banche in liquidazione coattaL’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 153/E del 18 dicembre 2017, interviene sul trattamento tributario delle somme corrisposte da un banca ai propri soci a seguito della stipula di specifici accordi transattivi.


 

Il quesito

 

In relazione agli indennizzi corrisposti ai propri soci/investitori da una banca in liquidazione coatta amministrativa, sulla base di specifici accordi transattivi, l’istituto di credito assume la qualità di sostituto d’imposta? In altri termini, questi indennizzi generano un reddito imponibile in capo ai soci che li hanno percepiti?

 

È questo il quesito posto all’Agenzia delle entrate a seguito di un’istanza di interpello trasmessa da una banca in liquidazione coatta amministrativa, che ha stipulato, con alcuni dei propri soci/investitori, accordi transattivi in relazione a eventuali pretese risarcitorie che gli stessi avrebbero potuto vantare in dipendenza dell’investimento effettuato in azioni della banca. In base agli accordi, i soci hanno ricevuto una somma di denaro a titolo di indennizzo a parziale ristoro delle perdite subite per effetto dell’investimento e, contestualmente, hanno rinunciato a qualsiasi azione di responsabilità nei confronti dell’istituto di credito.

 

La risposta dell’Agenzia

 

La risposta dell’Amministrazione è nel senso di ritenere che, nel caso concreto, la percezione degli indennizzi da parte dei soci non abbia alcuna rilevanza reddituale in quanto finalizzata a reintegrare forfettariamente la perdita economico-patrimoniale (danno emergente) subita dai percettori a causa della condotta della banca in contrasto con gli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal Testo unico della finanza (Tuf). Di conseguenza, per la banca non scatta nessun obbligo di sostituzione.

 

L’Agenzia arriva a questa conclusione sulla base quanto già in precedenza era stato chiarito circa il trattamento fiscale delle somme erogate ai soggetti vittime della risoluzione di alcuni istituti di credito (cfr risoluzione n. 3/E del 12 gennaio 2017; articolo 1, commi da 855 a 861, legge 208/2015; articolo 9, comma 1, Dl 59/2016).

 

In tal caso, infatti, l’Amministrazione aveva concluso per la non imponibilità degli indennizzi forfettari, basando il proprio convincimento sulla circostanza che gli stessi fossero volti a garantire il ristoro del pregiudizio subito a causa della violazione, da parte delle banche coinvolte, degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (Dlgs 58/1998). Gli indennizzi, peraltro, risultavano parametrati solo al corrispettivo pagato dall’investitore nel momento in cui erano stati sottoscritti (o acquistati) i titoli e non anche al mancato conseguimento dei proventi.

 

Nel caso oggetto della risoluzione in esame, gli indennizzi sono finalizzati a soddisfare la stessa esigenza: il ristoro di un “danno emergente” di natura patrimoniale determinato da condotte della banca riconducibili alla violazione degli obblighi di informazione previsti dal Tuf.

 

Pertanto, anche in questa ipotesi gli indennizzi erogati dalla banca non generano alcun reddito imponibile in capo ai soci a cui sono stati erogati (quindi, non sono assoggettati a tassazione) e, di conseguenza, la banca non assume la qualità di sostituto d’imposta rispetto ai percettori.