Corresponsabilità del Comune e risarcimento del danno in seguito ad annullamento in autotutela del permesso di costruire qualora il progettista abbia attestato l’inesistenza di vincoli autostradali: la nota dell’Avvocato Renzo Cavadi a una recente Sentenza del Consiglio di Stato.


Sussiste la responsabilità risarcitoria del Comune che annulla in autotutela un permesso di costruire che non poteva essere rilasciato, ancorché ridotta ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., qualora per un verso l’Ente locale con colpevole negligenza, non si avveda di un vincolo autostradale che risultava dagli atti; e per altro verso, la parte privata, per mezzo del proprio progettista, attesti erroneamente l’inesistenza di tali vincoli sull’area oggetto d’intervento edilizio.

Sulla base di tali interessanti considerazioni, Il Consiglio di Stato, sez. VI con un’importante decisione del 17 novembre 2023 n. 9879 (Est. A. Maggio), si è espresso in merito alla responsabilità rectius corresponsabilità, addebitabile in capo all’amministrazione comunale, come conseguenza dell’annullamento in autotutela di un permesso di costruire rilasciato in precedenza, nel caso in cui il progettista di parte, attraverso la propria condotta, abbia erroneamente attestato l’assenza di vincoli autostradali sull’area oggetto d’intervento edilizio.

La sentenza, offre l’occasione ai giudici di Palazzo Spada, per scandagliare con attente riflessioni, la dibattuta e mai sopita questione concernente il rapporto problematico che spesso intercorre tra il committente dei lavori (tante volte privo di specifiche competenze nel settore e in perfetta buona fede), il tecnico professionista incaricato dal primo alla presentazione della richiesta del rilascio del titolo edilizio (il quale peraltro dovrebbe verificare tutti i presupposti previsti ex lege) e la Pubblica Amministrazione (che per legge assume una posizione di garanzia ([1]) nei controlli preventivi ma anche successivi al rilascio del provvedimento abilitativo).

La particolare vicenda da cui nasce il contenzioso

Nell’anno 2012 il Comune di Ravenna, rilasciava ai richiedenti un permesso di costruire per l’installazione di un manufatto in legno su un’area confinante con un tratto  autostradale.

Senonchè, l’amministrazione comunale, dopo la realizzazione del manufatto, in relazione alla successiva nota comunicata da Autostrade per l’Italia s.p.a. in cui la stessa azienda manifestava parere negativo vincolante di segno contrario all’istallazione del manufatto (dal momento che dall’analisi della planimetria lo stresso risultava essere  ubicato all’interno della fascia di rispetto autostradale), in autotutela disponeva l’annullamento del titolo edilizio abilitativo accordato e la contestuale demolizione dell’opera nel frattempo eseguita.

I motivi di impugnazione di fronte al TAR Emilia-Romagna e l’esito del giudizio di primo grado

Dal canto loro gli istanti, i quali peraltro, avevano fatto legittimo affidamento sul permesso edilizio ottenuto in precedenza, ritenendo illegittima la decisione del Comune di Ravenna, proponevano ricorso al Tribunale Amministrativo competente, chiedendo in via principale a) l’annullamento dell’atto di ritiro favorevole adottato dall’Ente locale; b) il risarcimento del danno patito, in quanto l’Amministrazione comunale non aveva provveduto concretamente ad acquisire preventivamente il prescritto parere dell’Ente che gestiva l’autostrada e non aveva dunque adeguatamente svolto la necessaria e approfondita istruttoria.

I giudici del T.A.R Emilia-Romagna, attraverso la sentenza n. 689 del 20 ottobre 2020, in parte dichiaravano le censure inammissibili e in parte rigettavano il ricorso sotto il profilo risarcitorio, dal momento che la parallela responsabilità anche degli stessi ricorrenti attraverso “un’esposizione parziale e incompleta della situazione di fatto nel rilascio del titolo abilitativo privo di un parere obbligatorio, aveva depotenziato la pretesa avanzata, impedendo la configurazione del danno ingiusto”.

Di fatto il giudice di prime cure aveva evidenziato che “Se il Comune di Ravenna non ha provveduto ad acquisire il prescritto parere dell’Ente gestore della strada, tuttavia la redazione della domanda del titolo edilizio è risultata fuorviante” poiché il progettista di parte ricorrente, attestando la veridicità e la conformità dell’intervento effettuato alla normativa edilizia-urbanistica e alle leggi di sicurezza vigenti al momento della presentazione della relativa domanda, “non aveva dato conto dell’esistenza del vincolo”.

Motivo per cui se è vero che “la rappresentazione grafica della mappa dell’area è certamente “sfuggita per un’obiettiva negligenza degli uffici” ma la disattenzione, si sarebbe potuta evitare proprio con la precisa indicazione della presenza del vincolo autostradale da parte del privato, il quale, con la sua condotta inevitabilmente “ha contribuito al deficit istruttorio in violazione del principio di leale collaborazione”.

Le doglianze sollevate in appello davanti al Consiglio di Stato

I soccombenti invece, di tutt’altro avviso, proponevano ricorso in appello al Consiglio di Stato, per le seguenti ragioni.

I ricorrenti infatti, in relazione alla vicenda in oggetto, non si ritenevano direttamente responsabili rectius corresponsabili per quanto concerne il rilascio del titolo abilitativo, poi ritirato in un secondo momento dall’amministrazione comunale, ed in tal senso evidenziavano che nessun addebito poteva essergli contestato per quanto concerne la presentazione dell’istanza relativa al permesso di costruire successivamente rilasciata dall’Ente locale, essendosi affidati professionalmente alla relazione predisposta dal loro progettista. Di fatto essi risultavano “privi di specifica competenza nel settore e in perfetta buona fede, avrebbero fatto affidamento sul permesso di costruire rilasciato.

Sarebbe semmai da considerare colposamente negligente e non conforme al canone della buona amministrazione la condotta assunta da parte del Comune di Ravenna.

Ciò, considerato che fino al rinnovo del Piano Generale del Traffico Urbano del 2014 (e dei relativi elaborati allegati), il tratto in questione su cui era stato costruito il manufatto, veniva classificato come strada “Extraurbana principale di tipo B” anziché come “Autostrada di tipo A”. Tale situazione peraltro, continuava a persistere come indicazione topografica nonostante nell’anno 2010, la Giunta del Comune di Ravenna, avesse già deliberato la correzione di tale errore materiale nelle mappe.

Tale circostanza di fatto, rappresentava per la parte appellante, la ragione giustificatrice per censurare il comportamento del Comune di Ravenna al quale doveva dunque addebitarsi, il mancato adeguamento della cartografia allegata agli strumenti urbanistici esistenti, con consequenziale travisamento concernente l’effettiva natura del tratto di strada confinante con l’area d’intervento. Tutto questo rappresentava secondo le censure indicate sollevate nel gravame, un evidente caso di negligenza e cattiva amministrazione da parte dell’Ente locale, necessaria e sufficiente a fondare la colpa del Comune di Ravenna e il connesso obbligo di natura risarcitoria.

Infine, per quanto concerne la quantificazione del danno, parte appellante faceva riferimento esclusivamente ai costi sostenuti per la costruzione del manufatto e naturalmente alle spese necessarie sostenute in relazione all’ordine di demolizione da parte dell’amministrazione resistente.

Per tutta risposta, si costituiva l’Amministrazione resistente, evidenziando che l’errore prodromico al rilascio del permesso di costruire, era soltanto rimproverabile al progettista e quindi alla parte ricorrente.

L’interessante decisione dei giudici adottata dai Palazzo Spada

Sull’eventuale colpa addebitabile al progettista e sulla buona fede del committente dei lavori

In via preliminare i giudici del Consiglio di Stato, evidenziano che nella vicenda sottoposta all’attenzione del Collegio giudicante, non può trovare fondamento né può attribuirsi rilievo alla circostanza, evidenziata da parte ricorrente, secondo la quale “ la richiesta del titolo edilizio non sia stata predisposta e presentata dagli stessi, ma dal loro tecnico di fiducia”. E ciò, perché secondo quanto stabilito dal nostro ordinamento in materia urbanistica – edilizia, l’articolo 29 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) dispone che “ Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo”.

Ciò posto, alla luce di quanto richiamato in precedenza, per il Consiglio di Stato, deve senz’altro ritenersi che i giudici del TAR Emilia-Romagna, dopo aver rilevato “un’obiettiva negligenza degli uffici” da parte dell’amministrazione comunale, concretizzatasi nel non avvedersi del vincolo autostradale esistente e gravante sull’area su cui avevo costruito gli appellanti, ciò nonostante hanno correttamente ravvisato una “corresponsabilità di costoro nell’indurre in errore il Comune circa l’esistenza del detto vincolo”.

Sull’esatta distribuzione dei profili di responsabilità per entrambe le parti processuali

Su tale punto, per il Collegio Amministrativo, occorre distinguere la posizione processuale dell’Amministrazione comunale da quella del privato.

In ordine al ruolo assunto nella vicenda da parte del Comune di Ravenna, i giudici di Palazzo Spada, richiamando precedente giurisprudenza amministrativa sul punto (Cons. Stato, Sez. VI, 8/9/2020, n. 5409; Sez. IV, 4/2/2020, n. 909) sottolineano come “il Comune non poteva ignorare l’esistenza del vincolo, e anzi sicuramente non la ignorava, tenuto conto che con delibera n. 649/2010 aveva stabilito di procedere alla correzione degli elaborati grafici allegati allo strumento urbanistico che, per l’appunto, classificavano erroneamente il tratto autostradale confinante con il lotto d’intervento. Motivo per il qualeè indubbio il grave difetto di istruttoria sulla base del quale è stato rilasciato il permesso di costruire n. 356/2012, circostanza, questa, che, tenuto conto dell’inescusabilità dell’errore commesso, induce il Collegio a ritenere integrato l’elemento psicologico della colpa”.

In ordine, poi, alla posizione degli appellanti, il Collegio Amministrativo ha evidenziato che la richiesta di permesso di costruire “reca l’asseverazione del progettista incaricato in ordine alla conformità del manufatto alla normativa edilizia urbanistica in vigore, comprendente, nello specifico, anche la dichiarazione di assenza di vincoli impeditivi dell’edificazione. Tutto questo determina inevitabilmente, “il rilevato concorso di responsabilità nel provocare l’errore che ha portato al rilascio del titolo edilizio”.

Va detto che il TAR Emilia-Romagna, nella propria decisione, non ha tratto delle proprie argomentazioni motivazionali, le dovute conseguenze sul piano giuridico.

Sulle conseguenze concrete delle premesse sviluppate: la mancata applicazione del comma 1 dell’articolo 1227 c.c. da parte del giudice di primo grado

In tale contesto, secondo il Consiglio di Stato, avrebbe dovuto trovare applicazione il comma 1 dell’art. 1227, del cod. civ., in base al quale: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.  Ciò peraltro, atteso che anche nella materia amministrativa alla luce di quanto esposto in punto di fatto “e in considerazione del principio espresso dalla trascritta norma del codice civile (ripresa e sviluppata dall’art. 30, comma 3, c.p.a.,” attraverso la precisazione secondo cuiNel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”), deve quindi ritenersi che “la condotta della parte privata e quella del Comune abbiano avuto la medesima incidenza causale nel determinare il rilascio del titolo edilizio illegittimo successivamente annullato».

In virtù di tali considerazioni per i giudici di Palazzo Spada, la logica conseguenza è che “il Comune di Ravenna dev’essere condannato, ex art. 1227, comma 1, cod. civ., a risarcire la metà del danno subito” alla parte ricorrente.

Sulla limitazione dei danni richiesti all’amministrazione comunale: il concorso del fatto colposo del privato limita il quantum risarcibile

A tal proposito, il Consiglio di Stato, ha poi precisato che il danno richiesto dagli appellanti (consistente nella liquidazione delle spese sostenute per la costruzione del manufatto e di quelle necessarie alla demolizione e rimessione in pristino) fossein linea con la natura precontrattuale della responsabilità configurabile nella fattispecie”.

