rinnovo-contratto-enti-locali-2022-aumenti-arretratiLo scorso 4 agosto 2022 è stata sottoscritta tra l’Aran e i sindacati l’ipotesi di rinnovo contratto degli Enti locali: alcuni hanno espresso soddisfazione ma alcuni, come il sindacato USB, lamentano aumenti insufficienti e pochi arretrati.


L’accordo sottoscritto ad inizio agosto è stato firmato da Aran e dalle organizzazioni sindacali Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl e Confederazione CISAL – CSA – Regioni Autonomie Locali.

Ricordiamo che la firma della pre-intesa del contratto 2019/2021 interessa ben 430mila dipendenti di Regioni ed enti locali.

I sindacati che hanno sottoscritto l’accordo, ovviamente, hanno manifestato grande soddisfazione per l’intesa raggiunta.

Tuttavia non mancano le voci fuori dal coro, tra cui quella del Sindacato USB Pubblico Impiego.

Rinnovo contratto Enti locali 2022: aumenti insufficienti e pochi arretrati?

Secondo quanto denunciato dal sindacato gli aumenti contrattuali saranno del tutto inadeguati a far fronte al crescente aumento del costo della vita, con costi dell’energia alle stelle e l’inflazione all’8%, in un contesto di economia di guerra.

A regime, gli incrementi mensili dello stipendio tabellare andranno dai 56 euro per la categoria più bassa ai 104 per quella più alta, ma solo dal 01/01/2021.

Per tutto il 2019 e il 2020 gli aumenti sono risibili e alleggeriranno l’importo degli arretrati (ad es. un lavoratore nella ex categoria C1 riceverà 10 euro per 2019, 24 euro per il 2020 e 66 euro per il solo anno 2021).

Dal 2021 gli aumenti mensili (escluso l’elemento perequativo) variano da circa 670 a 1250 euro lordi/anno a seconda della ex categoria di inquadramento.

Critiche anche al nuovo sistema di classificazione e alle possibilità di sviluppo di carriera

Ma l’aspetto più critico risiede, secondo l’USB, nel nuovo sistema di classificazione e nelle possibilità di sviluppo di carriera, che porterà a disparità importanti.

Il sistema di classificazione previsto dal nuovo contratto determina il superamento della “categoria”.

Il sistema è strutturato in aree:

  • funzionari ed elevata qualificazione (ex cat. D con o senza P.O.)
  • istruttori (ex cat. C)
  • operatori esperti (ex cat. B)
  • operatori (ex cat. A).

Per la ex categoria A, sia la nuova retribuzione tabellare che l’adeguamento salariale dal precedente contratto sono assolutamente inadeguati, tenuto conto delle attività svolte (per es. attività di vigilanza o tecnico manutentive). Questa categoria avrebbe dovuto essere assorbita interamente dell’area successiva.

La retribuzione corrispondente alle progressioni economiche fin qui ottenute confluirà in una nuova voce denominata “differenziale stipendiale” e sarà alimentata con le future progressioni. I possibili differenziali stipendiali saranno cinque per gli istruttori (del valore di euro 750 annui), operatori esperti (del valore di 650 euro all’anno) e operatori (del valore di 550 annui).

Per l’area dei funzionari ed elevata qualificazione il numero di differenziali stipendiali sarà invece di sei e pari a 1.600 euro.

I differenziali stipendiali vengono attributi mediante procedura selettiva sulla base di criteri in larghissima parte discrezionale da parte dei dirigenti e dell’amministrazione. Inoltre, il dipendente può accedere alla procedura ogni tre anni, salvo diversa contrattazione decentrata.

Resta ovviamente del tutto valido il sistema di valutazione della performance per le progressioni di carriera.

Le elevate qualificazioni (corrispondenti alle ex posizioni organizzative) possono arrivare fino a 18.000 euro/anno in più. Praticamente lo stipendio di un operatore.

Negato il diritto alla carriera?

Nonostante i proclami, le possibilità di carriera in realtà, conti alla mano, sono minime. Prima di tutto ogni differenziale salariale è soggetto al giudizio del dirigente. Ma anche qualora si verificassero per qualche fortunata circostanza tutti gli scatti previsti ogni tre anni, un lavoratore inquadrato nell’area “operatori”, ad esempio, arriverebbe a prendere 3.250 euro annui lordi dopo 15 anni di lavoro.

Un po’ meglio va ai funzionari, che potrebbero arrivare a prendere 9.600 euro lordi anni in 18 anni.

Circa il 40% degli enti, soprattutto al Centro Sud, già in dissesto economico o con pesantissimi piani di rientro economico che hanno di fatto congelato i bilanci e saranno impossibilitati a reperire nuove risorse per il contratto decentrato e quindi per le progressioni.

Il contratto sembra mettere al centro il ruolo dei funzionari, ai quali i dirigenti possono attribuire (e scaricarsene) carichi di lavoro e responsabilità (responsabilità del procedimento, firma di relazioni, di progetti…), i cui livelli salariali e le prospettive di carriera rimangono in generale bassi. Si va così a consolidare un modello di amm.ne che va a caccia di fondi e gestisce progetti (quelli del PNRR attualmente sono la priorità).

Penalizzati i lavoratori ordinari?

In particolare, però il modello va a penalizzare i lavoratori che effettuano il lavoro ordinario e routinario, insomma che portano avanti la baracca. Un modello, quindi, che mortifica e sguarnisce ulteriormente i servizi minimi di base (anagrafe, stato civile, sportelli), sempre ormai più informatizzati, privatizzati e inaccessibili.

Poiché è noto che troppi lavoratori sono rimasti fermi al palo per lunghi anni, si è tentato di porre rimedio al fallimento del sistema delle valutazioni finalizzate alle progressioni di carriera (di cui evidentemente si è preso atto al tavolo dell’ARAN), inserendo la possibilità di attribuire punteggi più elevati del 3% ai lavoratori che non hanno effettuato progressioni negli ultimi 6 anni e il criterio secondo cui il peso dell’esperienza professionale non può essere inferiore al 40%.

Per la progressione tra aree, solo in prima applicazione, fino al 2025, sarà possibile transitare all’area superiore senza il titolo di studio previsto per l’accesso dall’esterno, nell’ambito della spesa prevista dalla Legge di Stabilità 2022 e delle assunzioni autorizzate al netto della quota riservata per l’accesso dall’esterno.

Conclusioni

Il sindacato chiude le sue riflessioni evidenziando che “da questa pre-intesa emerge con forza la volontà di sminuire la volontà dei lavoratori. È infatti prevista l’istituzione all’art. 6 dell’Organismo Paritetico per l’Innovazione negli enti con più di 70 dipendenti, alle quali parteciperanno, insieme alle amministrazioni, solo le organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL.

Tale organismo, molto poco democraticamente, avrà voce in capitolo su un ampio numero di materie, sottraendole di fatto all’RSU elette dai lavoratori.

Il testo completo del comunicato dell’USB Pubblico Impiego

Qui di seguito potete consultare il testo completo del comunicato.

 


Fonte: USB Pubblico Impiego