L’interdittiva antimafia è discrezionale, ha natura preventiva e si fonda su un “quadro indiziario” : è quanto afferma il Consiglio di Stato (5416/2920).
I giudici amministrativi si sono pronunciati a seguito di un ricorso contro la decisione del TAR che aveva annullato il provvedimento di interdizione, ritenendo che non si riferisse a circostanze definite in modo puntuale, che richiamasse reati, peraltro risalenti nel tempo e non espressamente ricompresi nella casistica di cui all’art. 84, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011 e, pertanto, insuscettibili di assurgere ad elemento indiziario del pericolo di infiltrazione mafiosa.
I giudici del Consiglio di Stato, nell’accogliere le ragioni del Ministero dell’Interno, affermano che il primo giudice ha valutato l’impianto istruttorio sommariamente, dando rilevanza a singoli elementi che non solo non sempre corrispondono alla realtà fattuale ma che, se visti in un’ottica globale e complessiva – che necessariamente deve connotare lo scrutinio del provvedimento interdittivo –, fanno certamente presumere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’attività sia contaminata.
E prosegue affermando che ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri.
Interdittiva Antimafia è discrezionale: il parere del Consiglio di Stato
L’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ciò che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento.
E aggiunge inoltre che i fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo, nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Infatti, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della risalenza dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi, quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l’impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d’ombra della mafiosità.
Fonte: articolo di Santo Fabiano