videosorveglianza-rifiuti-privacyIn questo approfondimento odierno l’Avvocato Luigi Fadda si occupa delle regole concernenti il rapporto che intercorre tra videosorveglianza rifiuti e privacy.


Come noto, ai sensi dell’art. 2-ter del Codice Privacy (che, in pratica, riproduce quanto già disposto dall’art. 6, parr. 1, lett. c) ed e), e dall’art. 3 del Regolamento UE 2016/679), il trattamento di dati personali mediante sistemi di videosorveglianza da parte di soggetti pubblici è generalmente ammesso:

  • se è necessario per adempiere un obbligo legale
  • se è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico
  • se è necessario per l’esecuzione di un compito connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito lo stesso.

In tale contesto normativo, si osserva che la gestione dei rifiuti rientra tra le attività istituzionali affidate agli enti locali e che pertanto è astrattamente possibile installare sistemi di videosorveglianza al fine di reprimere l’annoso fenomeno dell’abbandono di rifiuti.

Su tale delicato tema, nonostante l’apparente chiarezza della norma, è intervenuto in più occasioni il Garante Privacy, il quale, constatando l’inosservanza dei principi in materia di protezione dei dati, nello specificare la portata delle prescrizioni rinvenibili nel Codice della Privacy, ha conseguentemente sanzionato taluni enti locali colpevoli di aver negligentemente omesso di adottare quelle misure idonee ad assicurare il rispetto delle disposizioni, anche eurounitarie, applicabili in materia.

Difatti, come recentemente rammentato dall’Autorità, il titolare del trattamento è tenuto a rispettare quanto disposto all’art. 5 del citato Regolamento, il quale prescrive, fra gli altri, l’obbligo di trattare i dati secondo i principi di “liceità, correttezza e trasparenza” , adottando a tal fine misure appropriate per fornire all’interessato tutte le informazioni necessarie  in forma concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, con un linguaggio semplice e chiaro (v. art. 12 del Regolamento).

Sorveglianza sull’abbandono rifiuti: la minimizzazione dei dati e la loro conservazione

Sotto il versante normativo, ai sensi dell’art. 5, par. 1, lett. c) ed e), del Regolamento UE 2016/679, i dati personali:

  • devono essere “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati” (cd. «minimizzazione dei dati»)
  • devono essere “conservati in una forma che consenta l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati” («limitazione della conservazione»).

Quanto a quest’ultimo elemento, in base al principio di responsabilizzazione (artt. 5, par. 2, e 24 del Regolamento), spetta al titolare del trattamento individuare i tempi di conservazione delle immagini, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche; ciò, beninteso, salvo che specifiche norme di legge non prevedano espressamente determinati tempi di conservazione dei dati.

Al tale riguardo, il Garante ha precisato che:

  • i dati personali dovrebbero essere cancellati dopo pochi giorni, preferibilmente tramite meccanismi automatici;
  • quanto più prolungato è il periodo di conservazione previsto (soprattutto se superiore a 72 ore), tanto più argomentata deve essere l’analisi riferita alla legittimità dello scopo e alla necessità della conservazione;
  • il titolare del trattamento deve mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate a garantire che le immagini riprese dai dispositivi video siano trattate, per impostazione predefinita, soltanto per il tempo di conservazione da esso previamente definito.

Abbandono rifiuti: quando è ammissibile il ricorso alla videosorveglianza

Sotto il profilo operativo, poi, i Comuni, nell’esercizio dei poteri di propria competenza – come, appunto, nel caso dell’accertamento degli illeciti amministrativi previsti dalla normativa in materia ambientale (si pensi al classico abbandono di rifiuti) – sono tenuti, in qualità di titolari del trattamento, a valutare, ai fini dell’accertamento di tali violazioni, che:

  • il trattamento di dati personali mediante dispositivi video  sia effettivamente necessario e proporzionato;
  • il ricorso alla videosorveglianza finalizzato alla tutela ambientale sia assolutamente necessario, nel senso che non risulti possibile, o si riveli non efficace, il ricorso a strumenti e sistemi di controllo alternativi;
  • in ogni caso, il ricorso alla videosorveglianza per il contrasto al fenomeno dell’abbandono rifiuti avvenga nel rispetto del principio di minimizzazione dei dati.

Videosorveglianza e abbandono rifiuti: la segnaletica di avvertimento

Verificata la sussistenza dei presupposti legittimanti l’impiego di sistemi di videosorveglianza, il Comune, quale titolare del trattamento, dovrà altresì adottare alcune precauzioni.

In particolare, il Comune è tenuto, in prossimità della zona sottoposta a videosorveglianza, a rendere la cd. informativa di primo livello mediante l’apposizione di segnaletica di avvertimento.

L’apposizione della segnaletica è finalizzata:

  • a comunicare i dati più importanti (ad esempio le finalità del trattamento, l’identità del titolare del trattamento e l’esistenza dei diritti dell’interessato, unitamente alle informazioni sugli impatti più consistenti del trattamento);
  • a comunicare quelle informazioni che potrebbero risultare inaspettate per l’interessato (ad esempio, l’eventuale trasmissione di dati a terzi, in particolare se ubicati al di fuori dell’Unione europea, e il periodo di conservazione);
  • a evidenziare riferimento al secondo livello di informazioni (ad esempio indicando un sito web sul quale è possibile consultare il testo dell’informativa estesa). Non sarebbe invece sufficiente  l’asserita possibilità di recarsi fisicamente presso un “desk di informazione” presso la sede del Comune, in quanto tale modalità ostacolerebbe la possibilità per gli stessi di acquisire in maniera agevole le informazioni complete sul trattamento di dati personali in questione.

Secondo il Garante, le informazioni di primo livello dovrebbero essere posizionate in modo da permettere all’interessato di riconoscere facilmente le circostanze della sorveglianza, prima di entrare nella zona sorvegliata, pur non essendo necessario rivelare l’ubicazione della telecamera, a condizione che ciò non osti all’individuazione di massima delle zone  soggette a sorveglianza e sia chiarito in modo inequivocabile il contesto della sorveglianza

Non basta – ha chiarito il Garante –  un cartello informativo che menzioni  generiche “ragioni di sicurezza” sottese alla videosorveglianza, non indicando al contempo le modalità con le quali gli interessati (ovvero non solo i soggetti ai quali viene contestata una violazione amministrativa, ma tutte le persone fisiche che entrano nel raggio di azione delle telecamere) possono ricevere un’informativa completa sul trattamento di secondo livello.

L’informativa, piuttosto, dovrebbe far riferimento alla finalità perseguita nel caso in esame, di competenza del Comune, riguardante l’accertamento di condotte sanzionate in via amministrativa (cfr. artt. 192, “divieto di abbandono”, e 255 “abbandono di rifiuti”, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; art. 13, l. 24 novembre 1981, n. 689) e che va distinta dai diversi ambiti di “pubblica sicurezza” e “incolumità pubblica”.

 


Fonte: articolo dell'Avv. Luigi Fadda, Segretario Generale di Enti Locali