Tuttavia, per i giudici del Consiglio di Statoai sensi dell’art. 1227, comma 2, del cod. civ. secondo cui Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”, Il Collegio decidente, non ha inteso riconoscere agli appellanti il rimborso delle spese concernenti “l’attività edilizia posta in essere successivamente al giorno 13/3/2013, data da cui risulta che conoscessero l’esistenza del vincolo autostradale gravante sull’area occupata dal manufatto assentito col permesso di costruire, come si ricava dal fatto che, con nota del medesimo giorno, costoro avevano chiesto, alla società Autostrade per l’Italia, un parere a sanatoria per il posizionamento del detto manufatto”.  Peraltro, in relazione sempre al comma 2 dell’articolo 1127 c.c., i giudici di Palazzo Spada escludono il ristoro anche delle spese concernenti la demolizione dal momento chedalle non smentite affermazioni dell’amministrazione comunale, la struttura è tuttora, esistente, non essendo stata demolita”.

Il Collegio Amministrativo, riconosce invecequanto speso per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione”.

Ai fini della quantificazione del danno il Collegio Amministrativo ordina all‘amministrazione comunaledi proporre agli appellanti, entro 90 giorni dalla pubblicazione della presente sentenza, il pagamento di una somma, a titolo di risarcimento da danno emergente, secondo i criteri sopra specificati, importo che dovrà essere decurtato della metà, ai sensi dell’art. 1227 c.c.”.

In definitiva alla luce delle considerazioni espresse, delle argomentazioni svolte, il Consiglio di Stato, accoglie parzialmente l’appello di parte ricorrente e riforma la sentenza di primo grado per le motivazioni richiamate, finendo per ripartire dunque le responsabilità del caso di specie fra l’Amministrazione comunale e gli appellanti.

Riflessioni finali

L’importanza della decisione adottata, tende a cogliersi nel momento in cui i giudici del Coniglio di Stato danno rilievo come spesso accade nella prassi amministrativa, al noto criterio dell’inescusabilità dell’errore da parte della Pubblica Amministrazione.

In tal senso, in materia di scusabilità o meno dell’errore, va ricordato l’orientamento in materia costante espresso anche dal giudice di legittimità secondo il qualeElemento essenziale per la sussistenza dell’errore scusabile è l’inevitabilità dello stesso, determinata da cause oggettive, estranee al soggetto agente, che finisce per escludere la colpevolezza, intesa quale forma di qualificazione dell’azione soggettiva nelle fattispecie di responsabilità” (Cass. Civ. sez. III, 9 febbraio 2004, n. 2424).

Di fatto, in ordine alla mancata verifica della sussistenza del vincolo autostradale su cui era stato costruito il manufatto, i giudici amministrativi, hanno sì evidenziando la condotta colposa del progettista di parte ricorrente (che effettivamente e ictu oculi aveva fuorviato e condizionato in parte l’iter procedimentale condotto da parte dell’Amministrazione comunale). Parallelamente però, lo stesso Collegio Amministrativo, ha in ogni caso riconosciuto l’obiettiva negligenza per colpa (inescusabile) degli Uffici del Comune di Ravenna, i quali, avevano l’obbligo di seguire con attenzione e precisione l’istruttoria procedimentale, prodromica ma anche successiva, al rilascio del permesso di costruire.

Da una parte vi doveva essere, dunque, una corretta rappresentazione dei fatti da parte del professionista incaricato dal ricorrente alla presentazione dell’istanza di permesso di costruire indirizzata all’amministrazione comunale. Dall’altra, lo Sportello Unico Edilizia del Comune di Ravenna, avrebbe dovuto attivarsi scrupolosamente in via preventiva per verificare il rispetto delle leggi, dei regolamenti e più in generale degli strumenti urbanistici in materia.

 

Note

([1]) L’art. 12 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) dispone, che “Il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”. Il successivo art. 13 dispone stabilisce che “Il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici”.

 


Fonte: Dott. Avv. Renzo Cavadi - Funzionario direttivo Ministero dell'Istruzione - Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia