Nell’analisi dell’Avvocato Maurizio Lucca, tramite una recente sentenza, ci si sofferma sull’estensione dell’accesso civico oltre confini nazionali.
Fatti
La sez. III del Cons. Stato, con la sentenza non definitiva n. 4735 del 10 giugno 2022, si sofferma sulla titolarità di un accesso civico ai “documenti internazionali”, stilati dal Ministero dell’Interno e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (non costituiti in giudizio).
Gli accordi internazionali sono oggetto di pubblicazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 4, della legge 11 dicembre 1984, n. 839, Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, il quale impone che «tutti gli atti internazionali ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni estere, trattati, convenzioni, scambi di note, accordi ed altri atti comunque denominati», siano pubblicati trimestralmente, in apposito supplemento della Gazzetta Ufficiale, e comunicati alle Presidenze delle Assemblee parlamentari (nell’intento di estendere i controlli politici, o quanto meno a titolo conoscitivo, ed in ogni caso assolvendo un onere di trasparenza).
Si tratterebbe di un evidente condizione che ha trovato nel modello FOIA la sua celebrazione, una vivida trasparenza «intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche», ai sensi del primo comma dell’art. 1, del d.lgs. n. 33/2013, che garantirebbe quel delicato bilanciamento che, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, dall’altro lo stesso non determini una sorta di effetto “boomerang” sull’efficienza dell’Amministrazione [1].
Infatti, i ricorrenti qualora la norma di riferimento fosse ritenuta debole (seppure aderente al principio in claris non fit interpretatio) in subordine si appellavano all’accesso civico generalizzato, in base al comma 2, dell’art. 5, Accesso civico a dati e documenti, del cit. d.lgs. n. 33 del 2013 (in relazione alle sole parti relative alla cooperazione in materia di rimpatri): i limiti devono essere motivati in funzione del successivo art. 5 bis, Esclusioni e limiti all’accesso civico, del decreto Trasparenza [2].
Tuttavia, l’Amministrazione centrale negava l’accesso appellandosi alle lettere a) e d), del comma 1, dell’art. 5 bis, del d.lgs. n. 33 del 2013, poiché «la pubblicazione dell’accordo di cui sopra andrebbe a minare l’integrità dei rapporti internazionali …, su quello che è il tema del contrasto all’immigrazione illegale, la lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata ed al traffico di esseri umani».
Seguiva istanza di riesame rivolta al RPCT, con esito negativo avendo inquadrato l’atto quale intesa «intergovernativa non internazionalmente vincolante», nonché ricorso al TAR ove la PA eccepiva la natura meramente tecnico-amministrativa e di intesa intergovernativa «non internazionalmente vincolanti» perché sottoscritti «da un organo della Pubblica amministrazione che non rappresenta un soggetto di diritto internazionale» e non ostensibili per evitare un pregiudizio concreto alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico e alle relazioni internazionali «che l’Italia intrattiene con paesi terzi».
Il TAR rigettava il ricorso ritenendo da una parte, che la ricorrente avesse agito per interessi personali e non «della collettività generale dei cittadini» e che fosse corretta la qualificazione, operata dall’Amministrazione.
Nel proporre appello, si evidenziava (riportando fonti parlamentari e ministeriali) che gli atti richiesti, ritenuti quali “accordi internazionali in forma semplificata” dimostrerebbero la natura politica e non meramente amministrativa degli accordi in esame: si stabilivano criteri operativi di gestione/finanziamento dello Stato italiano alle forze di polizia straniere: un esercizio di «un potere economico e politico che impegna l’Italia nelle relazioni esterne» con reciprocità di collaborazione con le Autorità di pubblica sicurezza italiane nell’attività di riconoscimento e rimpatrio.
Il giudice di seconde cure:
SULLA RILEVANZA O MENO DELLA NATURA POLITICA O AMMINISTRATIVA DEGLI ACCORDI
L’interesse della parte ricorrente era strumentale all’esercizio della professione di avvocato, «che difende cittadini gambiani trattenuti presso i centri di rimpatrio e che, in forza dell’accordo di cui chiede l’accesso, sarebbero trattenuti con priorità rispetto ad altri, alla luce del disposto di cui all’art. 14 comma 1 d.lgs. 286/98» e, dunque, difensore di cittadini gambiani dimostrando quella legittimazione generale (e non individuale) del necessario «interesse proprio della generalità dei cittadini al riguardo».
Sulla base dei dati normativi del citato “Decreto Trasparenza”, nel nostro ordinamento alberga la «visibilità del potere» pubblico (il rendere conto, dell’art. 15 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Parigi, 26 agosto 1789: «La società ha il diritto di chiedere conto a ogni agente pubblico della sua amministrazione»), segnando il «passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere» [3].
La pretesa del giudice di prime cure di allegare la prova di un interesse «proprio della generalità dei cittadini», non trova riscontro con il dato normativo e con l’esegesi giurisprudenziale, con conseguente riforma in parte qua.
Appare evidente, che pretendere una dimostrazione del titolo di legittimazione, volendolo differenziare da una componente soggettiva dal singolo alla collettività, quasi a voler gemmare in parallelo un’inversione di prospettiva rispetto a quello dell’accesso documentale, di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990, significherebbe svilire la ratio della norma, togliendo lo stesso significato di “trasparenza”, quel diritto cristallino per «chiunque» di conoscere gli atti della PA, specie ove ne è prevista la pubblicazione obbligatoria (un nonsense).
Richiedere una legittimazione all’accesso civico e all’accesso civico generalizzato apparirebbe un’aberrazione al diritto di conoscenza coniato nell’era delle riforme del modello ordinamentale dello Stato, una compressione all’attuazione del «principio democratico e dei principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione… condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, che integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino», anche «a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione» (ai sensi dell’art. 1, Principio generale di trasparenza, del d.lgs. n. 33/2013).
A ben vedere, senza ricorrere ad un alato parere, significherebbe ritrarre la sussistenza di un nesso di necessaria strumentalità, imponendo al richiedente di motivare la propria richiesta di accesso, rappresentando in modo puntuale e specifico gli elementi che consentano, all’Amministrazione detentrice del documento, il vaglio del nesso di strumentalità tra la documentazione richiesta, sub specie di astratta pertinenza, con la situazione “finale” controversa [4].
Il precipitato consequenziale apparirebbe un vero intralcio al buon funzionamento dell’Amministrazione, minerebbe alla radice quei «rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione… improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede», ai sensi dell’ultimo comma, dell’art. 1, Principi generali dell’attività amministrativa, della legge n. 241/1990.
SULLA NATURA DI ATTI DI COOPERAZIONE TECNICO-AMMINISTRATIVA
La natura degli accordi, già ritenuta ininfluente in punto di giurisdizione, non incide sulla titolarità dell’accesso civico: nel senso di escludere la loro assoggettabilità all’accesso civico, che si potrebbe sostenere riguardi solo gli atti amministrativi.
Il Giudice di seconde cure, ripassa la fonte ordinamentale, precisando la distinzione tra documento amministrativo (rectius diritto di accesso difensivo, ai sensi della legge n. 241/1990) [5] e modello FOIA: l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013, nel definire l’ambito oggettivo e soggettivo dell’accesso civico, fa riferimento «non già agli atti amministrativi ma ai dati, alle informazioni e ai documenti detenuti dalla pubblica amministrazione».
Gli atti richiesti sono documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione e riguardanti un’attività di pubblico interesse, nonché, in ogni caso, di documenti detenuti ed utilizzati dalla PA, oltre che significativamente collegati con lo svolgimento dell’attività amministrativa di polizia, nel perseguimento di chiare finalità di interesse generale: dunque, accessibili anche mediante diritto di accesso.
Ciò posto, in relazione alla natura degli atti quello che rileva ai fini dell’obbligo di pubblicazione degli accordi internazionali, compresi quelli in forma semplificata, non è dunque la loro natura amministrativa o politica, quanto piuttosto l’assunzione, da parte dello Stato italiano, di impegni nei confronti di uno Stato estero.
La ratio della specifica norma di riferimento che ne impone la pubblicazione e la comunicazione, conferma che attraverso tali meccanismi di trasparenza si intende perseguire «il duplice obiettivo di consentire il controllo democratico, dei cittadini e delle Camere, sulla politica estera del Governo e, per tale via, di contrastare il fenomeno, ben noto alla dottrina costituzionalistica, della “fuga” dall’autorizzazione parlamentare alla ratifica prevista dall’art. 80 della Costituzione per il caso di trattati «di natura politica» (o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi)».
In parole diverse, lo scopo della pubblicità e dell’informazione al Parlamento assolve proprio i diversi canoni o facce della trasparenza, valorizzati nella loro estensione dal successivo apporto normativo del d.lgs. 33/2013, già peraltro sufficiente nel caso di specie.
MOTIVI OSTATIVI ALL’ACCESSO CIVICO
Con riferimento ad eventuali altre ragioni ostative all’accoglimento della domanda di accesso civico vengono profilati i diversi limiti sulle forme di pubblicità: l’“accesso civico” (c.d. semplice), è giusto ribadirlo, attiene agli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, mentre quello “civico generalizzato” attiene alle pubblicazioni di atti non soggetti alla pubblicazione ex lege (si tratta di oneri «ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto», comma 2, dell’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013).
Su questa base giuridica si incentra tutto il focus motivazionale: l’obbligo di pubblicazione è previsto espressamente, ai sensi degli artt. 1 e 4 della legge n. 839 del 1984: la mancata pubblicazione costituisce un inadempimento che legittima chiunque a richiederne la pubblicazione, al di là degli obblighi dell’accesso civico semplice, specificamente posti dal d.lgs. n. 33 del 2013.
A volo d’uccello, per l’accesso civico semplice, per cui il legislatore ha dettato la regola della necessaria pubblicità, non valgono le esclusioni previste per l’accesso civico generalizzato: le cause di esclusione indicate dall’art. 5 bis del Decreto Trasparenza, non potendo, ordunque, estendere esternamente tali limitazioni agli atti assoggettati a pubblicazione dalla legge n. 839 del 1984 per espressa perimetrazione del decreto legislativo n. 33/2013 ove (si rammenta ancora una volta) è riferito i limiti sono riferiti all’accesso civico generalizzato «ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto» e non «ai sensi della normativa vigente», anche se viene rilevato che tale circostanza si pone parzialmente antinomica «rispetto al comma 1, proprio con riferimento al segmento degli atti oggetto di pubblicazione obbligatoria in forza di norme esterne al d.lgs. n. 33 del 2013».
Il Giudice coglie l’essenza della legge, una diversa interpretazione «colliderebbe con la stessa ratio ispiratrice della riforma operata dal d.lgs. n. 97 del 2016, che ha introdotto, sul modello del FOIA (Freedom of Information Act), l’accesso civico generalizzato per ampliare e non per ridurre la trasparenza dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni».
GLI ATTI D’DIMPEGNO E IL SEGRETO DI STATO
Chiarito che non vi sono ragioni ostative all’accoglimento della domanda di accesso, si passa all’ultimo profilo di indagine, ovvero i profili operativi (il contenuto) degli accordi: su questo aspetto il Collegio ritiene indispensabile, per decidere, acquisire elementi valutativi dai soggetti preposti entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione della sentenza non definitiva, ove possano essere chiariti alcuni aspetti dirimenti.
L’eventuale verifica della presenza di ragioni di sicurezza per lo Stato, senza richiamare i limiti dell’art. 5 bis del d.lgs. n. 33/2013 [6], potrebbero essere invocati come norme giustificative per limitare la pubblicazione degli accordi internazionali, sussistendo i presupposti:
- di cui all’art. 39, della legge 3 agosto 2007, n. 124, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto;
- e del d.P.c.m. 8 aprile 2008, Criteri per l’individuazione delle notizie, delle informazioni, dei documenti, degli atti, delle attività, delle cose e dei luoghi suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato.
Con l’apposizione del vincolo del segreto di Stato, atto politico che può essere disposto esclusivamente dal Presidente del Consiglio dei ministri in quanto vertice del potere esecutivo, si «farebbe venire meno l’obbligo di pubblicazione e quindi l’operatività dell’accesso civico di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013».
Si chiude con l’indicazione di una strada per assicurare il diniego all’accesso civico agli accordi internazionali: quando la loro conoscenza metta a rischio l’integrità della Repubblica, a difesa delle istituzioni e del suo territorio poste dalla Costituzione a suo fondamento: la presenza del segreto di Stato, che nonostante il d.lgs. n. 33 del 2013 non lo indichi espressamente, quale clausola d’esclusione dall’accesso civico semplice (a differenza di quanto avviene per quello generalizzato): «il principio di trasparenza, sotteso ad entrambe le forme di accesso, non può certamente rendere inoperante l’istituto del segreto, che resta strumento irrinunciabile per tutelare supremi ed insopprimibili interessi dello Stato» [7].
Invero, ai sensi del comma 2, dell’art. 1, del d.lgs. n. 33/2013, la trasparenza avviene «nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato», sicché a fronte di richieste sui dati attinenti alle attività migratorie, in questo caso (un domani sui dati sanitari), lo Stato nella sua massima espressione del potere esecutivo (e dunque in una veste incensurabile di “atto politico”) [8] potrebbe invocare il segreto di Stato, al di sopra della legge in funzione di garanzia della stabilità e indipendenza dello Stato sovrano (mediante una clausola di chiusura e salvaguardia): un non apparente contraddizione con il modello FOIA.
Conclusioni
La sentenza (al di là delle questioni legate alla sicurezza nazionale, comprensibili in parte) distingue in chiarezza i confini e l’estensione del diritto di accesso civico rispetto a quello generalizzato, soffermandosi su aspetti salienti che devono ancora essere compresi nella loro essenzialità procedimentale.
Si pretenderebbe, o più sommessamente, si esigerebbe una ulteriore azione di miglioramento e semplificazione (quelle tanto seguito/a e voluto/a dal PNRR), non tanto sulle norme o sulla disciplina, che sono tomi di pensiero illuminato e illuminante, quanto di evitare che tutta questa trasparenza (di pubblicità sui siti istituzionali alla sez. “Amministrazione Trasparente”, con la spendita di tempo per la sua implementazione), innervata e imbiancata da scroscianti fonti ordinamentali, baluardo di libertà e democrazia, nei fatti, in quelli essenziali della vita, soprattutto quando collegati a diritti fondamentali della persona, ad es. la salute e la riservatezza dei dati personali, fosse usata con gargo.
Assistiamo oramai da tempo ad un proliferare di dati, informazioni, documenti personali acquisiti in nome della trasparenza del servizio pubblico, pubblicazioni ad ogni dove, poi quando chiediamo semplici informazioni sui diritti personali (nel catalogo costituzionale descritti), quelli sopra riferiti, senza voler ammettere il segreto militare, allora la trasparenza si innacqua, la ricerca del dato, dell’informazione, del documento si inceppa: tra tanta “trasparenza” si confondono i bisogni, ed allora ciò che risulta essenziale viene a mancare, prevale l’interesse nazionale, le cure sanitarie, il pericolo della guerra, l’emergenza ambientale.
Note
[1] TAR Friuli-V. Giulia Trieste, sez. I, 26 luglio 2018, n. 263.
[2] La a disciplina delle eccezioni assolute al diritto di accesso generalizzato è coperta da una riserva di legge, desumibile in modo chiaro dall’art. 10 CEDU, quale norma interposta, ai sensi dell’art. 117 Cost., e la loro interpretazione non può che essere stretta, fermo restando che nulla nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso, TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 1° febbraio 2022, n. 1141.
[3] Cfr. Cons. Stato, Adunanza plenaria, 2 aprile 2022, n. 10, punti 22.1 e seguenti, dove si possono riscontrare le affermazioni relative all’accesso civico “generalizzato”, comma 2, dell’art. 5, del d.l.gs n. 33/2013, valevoli, a fortiori, per quello “semplice”, di cui al comma 1, del cit. art. 5, che «non è sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza».
[4] In materia di accesso, il concetto di interesse giuridicamente tutelato è più ampio di quello di interesse all’impugnazione, così che l’interesse legittimante all’istanza, da accertare caso per caso, deve essere personale e concreto, ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso e la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile, TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 7 febbraio 2022, n. 1368.
[5] Si rimarca che ai fini dell’accesso difensivo, «la nozione normativa di “documento amministrativo” suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione […], purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale», Cons. Stato, Adunanza plenaria, 25 settembre 2020, n. 20.
[6] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2022, n. 1989, e 2 settembre 2019, n. 602.
[7] Corte Cost., sentenze n. 40 del 2012, n. 106 del 2009, n. 86 del 1977 e n. 82 del 1976.
[8] Detti atti non costituiscono attuazione dell’ordinamento ma sono espressione di una funzione diversa, libera nei fini e per tal motivo sono sottratti al sindacato del Giudice Amministrativo, TAR Lazio, Roma, II ter, 28 maggio 2001, n. 5076 e sez. I, 5 marzo 2012 n. 222.
Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager