Nel panorama giuridico italiano, un recente pronunciamento della Corte Costituzionale ha scatenato un acceso dibattito sulla questione del fine vita e del suicidio assistito.


La sentenza, al momento non ancora pubblicata e anticipata da Repubblica, è stata definita “interpretativa di rigetto”: sottoscritta dai giuristi Franco Modugno e Francesco Viganò, avrebbe ampliato il concetto di “trattamenti di sostegno vitale”.

Questo cambiamento fondamentale darebbe al giudice il potere di determinare il livello di sofferenza associato a tali trattamenti, aprendo la porta alla possibilità di interromperli su richiesta esplicita della persona interessata.

Le motivazioni della pronuncia saranno diffuse nei prossimi giorni: ma già sta scoppiando il caso attorno a questa novità in arrivo.

Che cosa si intende per fine vita e suicidio assistito?

Il termine “fine vita” si riferisce alla fase terminale della vita di una persona, in cui si trovano di fronte a malattie gravi, irreversibili e/o incurabili. In questo contesto, il fine vita riguarda le decisioni e le azioni prese per gestire la conclusione della propria esistenza, spesso accompagnate da trattamenti medici per alleviare il dolore e migliorare la qualità della vita rimanente.

Il “suicidio assistito” è una pratica in cui una persona affetta da una condizione terminale, con sofferenze insopportabili, chiede e riceve assistenza medica per porre fine alla propria vita. A differenza dell’eutanasia, dove il medico agisce direttamente per provocare la morte del paziente, nel suicidio assistito il medico fornisce le conoscenze e/o i mezzi per permettere al paziente di compiere l’atto autonomamente.

Entrambi questi concetti sono al centro di dibattiti etici, legali e morali in molte società, poiché sollevano questioni profonde riguardanti il diritto all’autodeterminazione individuale, il rispetto per la vita umana, e la responsabilità medica e sociale nella gestione delle condizioni terminali.

La Corte Costituzionale verso il via libera a fine vita e suicidio assistito

Secondo Viganò, la decisione della Corte potrebbe avere un impatto significativo sulla vita delle persone, soprattutto in situazioni estreme dove la fine della vita è inevitabile. La motivazione dettagliata della sentenza verrà resa nota nei prossimi giorni, ma già si delineano le basi su cui è stata fondata: l’analogia tra la possibilità di interrompere i trattamenti di sostegno vitale e il desiderio di mettere fine alla vita mediante altri mezzi.

L’aspetto cruciale della sentenza sembra essere la necessità di rispettare il principio di autodeterminazione della persona, consentendo di scegliere liberamente il proprio percorso di fine vita.

Il dibattito è destinato a intensificarsi mentre si attendono ulteriori sviluppi e dettagli dalla Corte Costituzionale. In un momento in cui le opinioni pubbliche e gli interessi legislativi si scontrano, il futuro del diritto di autodeterminazione nel contesto del fine vita rimane una questione di rilevanza fondamentale per la società italiana.

Le reazioni di oppositori e sostenitori alle novità

La decisione ha già suscitato critiche feroci da parte di gruppi come Pro Vita, guidati da Antonio Brandi, che temono un allargamento delle eccezioni e una progressiva accettazione sociale del suicidio assistito e dell’eutanasia. Brandi sostiene che l’esperienza internazionale dimostra come, una volta legalizzati inizialmente solo casi limite, questi pratiche tendano ad espandersi rapidamente.

Dall’altro lato, Marco Cappato, noto politico e attivista, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, accoglie favorevolmente la decisione della Consulta, sottolineando l’importanza di rispondere tempestivamente alle richieste di fine vita delle persone affette da malattie irreversibili e insopportabili sofferenze. Cappato richiama l’attenzione sul fatto che, già nel 2019, la Corte aveva stabilito la legittimità di tali richieste e sottolinea la necessità di procedure chiare e umane per chiunque desideri porre fine alla propria sofferenza.

Casi noti relativi alla questione del suicidio assistito in Italia

In Italia, diversi casi hanno suscitato un vivace dibattito pubblico e hanno posto l’attenzione sul tema del suicidio assistito e del fine vita.

  1. Dj Fabo: Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, era un giovane italiano che nel 2017 ha deciso di recarsi in Svizzera per sottoporsi al suicidio assistito. Dj Fabo era diventato tetraplegico e cieco a seguito di un incidente stradale e ha attirato l’attenzione dei media italiani per la sua battaglia per il diritto di decidere autonomamente sulla propria morte.
  2. Piergiorgio Welby: Piergiorgio Welby è stato un attivista italiano affetto da distrofia muscolare progressiva, che nel 2006 ha chiesto e ottenuto il riconoscimento del diritto di interrompere i suoi trattamenti di supporto vitale. Questo caso ha portato a un acceso dibattito sulla legalità e la moralità del suicidio assistito in Italia, culminando nella sua morte avvenuta dopo che i medici hanno scollegato il ventilatore che lo manteneva in vita.
  3. Eluana Englaro: Eluana Englaro è diventata nota a livello nazionale e internazionale per il suo caso, che ha dibattito a lungo sull’eutanasia e il diritto alla morte dignitosa. Eluana è rimasta in stato vegetativo per 17 anni dopo un incidente automobilistico. Il padre di Eluana ha chiesto per anni di poter interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale che la mantenevano in vita, ottenendo infine il permesso della Corte di Cassazione nel 2009, nonostante l’opposizione di alcune parti politiche e religiose.

Un dibattito che resta ancora oggi molto complesso

Il dibattito sul suicidio assistito e il fine vita è profondamente complesso e suscita emozioni contrastanti. Da una parte, c’è il rispetto per la vita umana e la preoccupazione per la protezione delle persone vulnerabili. Dall’altra, c’è il principio di autodeterminazione individuale e il diritto a una morte dignitosa nelle circostanze di estrema sofferenza e malattia irreversibile.

La possibilità di scegliere di porre fine alla propria vita, quando la qualità della vita è gravemente compromessa e il dolore diventa insopportabile, solleva importanti questioni di libertà personale e diritti umani. È cruciale trovare un equilibrio tra il rispetto per la vita e il riconoscimento della volontà autonoma delle persone di decidere del proprio destino, specialmente in contesti dove le cure palliative non sono sufficienti a garantire un comfort adeguato.

Il caso di Dj Fabo, Piergiorgio Welby, e Eluana Englaro ha messo in luce la complessità e l’urgenza di affrontare queste questioni in modo compassionevole e rispettoso. Mentre il dibattito sul fine vita continua a seguito di questa pronuncia della Corte Costituzionale, è fondamentale considerare attentamente le implicazioni legali, etiche e sociali di ogni decisione presa riguardo al fine vita, garantendo nel contempo che le persone affette da gravi patologie possano esercitare il loro diritto di scegliere come gestire la loro fine vita, con il supporto e il rispetto che meritano.