Nel commento dell’Avvocato Maurizio Lucca di una recentissima sentenza alcuni chiarimenti in merito alla strada privata ad uso pubblico (vicinale) sottratta alla disponibilità del proprietario.


La sez. Brescia I del TAR Lombardia, con la sentenza 25 luglio 2022 n. 734, interviene per riconfermare che un bene privato – gravato da una servitù di uso pubblico – è sottratto alla disponibilità del proprietario che non può disporne l’interdizione, né limitarne l’uso.

L’uso pubblico

È noto che una strada privata – gravata da uso pubblico (c.d. strada vicinale) [1] – si caratterizza per la sua destinazione al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato: un uso (ovvero, utilizzazione, c.d. passaggio) da parte di una collettività indeterminata di persone sul bene privato: bene idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa [2].

Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono [3]:

  • il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
  • la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via (ovvero, attraverso la strada privata si accede alla strada pubblica);
  • un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (da sempre) [4].

Di converso, non vi è uso pubblico qualora il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari dei fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, ovvero da coloro che abbiano occasione di accedervi per esigenze connesse ad una privata utilizzazione [5], oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici [6].

L’interesse all’uso pubblico

La prova della servitù di uso pubblico di una strada richiede, oltre all’uso pubblico, un atto pubblico o privato, ovvero l’intervenuta usucapione ventennale, fermo restando l’accertamento dell’idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico, con la conseguenza ovvia, quanto elementare, che una strada privata che non presenta questi “vincoli” (alias destinazione) d’uso a beneficio della collettività non potrà essere dichiarata ad uso pubblico, né l’Amministrazione avrebbe alcun interesse a dichiararla, mancando quel quid pubblico (ex art. 97 Cost) da porre a base motivazionale dell’atto, ai sensi dell’art. 3, della legge n. 241/1990 [7].

In termini diversi, l’eventuale proposta di privati di cedere all’Amministrazione la strada di proprietà (che, a volte e raramente, viene rivendicata a fronte dell’isolato passaggio di alcuni) deve essere accompagnata dalla dimostrazione di un interesse pubblico all’acquisizione, da dimostrare nel concreto (nell’atto consiliare di accettazione) attesa l’assunzione degli oneri di manutenzione che verrebbero traslati a carico dell’erario pubblico, senza considerare eventuali interessenze: non è sufficiente la volontà del privato di cedere al Comune la strada privata al solo scopo di non sostenere le spese manutentive a proprio carico, ma è indispensabile dimostrare la presenza di una reale ed effettiva utilità generale e non dei singoli residenti (da altri definiti “frontisti”).

Diversamente, sarebbe il caso dell’approvazione di un progetto di opera pubblica, con la dichiarazione di pubblica utilità (comprensiva di termini iniziali e finali per l’avvio e compimento dei lavori e delle occupazioni) [8], e l’espropriazione del sedime stradale, con una valutazione a monte del cit. interesse pubblico (compreso l’eventuale inserimento negli atti di programmazione triennale dei lavori) ed una correlata attività istruttoria.

La giurisdizione sull’uso

Una controversia circa il riconoscimento del diritto di uso pubblico su una strada privata è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, poiché investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi dei privati o della Pubblica Amministrazione, senza che a tale conclusione possa frapporsi l’esistenza di un formale atto di classificazione della strada [9].

Tuttavia, va chiarito la giurisdizione del giudice amministrativo qualora l’accertamento sul carattere pubblico di una strada costituisca un presupposto del provvedimento contestato, visto che la giurisdizione s’individua in base alla qualificazione della pretesa azionata, prescindendo dagli accertamenti incidentali su situazioni soggettive di diverso tipo: solo quando il giudizio verta sulla natura pubblica o privata della strada, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario giacché investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi, dei privati o della PA [10].

Il diritto di accesso del vicino alla strada vicinale

A margine, si deve ammettere il diritto di accesso alla documentazione catastale (in relazione alla portata onnicomprensiva dell’art. 22, comma 1, lett. d), della legge n. 241/1990) relativa alla strada (privata) del vicino: sicché il diniego servato dal Comune, all’esercizio dell’actio ad exhibendum, risulta illegittimo [11].

Il confinante può, dunque, accedere alla documentazione insistente su uno dei terreni che si affacciano sulla strada privata, formalmente non appartenente al Comune, sulla quale l’istante vanta da tempo una servitù di transito anche carrabile, ovvero un interesse qualificato, specie ove il bene apparteneva al demanio comunale o è stato oggetto di affrancazione o di passaggio per l’allaccio dell’immobile dell’istante alla rete idrico/fognante urbana.

Il fatto

Il fatto, nella sua essenzialità, riguarda un ordine del Comune rivolto al titolare del fondo di mettere in sicurezza (accertava il pericolo) [12] e liberare al transito una strada privata gravata ad uso pubblico (il sedime stradale di proprietà della parte ricorrente): il proprietario aveva chiuso «la strada mediante la posa di un cantiere e altro materiale».

Inoltre, l’Amministrazione civica nel rilasciare un permesso di costruire alla ricorrente ne vietava «al contempo, di installare due sbarre, all’inizio ed alla fine della strada vicinale…, per interdire il traffico ai mezzi pesanti».

