Attività privata in ambito edilizio, tutela del terzo e obbligo di provvedere della PA: un approfondimento sul tema, a cura dell’Avv. Maurizio Lucca, che analizza una recente Sentenza del Consiglio di Stato.
L’attività ad iniziativa del privato
È noto che l’attività oggetto della segnalazione (ex art. 19, comma 2 della legge n. 241/1990) può essere iniziata, anche nei casi di cui all’articolo 19 bis, comma 2, dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente, con la conseguenza che in mancanza dei requisiti o dei presupposti l’attività di controllo è limitata in un stretto arco temporale definito, trascorso il quale gli effetti si consolidano, salvo i poteri di annullamento d’ufficio (ovvero, di vigilanza in materia urbanistica – edilizia), esprimendo le sorti di uno strumento giuridico di accelerazione, semplificazione e liberalizzazione delle attività di iniziativa dei privati.
In questo senso, la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, imponendo ai terzi («gli interessati») eventualmente danneggiati (dalla sua illegittimità) di sollecitare l’Amministrazione alle verifiche c.d. repressive/inibitorie (un dovere sull’an) [1] e in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione avverso il silenzio (inadempimento): una violazione dall’obbligo di provvedere, ex art. 2 della legge n. 241/1990 [2].
Le segnalazioni di terzi e l’obbligo di provvedere della P.A.
La IV sez. del Cons. Stato, con la sentenza n. 1737 del 11 marzo 2022, interviene in ragione di un’obbligatorietà omissiva mantenuta da una P.A. a fronte della richiesta di un privato di verifica e repressione di un intervento mediante DIA (costruzione di una rampa carrabile a ridosso del confine con la proprietà dell’appellante).
Pare giusto rammentare che il confinante, in materia di abusi edilizi, gode di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività, subendo gli effetti nocivi immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio non represso nell’area limitrofa alla sua proprietà [3], con un correlato obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza, dovendo, altresì, ammettere che il requisito della vicinitas [4] va contemperato con la necessità che il confinante dimostri oltre alla propria legittimazione, uno specifico interesse al ricorso, invocando un determinato pregiudizio derivante dall’abuso commesso dal vicino e un correlato vantaggio derivante dalla rimozione di esso [5].
Viceversa, non sussiste alcun obbligo di provvedere qualora si invochi l’esercizio del potere di autotutela, da parte dell’Amministrazione comunale, con le precisazioni che seguono [6].
Il pronunciamento
La questione si è sviluppata originariamente mediante una DIA integrata da una SCIA e l’inerzia del Comune di “annullare in autotutela” gli interventi (ex artt. 19, comma 4, e 21 nonies della legge n. 241/1990): più puntualmente, il terzo lamenta l’inerzia dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti all’Amministrazione seppure tardivamente sollecitati, rilevando che tale potere (quello postulato dal comma 6 ter dell’art. 19 della legge n. 241/1990 in ambito edilizio) risulta sempre praticabile (ossia, non possiede un termine) [7].
In via generale, i termini entro cui gli interessati possono produrre osservazioni sollecitando interventi dell’Amministrazione possono essere riassunti entro i sessanta o trenta giorni (questi ultimi per i casi di SCIA in materia edilizia) decorrenti dalla data di presentazione della SCIA (commi 3 e 6 bis), e poi entro i successivi dodici mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21 nonies): decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’Amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo.
Su indicazione della Corte cost. (sentenza n. 45/2019):
- il comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990 attribuisce alla P.A. un triplice ordine di poteri “ordinari” (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA (trenta per la SCIA in materia edilizia);
- mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili, nei limiti dei dodici mesi (rispetto ai diciotto ante L. n. 77/2021) in presenza delle condizioni previste dall’art. 21 nonies della stessa legge n. 241 del 1990;
- il comma 6 bis dell’art. 19 consente di applicare questa disciplina anche alla SCIA edilizia, prevedendo che restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali.
La tutela del terzo
Il giudice di appello si sofferma sull’esigenza di apprestare la massima tutela del terzo con lo scopo di scongiurare il consolidamento degli effetti in presenza di un’inerzia dell’Amministrazione.
L’analisi giuridica presenta i seguenti scenari:
COMMA 4 (attribuiti alla PA):
- esercizio dei poteri inibitori, repressivi e conformativi, entro trenta giorni dalla presentazione della SCIA in materia edilizia (comma 6 bis);
- autotutela di cui all’art. 21 nonies;
COMMA 6 TER (prerogative del privato per l’attivazione dell’autotutela da parte della P.A.):
- sollecito da parte degli interessati delle verifiche da parte dell’Amministrazione;
- in caso di inerzia su istanza dei privati la possibilità di azionare il rito avverso il silenzio, dal momento che la SCIA e la DIA non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Il potere di autotutela del comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241/1990
Ciò posto, la fattispecie analizzata si incentra sul rifiuto della P.A. di esercitare il proprio potere di verifica, ai sensi dell’articolo 19, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sulle opere realizzate dal controinteressato in esecuzione della DIA e della SCIA.
In termini più espliciti, al di fuori delle ipotesi ordinarie di verifica e controllo disciplinato dal comma 3 (a sua volta richiamato dal comma 6 bis, per la SCIA edilizia) del citato articolo 19 della legge n. 241/1990, la Sez. rileva che non vi sono limiti al potere di autotutela che residua all’Amministrazione comunale, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, anche dopo la scadenza dei termini fissati per l’esercizio del predetto potere “ordinario” (e, quindi, dopo il consolidarsi del titolo abilitativo).
Il privato, esauriti i rimedi per la sollecitazione del potere “ordinario” di controllo, in presenza di un pregiudizio può far valere i propri diritti anche dopo il consolidarsi degli effetti della SCIA, invocando i poteri di autotutela propri dell’Amministrazione.
Il precipitato porta le seguenti conseguenze che il termine non può riferirsi al potere ordinario di verifica nei trenta giorni ma quello più esteso dei dodici mesi per l’autotutela (qualora non scaduto), non potendo trovare cittadinanza alcun affidamento preclusivo al bilanciamento tra il consolidamento del titolo e l’interesse al ripristino della legalità violata.
A rafforzare tale evenienza, il fatto che anche in presenza di un provvedimento di diniego all’attivazione dei poteri di verifica l’Amministrazione (nei termini ordinari, quelli del comma 3) ha l’obbligo, tuttavia, di attivarsi nei termini dell’autotutela a fronte di un’azione di annullamento d’ufficio ancorato ai poteri di vigilanza generale che incombe alla P.A. nel “Governo del Territorio”.
L’autotutela peculiare del comma 4
La Sez. del Cons. Stato intende differenziare l’autotutela peculiare, di cui al comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241/1990, rispetto al generale potere di autotutela dell’art. 21 nonies della cit. legge:
- la regola generale (quella dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990) rileva che l’esercizio del potere sia ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico e non coercibile, al punto che la P.A. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio;
- l’autotutela del comma 4, dell’art. 19 della legge n. 241/1990, è connessa al generale dovere di vigilanza che appartiene al Comune sull’attività edilizia ai fini dell’ordinato assetto del territorio, dovendo rispondere alle sollecitazioni del privato, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’articolo 21 nonies della legge 241/1990 [8].
Si deve concludere che il privato possa sollecitare l’Amministrazione ai poteri di autotutela ben oltre i termini ordinatori di controllo, e in modo correlato l’Amministrazione ha l’obbligo di verificare il contenuto delle richieste non potendo limitarsi ad affermare il consolidarsi del titolo qualora residuino i margini per l’esercizio dell’autotutela, di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, anche in carenza (vuoto) di un quadro normativo di riferimento [9].
I doveri della PA
La sentenza conferma un dovere (non una facoltà) dell’Amministrazione di verificare nel concreto il contenuto delle segnalazioni dei terzi in presenza di un’attività edilizia dei privati mediante SCIA/DIA, dovendo dare riscontro all’esito dei controlli effettuati: un obbligo cogente di pronunciarsi, procedendo all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela (che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere).
Il terzo danneggiato ha, quindi, un potere di sollecitare non tanto i poteri di verifica e controllo sull’iniziativa del privato, quanto di azionare il potere generale di autotutela dell’Amministrazione che non può incontrare alcun limite sull’affidamento ingenerato nel destinatario dell’azione amministrativa a fronte dell’esigenza di un corretto assetto urbano (comprese le distanze tra fabbricati in contrasto con disposizione di legge che prevalgono sulle contrastanti previsioni degli strumenti urbanistici, sostituendosi ad esse) [10].
Il confinante, ovvero, i titolari di diritti su immobili adiacenti o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi subiscono inevitabilmente un danno ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e sull’armonico e ordinato sviluppo del territorio, dovendo esprimere la vicinitas una condizione legittimante in grado di obbligare la P.A. alla verifica della presenza o meno degli abusi, ossia l’attivazione di un procedimento ad istanza di parte per l’esercizio dell’autotutela d’ufficio [11].
Il terzo danneggiato da una SCIA/DIA deve essere tutelato dall’inerzia dell’Amministrazione nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi, e può pretendere un intervento del giudice che imponga all’Amministrazione un’attività istruttoria finalizzata alla verifica degli abusi segnalati: l’Amministrazione ha un dovere di risposta giustificando l’assenza dell’azione delle misure richieste con un provvedimento esplicito che ne spieghi le ragioni dell’assenza della rilevanza dei fatti segnalati [12]: con il risultato che l’eventuale silenzio serbato sull’istanza integra gli estremi del silenzio-rifiuto, sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere in modo espresso [13].
A margine non va sottaciuto che è principio consolidato quello secondo cui l’obbligo di provvedere può discendere non solo da puntuali previsioni legislative o regolamentari ma anche dalla peculiarità della fattispecie, nella quale ragioni di giustizia o equità impongano l’adozione di provvedimenti espliciti, alla stregua del generale dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, ai sensi dell’art. 97 Cost., con conseguente sorgere in capo al privato di una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano.
Si deve concludere che a fronte della denuncia del terzo circa l’irregolarità dell’intervento edilizio oggetto di una SCIA/DIA, l’Amministrazione ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo – e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere –, coniugando in modo equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese a tali atti con quelle di tutela del terzo, giacché – lungi dal legittimarlo a sollecitare i poteri inibitori senza limiti temporali – gli dà titolo ad attivare il solo potere di autotutela dell’Amministrazione, la quale deve naturalmente tenere conto dei presupposti che danno titolo all’esercizio di tale funzione [14].
Note
[1] Rimane ferma la discrezionalità nel quomodo, Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208.
[2] Cfr. TAR Veneto, sez. II, 26 luglio 2021, n. 973 e 5 luglio 2021, n. 880.
[3] TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19 marzo 2021, n. 724.
[4] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5087; sez. VI, 7 giugno 2018, n. 3460; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 4 novembre 2019, n. 2290.
[5] TAR Campania, Napoli, sez. II, 9 marzo 2022, n. 1602.
[6] TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16 settembre 2021, n. 5920. Il potere di autotutela consente la rimozione d’ufficio un provvedimento illegittimo, ben potendo l’Amministrazione ad es. anche dopo la stipula del contratto, ricorrendone i presupposti, disporre dei poteri codificati dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990, TAR Sardegna, sez. II, 4 marzo 2022, n. 154, idem Cons. Stato, sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310.
[7] Cfr. Corte cost., 13 marzo 2019, n. 45, dove è stato chiarito che la SCIA, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuendo al terzo interessato la facoltà di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a., mentre nulla si prevede circa il termine entro cui va avanzata la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 611.
[9] Questo orientamento è stato confermato anche dopo la sentenza della Corte cost. n. 45/2019, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 2 maggio 2020, n. 728 e TAR Campania, Salerno, sez. II, 8 gennaio 2020, n. 18.
[10] Cfr. Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2015, n. 5163; Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 2019, n. 5034.
[11] Cons. Stato, sez. II, 30 settembre 2019, n. 6519.
[12] L’Amministrazione deve lasciare traccia dell’attività espletata su segnalazione del terzo, sia essa nel senso dell’esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della motivata archiviazione, dovendosi in particolare escludere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente, Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592.
[13] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2019, n. 2063.
[14] Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610.
Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca, Segretario generale Amministrazioni Locali