obbligo-di-provvedere-pubblica-amministrazioneNell’ultimo approfondimento curato dal Dottor Stefano Saracchi una riflessione in merito all’obbligo di provvedere, vale a dire concludere il provvedimento con un atto espresso, da parte della Pubblica Amministrazione.


Premessa

Per un’agile comprensione dei termini giuridici, in linea generale e astratta, si inizi subito con il sottolineare che l’obbligo di provvedere esiste quando la legge espressamente lo prevede. Sembra quindi potersi ammettere che non ad ogni istanza o azione del privato l’Amministrazione deve obbligatoriamente agire o dare riscontro.

La situazione giuridica soggettiva

Per comprendere il perimetro di riferimento dell’obbligo è necessario comprendere cosa sia una situazione giuridica soggettiva: nel diritto, corrisponde ad una posizione che un soggetto assume nell’ambito di un rapporto giuridico.

L’Ordinamento riconosce, quindi, dignità giuridica ad una posizione soggettiva quando ammette una tutela diretta e concreta nei relativi casi di lesione, distinguendo, nel diritto amministrativo, l’interesse di fatto dall’interesse legittimo.

Ciò fa comprendere che l’obbligo di provvedere esiste se l’iniziativa dell’azione (d’ufficio o di parte) è generata da una situazione soggettiva protetta da una norma che ne riconosca rilevanza giuridica.

Il Consiglio di Stato con una interessante sentenza dell’11 maggio 2007, la nr. 2318, ha chiarito, tuttavia, che l’obbligo di provvedere non discende solamente dalla legge intesa in senso letterale ma da un più ampio sistema di valutazione con riguardo all’ordinamento in senso generale.

Gli stralci della Sentenza del Consiglio di Stato

Per un’agevole lettura della sentenza si riportano gli stralci di maggior spessore argomentativo:

Occorre (…) individuare preliminarmente le fattispecie dalle quali sorge in capo alla Pubblica Amministrazione un obbligo di pronunciarsi sulle istanze dei privati.

7.1.  L’obbligo di provvedere sussiste, anzitutto, quando la legge espressamente riconosca al privato il potere di presentare un’istanza, così riconoscendogli la titolarità di una situazione qualificata e differenziata. Di fronte alle istanze dei privati vi è sempre un obbligo di provvedere se l’iniziativa nasce da una situazione soggettiva protetta dalle norme, se cioè è prevista dalla legge. 

Nel caso di specie, non vi è, tuttavia, nessuna norma che espressamente riconosca al privato la facoltà di presentare un’istanza all’Amministrazione diretta ad ottenere l’emanazione dei provvedimenti (volti ad ottenere effetti sfavorevoli verso i terzi ndr.).

8. Occorre allora chiedersi se l’obbligo di provvedere possa essere configurato anche in assenza di una espressa previsione legislativa che “tipizzi” l’istanza del privato.

Al quesito appena formulato deve darsi sicuramente risposta positiva.

Ormai da tempo, infatti, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, partendo dal principio generale della

doverosità dell’azione amministrativa, ed integrandolo con le regole di ragionevolezza e buona fede, tendono ad ampliare l’ambito delle situazioni in cui vi è obbligo di provvedere, al di là di quelle espressamente riconosciute dalla legge.

Si afferma, cosi, che esiste l’obbligo di provvedere, oltre che nei casi stabiliti dalla legge, in fattispecie ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un provvedimento. Si tende, in tal modo, ad estendere le possibilità di protezione contro le inerzie della Amministrazione pur in assenza di una norma ad hoc che imponga un dovere di provvedere.

Espressione di tale orientamento è, ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975 secondo cui <<indipendentemente dall’esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano  l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un’esplicita pronuncia>>.

9. Appurato che l’obbligo di provvedere può nascere anche in assenza di una norma che consenta espressamente al privato di presentare una istanza all’Amministrazione, occorre compiere uno sforzo ricostruttivo ulteriore, per verificare se tra queste fattispecie non tipizzate da cui nasce l’obbligo di provvedere vi sia anche quella oggetto del presente giudizio.

10. Al riguardo, appare opportuno distinguere tre categorie di atti amministrativi alla cui emanazione (u)n cittadino può avere interesse, per poi verificare, in relazione a ciascuna di esse, se esiste, a fronte dell’istanza del privato, il correlativo obbligo di provvede in capo alla P.A.

Si può, in particolare, operare una distinzione tra istanza volte ad ottenere: 1) atti di contenuto favorevole in quanto ampliano la sfera giuridica del richiedente; 2) il riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati; 3) atti diretti a produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi, dall’adozione dei quali il richiedente possa trarre indirettamente vantaggi (c.d. interessi strumentali).

10.1. Quanto alla prima categoria, l’istanza diretta ad ottenere un provvedimento favorevole determina un obbligo di provvedere quando chi la presenta sia titolare di un interesse legittimo pretensivo. Non è seriamente dubitabile, infatti, che colui che ha un interesse differenziato e qualificato ad un bene della vita per il cui conseguimento è necessario l’esercizio del potere amministrativo sia titolare di una situazione giuridica che lo legittima, pur in assenza di una norma specifica che gli attribuisca un autonomo diritto di iniziativa, a presentare un’istanza dalla quale nasce in capo alla P.A. quantomeno un obbligo di pronunciarsi. 

Anche in questi casi, tuttavia, l’obbligo di provvedere, pur sussistendo in astratto, può risultare mancante in concreto. Ciò accade, ad esempio, secondo alcune pronunce, quando la domanda inoltrata dal privato sia manifestamente infondata o esorbitante dall’ambito delle pretese astrattamente riconducibili al rapporto amministrativo.

10.2. Quanto alla seconda categoria di istanze (quelle di riesame di precedenti atti non impugnati), secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, l’istanza del privato mirante ad ottenere il riesame da parte della Pubblica amministrazione di un atto autoritativo, non impugnato tempestivamente dal medesimo, non comporta, di regola, la configurazione di un obbligo di riesame, in quanto tale  obbligo inficerebbe, tra l’altro, le ragioni di certezza delle situazioni giuridiche e di efficienza gestionale che sono alla base dell’agire autoritativo della Pubblica Amministrazione e della inoppugnabilità dopo il termine di  decadenza dei relativi atti.

10.3. Maggiormente problematica è proprio la terza categoria di istanze (…). Laddove il privato sollecita l’esercizio di poteri sfavorevoli (repressivi, inibitori, sanzionatori) nei confronti di terzi non è sempre agevole distinguere tra l’istanza che fa nascere l’obbligo di provvedere e il semplice “esposto”, che ha mero valore di denuncia inidonea a radicare una posizione di interesse tutelata sia dall’apertura del procedimento conclusivo, sia dalla conclusione dello stesso in modo conforme alle aspettative dell’istante.

Al riguardo, il criterio distintivo tra istanza (idonea a radicare il dovere di provvedere) e mero esposto, deve essere ravvisato nell’esistenza in capo al privato di uno specifico e rilevante interesse che valga a differenziare la sua posizione da quella della collettività.

Occorre, in altri termini, che il comportamento omissivo dell’Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto qualificato, in quanto, per l’appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile. Ove ciò accada, l’eventuale inerzia serbata dall’Amministrazione sull’istanza, assume una connotazione negativa e censurabile dovendo l’Ente dar comunque seguito (anche magari esplicitando l’erronea valutazione dei presupposti da parte dell’interessato) all’istanza. (…).

Conclusioni

Letta questa pregevole sentenza, che si ricorda esser intervenuta nel lontano 2007 quando ancora la legge sul procedimento amministrativo non aveva previsto la possibilità di adottare provvedimenti espressi redatti in forma semplificata, è possibile comprendere il significato dell’articolo 1, comma 38, della legge 6 novembre 2012, nr. 190 che ha introdotto, per eliminare ogni dubbio sull’obbligo di provvedere, proprio questa disciplina nell’articolo 2 comma 1 della Legge nr. 241 del 1990:

“Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.”

 


Fonte: articolo di Stefano Saracchi - Dirigente con incarico di livello generale dell’Amministrazione di Stato