Nella sua esigenza fattuale, il Comune ordinava al proprietario (ricorrente) per un verso, di manutentare la strada privata (vicinale), per altro verso, di rimuovere gli ostacoli frapposti nel sedime stradale (nella strada privata ad uso pubblico) [13].

Le motivazioni di diritto

Il TAR Brescia, con la sentenza 25 luglio 2022, n. 734, inquadra (la sua fonte) il potere amministrativo che è stato esercitato in modo legittimo (con condanna alle spese) per le seguenti ragioni:

  • 6, commi 4 (lettere b) e 5, del d.lgs. n. 285/1992, prevede, tra le varie misure, che il sindaco può adottare a tutela della sicurezza pubblica o inerenti alla sicurezza della circolazione sulle strade comunali e vicinali, la possibilità di «stabilire obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente per ciascuna strada o tratto di essa, o per determinate categorie di utenti, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali delle strade, con particolare riguardo a quelle che attraversano siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO)»;
  • (un precedente) il Sindaco ha il potere di disporre, per il tempo strettamente necessario, la sospensione della circolazione sulle strade vicinali, otre a quelle comunali, di tutte o di alcune categorie di utenti per motivi di incolumità pubblica [14];
  • il ricorrente non ha fornito elementi tali da inficiare l’ordinanza che, essendo espressione di discrezionalità tecnica, è sindacabile dal GA solo se illogica, erronea o macroscopicamente ingiustificata;
  • neppure può ammettersi un intervento del proprietario mediante il ricorso all’art. 841, Chiusura del fondo, c.c., a fronte del quale «il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo», proprio in considerazione del fatto che il bene è gravato, come nel caso di specie, da una servitù di passaggio, il cui esercizio del diritto (ossia, il passaggio pubblico) non può essere limitato [15];
  • «il diritto del proprietario di chiudere il fondo, previsto dall’art. 841 c.c., può essere limitato e conformato dalle norme urbanistiche allo scopo di tutelare interessi pubblici sovraordinati» [16].

In definitiva, l’Amministrazione:

  • può disciplinare l’uso della strada privata vicinale;
  • in ragione di sicurezza può interdire il passaggio, anche solo a una parte di mezzi;
  • di riflesso, il proprietario del sedime della strada privata ad uso pubblico non può esercitare le facoltà concesse dall’art. 841 c.c.: non è consentito allo stesso «di limitare l’esercizio di una servitù di uso pubblico», neppure può limitarne l’uso o installare delle barriere di preclusione al transito.

 

Note

[1] Vedi, l’art. 3, comma 1, n. 52 del d.lgs. n. 285/1992 (Codice della strada), fa sì che queste debbano essere necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’Ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione, ai sensi dell’art. 3 del D.lgs.lgt. n. 1446/1918, «Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse»), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza, TAR Friuli Venezia Giulia, 24 luglio 1989, n. 277.

[2] TAR Lombardia, Milano, sez. III, 11 marzo 2016, n. 507.

[3] A fronte del sedime stradale privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma presuppone un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, accordo tra Amministrazione e privato, testamento) o l’intervento dell’usucapione ventennale a condizione (in questo caso) della idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico, Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2021, n. 6846 e 27 febbraio 2019, n. 1369; sez. IV, 10 ottobre 2018, n. 5820.

[4] Si tratta della dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene privato, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l’esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima, TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, 8 aprile 2011, n. 184.

[5] Cass. civ., II, 23 maggio 1995, n. 5637.

[6] Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2012, n. 728.

[7] Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2021, n. 311.

[8] TAR Campania, Salerno, sez. I, 26 febbraio 2016, n. 473.

[9] TAR Veneto, sez. I, 15 luglio 2022, n. 1156.

[10] TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19 luglio 2018 n. 1767, idem Cass. civ., SS.UU., 23 dicembre 2016, n. 26897 e 27 gennaio 2010, n. 1624.

[11] TAR Puglia, Lecce, sez. II, 10 novembre 2021, n. 1611.

[12] I provvedimenti limitativi della circolazione stradale, di qualsivoglia natura, sono espressione di scelte ampiamente discrezionali, devolute alla esclusiva competenza decisionale dell’Autorità amministrativa proprietaria della strada, governati da un superiore principio di tutela della sicurezza dell’incolumità pubblica ed insuscettibili di sindacato giurisdizionale, a meno che non si palesino vizi di forma o di procedura, ovvero di manifesta illogicità/irragionevolezza, TAR Campania, Salerno, sez. I, 29 marzo 2019, n. 490.

[13] Si rinvia, LUCCA, Cancello e caldaia di sbarramento su un’intersezione di uso pubblico, mauriziolucca.com, 20 dicembre 2018, ove si commentava il pronunciamento, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 3 dicembre 2018, n. 2725, sulla legittimità di un’ordinanza di rimozione di un cancello di sbarramento posto su una strada ad uso pubblico, segnando i limiti del potere comunale in materia di tutela del regolare funzionamento della viabilità quando una proprietà privata è gravata da una servitù ad uso pubblico.

[14] TAR Liguria, Genova, sez. I, 22 marzo 2021, n. 249.

[15] Cass. civ., sez. VI, 2 settembre 2019, n. 21928.

[16] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 4 marzo 2015, n. 362.

 

 


Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager