risarcimento-danno-pregiudiziale-attenuataL’analisi dell’Avvocato Maurizio Lucca evidenzia, tramite una recente sentenza, come non può essere riconosciuto il risarcimento del danno in mancanza di pregiudiziale attenuata.


La riflessione verte sul mondo dei procedimenti amministrativi e, nello specifico, su una richiesta risarcitoria a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione nell’adottare un’ordinanza di rimozione rifiuti, in assenza di una preventiva messa in mora del silenzio

La sintesi odierna si basa su una importante Sentenza del Tar Puglia e sul percorso normativo e giuridico delle regole in materia.

Il pronunciamento

La sez. II Lecce, del TAR Puglia, con la sentenza 27 aprile 2022, n. 676, interviene per delimitare la richiesta risarcitoria a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione nell’adottare un’ordinanza di rimozione rifiuti, in assenza di una preventiva messa in mora del silenzio, ex art. 2 della legge n. 241/1990.

Tutela a fronte del silenzio della PA

È noto affinché possa configurarsi il silenzio inadempimento contestabile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2, Conclusione del procedimento, della legge cit. e degli artt. 31, Azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità, e 117, Ricorsi avverso il silenzio, c.p.a., occorre che sussista un obbligo di provvedere e che, decorso il termine di conclusione del procedimento, non sia stato assunto alcun provvedimento espresso, avendo tenuto l’Amministrazione procedente una condotta inerte.

È noto, altresì, in applicazione dei principi generali della doverosità dell’azione amministrativa, di ragionevolezza e buona fede, anche in assenza di una espressa previsione legislativa che tipizzi l’istanza del privato, l’obbligo della PA di provvedere sussiste in tutte le fattispecie nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un provvedimento [1]: il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad una esplicita pronuncia e all’Autorità non risulta affidata una mera facoltà, il cui esercizio sarebbe per definizione libero, ma una potestà, cioè l’esercizio obbligatorio di un potere in funzione della cura dell’interesse pubblico [2].

Si deve affermare che l’obbligo di conclusione del procedimento amministrativo (di tutti i procedimenti amministrativi) entro un determinato termine costituisce, infatti, diretta applicazione del precetto costituzionale di cui all’art. 97, comma 2, Cost., secondo cui «i pubblici uffici sono organizzati (…) in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

Se dunque, ogniqualvolta la realizzazione della pretesa sostanziale vantata dal privato dipenda dall’intermediazione del pubblico potere, e se l’Amministrazione è tenuta ad assumere una decisione espressa, anche qualora si faccia questione di procedimenti ad istanza di parte e l’organo procedente ravvisi ragioni ostative alla valutazione, nel merito, della relativa domanda [3], appare evidente che il richiedente (del bene della vita) [4] dovrà rivolgersi al titolare del potere sostitutivo (ex comma 9 bis, dell’art. 2 della legge n. 241/1990) o, alternativamente, ricorrere in sede giurisdizionale ai fini di accertare l’obbligo di provvedere espressamente.

In questo senso, il meccanismo di tutela giurisdizionale previsto nell’ipotesi di silenzio inadempimento è inscindibilmente connesso allo “sforamento” del termine di conclusione del procedimento, tanto è vero che il Codice del processo amministrativo stabilisce, all’art. 31, comma 1, che soltanto «decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere» [5].

La tutela apprestata al privato trova conferma dal dato normativo (e di chiusura del sistema, contrario a procedimenti senza termine finale, c.d. sine die) [6] che anche qualora vi sia l’assenza di un termine (che implicherebbe l’impossibilità di agire processualmente contro l’inerzia dell’Amministrazione) l’ordinamento, in ossequio ai dettami della Costituzione di uno Stato democratico, postula che ogni procedimento amministrativo “necessario” (che consegua cioè obbligatoriamente ad una istanza) deve concludersi entro un determinato termine e con l’adozione di un provvedimento, esplicito o implicito che sia: il termine generale entro il quale il procedimento deve essere concluso, qualora non siano previsti dall’ordinamento giuridico specifici e diversi termini, è quello indicato dall’art. 2, comma 2 della legge n. 241 del 1990, ovvero trenta giorni.

Il quadro normativo che impone la conclusione dei procedimenti entro tempi certi legittima la possibilità di tutela giurisdizionale rispetto all’inerzia dell’Amministrazione, con lesione dell’art. 24 della Costituzione, secondo cui «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi»: il silenzio oltre i termini procedimentali deve essere considerato illegittimo.

L’aspetto processuale

Giova rammentare che il rito speciale, disciplinato dagli artt. 117 ss. del c.p.a., non ha lo scopo di tutelare la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della PA, bensì specificamente quello di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche discrezionali, dal quale non può prescindersi al fine di valutare la compatibilità con l’interesse pubblico di quello sostanziale dedotto dall’interessato [7]: il giudice adito non potrà sindacare il merito del procedimento amministrativo non portato a compimento, dovendo (diversamente) valutare la astratta accoglibilità della domanda, senza sostituirsi agli organi dell’Amministrazione quanto agli apprezzamenti, alle valutazioni ed alle scelte discrezionali, pronunciando con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati [8].

Occorre precisare, per completare il perimetro processuale, che all’azione di condanna percorribile in via autonoma è applicabile il terzo comma dello stesso cit. art. 30 c.p.a., il quale – in conseguenza del definitivo superamento della c.d. pregiudiziale amministrativa – non preclude la domanda risarcitoria in caso di mancata impugnazione del provvedimento che si assume produttivo del danno, ma impone al giudice di determinare il risarcimento valutando «tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti» e di escludere «il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti» [9].

La rilevanza della mancata impugnazione del provvedimento illegittimo e dannoso, ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria, si è spostata dal piano processuale a quello sostanziale, non impedendo la proposizione della domanda, fatta la valutazione di merito (di cui all’art. 30, comma 3, secondo periodo, c.p.a.) [10].

La disposizione, pare giusto riaffermare, è declinazione – in sede amministrativa – del principio posto dall’art. 1227, comma 2, c.c., per il quale «Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza» [11], con sicura collocazione nell’ambito della causalità giuridica, quale criterio di selezione del danno risarcibile (come dimostra indubitabilmente l’incipit della disposizione per la quale il precetto opera in sede di «determinazione del danno risarcibile», ex art. 1223 c.c.), ed ampliamento alla condotta complessiva del creditore, anche processuale.

I motivi del ricorso al GA

Fatte queste premesse di massima, nello specifico la questione affrontata dal GA è riferita, da una parte, all’accertamento della condotta omissiva (silente) tenuta da un Comune, a fronte di ripetute segnalazioni di rifiuti abbandonati, con richieste espresse di intervento, ex art. 192, Divieto di abbandono, del d.lgs. n. 152/2006, dall’altra, alla conseguente condanna al risarcimento dei danni patiti pari ai costi documentati di raccolta, trasporto e smaltimento, in sostituzione dell’Ente comunale inadempiente («rifiuti abbandonati da ignoti a ridosso di condotta idrica necessitante di interventi di riparazione indifferibili»).

In effetti, la disciplina cit. configura una corresponsabilità solidale estesa a qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in rapporto anche di mero fatto, di modo che il requisito della colpa può consistere nell’omissione delle cautele e delle accortezze che l’ordinaria diligenza suggerisce ai fini di un’efficacia custodia [12].

Ci si duole concretamente dell’inerzia reiterata dell’Amministrazione (su specifiche richieste/diffide) di esercitare i doverosi poteri ispettivi di individuazione del responsabile dell’abbandono, con conseguente ordine di rimozione, o, in mancanza, la loro rimozione d’ufficio.

Le difese del Comune

L’Amministrazione resistente opponeva il fatto che la ricorrente non aveva esperito tutti gli strumenti di tutela previsti dalla legge, che avrebbero consentito di evitare il lamentato danno:

  • si avrebbe dovuto proporre azione avverso il silenzio della PA, in tal modo impedendo il verificarsi del danno lamentato, in caso di accertata illegittimità della condotta omissiva dell’Ente Civico;
  • in base al disposto dell’art. 30 c.p.a., la condotta della PA, in mancanza della proposizione di un’azione volta all’accertamento dell’illegittimità del silenzio, non può essere considerata illecita;
  • l’esercizio del potere di rimozione avrebbe indotto l’Amministrazione all’adozione di un’ordinanza di rimozione proprio nei riguardi della ricorrente (sic et simpliciter), in quanto proprietaria di una parte dell’area e titolare di un diritto reale o personale di godimento della restante parte, sicché essa «ben avrebbe potuto, attraverso una ordinaria attività di vigilanza, impedire labbandono incontrollato dei rifiuti de quibus».

Le motivazioni del rigetto

Il Tribunale nel ritenere il ricorso non sia meritevole di accoglimento evidenzia:

  • l’art. 30 c.p.a. al comma 3: «Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando lordinaria diligenza, anche attraverso lesperimento degli strumenti di tutela previsti»;
  • in tema di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’ 1227 del c.c. (sopra richiamato) sancisce la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento;
  • la conseguenza dell’omessa o non efficace attivazione degli strumenti apprestati dall’ordinamento si riverberano nella valutazione del comportamento complessivo mantenuto dalle parti, dato valutabile, «alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della riduzione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza, in una logica che vede l’omessa impugnazione dell’atto lesivo non più come preclusione in rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio della sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile» [13];
  • al danno che deriva da un comportamento inerte della PA, il Giudice Amministrativo può sopperire ordinando alla stessa, all’esito di un giudizio accelerato, di provvedere, con i relativi poteri sostitutivi in caso di ulteriore inerzia, di guisa che la mancata attivazione di tale rimedio integra una condotta rilevante ai sensi dell’art. 30 c.p.a., tanto da consentire al GA di escludere «il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando lordinaria diligenza» [14];
  • donde, in mancanza di un preventivo accertato e dichiarato silenzio della PA (c.d. silenzio inadempimento) è escluso il risarcimento dei danni per il ritardo dell’Amministrazione nell’adozione di un provvedimento [15].

La massima può essere riassunta: a fronte dell’esistenza di un rapporto di presupposizione tra l’impugnazione del silenzio ed il risarcimento del danno da ritardo, le esigenze di preservazione dei rapporti pubblicistici e di prevenzione dei comportamenti opportunistici sono soddisfatte, in modo più convincente con l’applicazione delle norme di cui all’art. 1223 e ss. c.c. in materia di causalità giuridica, tra cui, in particolare quella consacrata nell’art. 1227, comma 2 c.c., che considera non risarcibili i danni evitabili con un comportamento diligente del danneggiato [16].

La regola sulla risarcibilità dei danni e la c.d. pregiudiziale amministrativa attenuata

Si conferma la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento consacrati nell’art. 30, comma 3 c.p.a.; ossia, secondo le indicazioni dell’Adunanza plenaria, nella sentenza n. 3 del 2011, nell’espressione dei principi di cui all’art. 1227 c.c. e che la giurisprudenza successiva ha ricondotto al più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali per evitare comportamenti opportunistici, che intendano trarre occasioni di guadagno da situazioni lesive in modo solo marginale degli interessi dei soggetti coinvolti [17].

La norma ricognitiva di principi, già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva, del cit. comma 2, dell’art. 1227 c.c., prevede l’esclusione o la mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza, non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile [18].

In termini operativi e cogenti, la parte ricorrente avrebbe dovuto agire avverso il silenzio inadempimento della P.A. alle ripetute diffide, eventualmente rivolgendosi al soggetto titolare del potere sostitutivo, con la nomina di un commissario ad acta che provvedesse in merito, e una siffatta azione avrebbe, con ogni probabilità, escluso in radice la produzione del danno provocato: una condotta negligente attraverso il tempestivo esperimento dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento, ossia con il ricorso avverso il silenzio inadempimento dell’Amministrazione.

Si conclude nel chiarire che in applicazione del principio della pregiudiziale amministrativa “attenuata”, la mancata proposizione di una tempestiva azione avverso il silenzio serbato dalla Civica Amministrazione, pur non comportando una preclusione di ordine processuale all’esame del merito della domanda risarcitoria, ne determina, nel merito, un esito negativo.

Viene allineato l’orientamento giurisprudenziale: il danno conseguente al ritardo con il quale la Pubblica Amministrazione abbia concluso il procedimento amministrativo può essere ridotto o completamente escluso qualora lo stesso sarebbe stato evitabile dal privato, attivando la forma di tutela specifica dell’azione di accertamento del silenzio inadempimento, rientrando quest’ultima tra gli «strumenti di tutela previsti», cui fa riferimento l’art. 30, comma 3, c.p.a. per evitare il danno con ordinaria diligenza [19].

Al giudice è, ordunque, richiesto di apprezzare la rilevanza eziologica dell’omessa attivazione degli strumenti di tutela a disposizione del privato istante, mediante un giudizio causale di tipo ipotetico imperniato sulla regola del “più probabile che non”, che porti a dire con sufficiente grado di probabilità quale parte del danno poteva essere evitata dal privato con ordinaria diligenza, ossia tenendo conto dell’esigibilità dell’azione mancata alla luce delle specificità del caso concreto.

 

Note

[1] TAR Piemonte, sez. II, 28 gennaio 2022, n. 72.

[2] TAR Veneto, sez. I, 25 agosto 2021, n. 1031. Ne consegue l’impossibilità di esperire l’azione avverso il silenzio quando il soggetto non possa vantare, nei riguardi dell’azione amministrativa, uno specifico titolo ad agire che lo autorizzi ad avanzare una legittima pretesa, in ragione della qualità rivestita, Cons. Giust. Amm. Sicilia, 11 gennaio 2022, n. 20.

[3] Cons. Stato, sez. VI, 1° aprile 2022, n. 2420.

[4] Si risarcisce non una aspettativa all’agere legittimo dell’Amministrazione, bensì il mancato conseguimento del bene della vita cui si ambiva al momento della proposizione dell’istanza; infatti, la norma codicistica di cui all’art. 2043 c.c., subordina il risarcimento alla produzione di un danno ingiusto causalmente generato da una condotta illecita, TAR Lazio, Roma, sez. I, 22 settembre 2010, n. 32382.

[5] TAR Milano, sez. III, 6 ottobre 2021, n. 2145.

[6] TAR Puglia, Bari, sez. III, 18 novembre 2021, n. 1682.

[7] Cons. Stato, sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 577.

[8] TAR Campania, Napoli, sez. VII, 7 febbraio 2022, n. 844. È consentito al GA sanzionare l’inerzia dell’Amministrazione in ordine alla doverosa emanazione di atti vincolati, non limitandosi ad accertare l’obbligo di provvedere, TAR Campania, Salerno, sez. II, 3 febbraio 2022, n. 327.

[9] Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2022, 3216.

[10] Cons. Stato, sez. V, 30 novembre 2021, n. 7960.

[11] Cons. Stato, sez. VI, 21 ottobre 2021, n. 7059.

[12] TAR Puglia, Bari, sez. I, 26 gennaio 2022, n. 157.

[13] Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 12/2018.

[14] Cons. Stato, sez. III, 4 giugno 2019, n. 3767 e sez. IV, 2 febbraio 2019, n. 18.

[15] Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3696.

[16] Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 23 marzo 2011, n. 3, ove si precisa che pur essendo distinte e autonome le azioni (silenzio e risarcimento danni), resta, tuttavia, il principio civilistico per cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, ex art. 1227, comma 2, c.c..

[17] Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1625.

[18] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 21 aprile 2016, n. 2097 e Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1750.

[19] Cfr. Cons. Stato, Adunanza plenaria, 23 aprile 2021, n. 7; sez. II, 14 giugno 2021, n. 4594; sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 270; sez. V, 18 marzo 2019, n. 1737; sez. IV, 2 gennaio 2019, n. 18.

 

 


Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager