicché è configurabile solo per esigenze di continuità dell’azione amministrativa, qualora, per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’Amministrazione, vi sia l’effettiva necessità di assicurare provvisoriamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente, TAR Lazio, Roma, sez. III, 24 marzo 2022, n. 3344.

[25] La c.d. proroga tecnica non può essere considerata un diritto dell’operatore uscente, né comunque un’opzione che l’Amministrazione è tenuta a reputare preferibile rispetto all’affidamento in via di urgenza al nuovo operatore, TAR Emilia – Romagna, Parma, 16 ottobre 2023, n. 281; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 15 febbraio 2022, n. 467; TAR Lazio, Roma, sez. II, 7 ottobre 2019 n. 11594.

[26] L’art. 32, Eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea, della legge n. 69/2009, al primo comma ha previsto che «a far data dal 1º gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati», mentre, il successivo comma cinque, dispone che «a decorrere dal 1º gennaio 2011 … le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale», segnando, inevitabilmente, un effetto sulle forme di pubblicità, rendendo obbligatoria la pubblicazione sui siti istituzionali della PPAA degli atti, escludendo modalità alternative (quali l’albo pretorio). Cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. III, 27 giugno 2024, n. 2005. L’albo pretorio on line, ovvero la sez. Amministrazione Trasparente dei siti istituzionali, ovvero le piattaforme presenti in rete (gestite della PPAA), sono gli strumenti utilizzabili finalizzati a garantire la trasparenza, ossia la «libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti» dai soggetti pubblici con la loro pubblicazione nei siti istituzionali della PPAA, nella loro definizione dell’art. 2 bis del d.lgs. n. 33/2013, cfr. TAR Piemonte, sez. II, 22 gennaio 2020, n. 60; Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2019, n. 7614.

[27] Cons. Stato, sez. VII, 20 maggio 2024, n. 4481. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico – ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19, dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalle Pubbliche Amministrazioni, Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 9 novembre 2021, n. 17 e 18.

[28] La decisione di dismissione dei beni dalla proprietà pubblica, laddove vi sia una specifica destinazione all’uso collettivo, richiede all’Amministrazione di motivare quanto meno in termini generali le ragioni e i criteri della scelta di dismissione effettuata, ovvero di esplicitare le valutazioni effettuate in merito agli interessi pubblici in conflitto, ancorché in difetto di una posizione qualificata in capo ai proprietari potenzialmente pregiudicati non sia necessaria una motivazione più incisiva o rafforzata, né un bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato pregiudicato dall’alienazione, trattandosi di aspettative di fatto, e non di diritto, alla conservazione dello status quo ante, TAR Veneto, sez. II, 13 luglio 2023, n. 1042. Vedi, puntualmente, TAR Lombardia, Milano, sez. V, 19 luglio 2024, n. 2262.


Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager